martedì 25 gennaio 2011

Omicidio Ale, 26 anni a Rasero - inchiesta riaperta su Katerina

(da qui, 24 gennaio 2011)

La Corte d'Assise ha emesso il verdetto dopo otto ore di camera di consiglio. Il broker Giovanni Antonio Rasero, 29 anni, è stato ritenuto colpevole dell'omicidio di Alessandro Mathas, il figlio della compagna Katerina, massacrato a otto mesi la notte del 15 marzo scorso in un monolocale a Nervi durante un coca party. "E' ingiusto. Io non ho ucciso quel bambino".

La corte ha inviato gli atti alla Procura perché ritiene la compagna del broker, presente quella sera nel monolocale, responsabile in concorso della morte del figlio. Alla lettura del verdetto, la madre di Giovanni Antonio Rasero è svenuta. Poi si è ripresa e ha puntato l'indice contro la compagna del figlio: "Ha fatto tutto lei, è lei l'unica colpevole. Mercoledì andrò a trovare mio figlio in carcere", ha detto Pierina Cossu. "L'unica cosa che gli dirò è che sono disperata".

I giudici della corte d'Assise (presidente Massimo Cusatti, a latere Clara Guerello, e sei giudici popolari) hanno pronunciato la sentenza intorno alle 19, dopo una lunga camera di consiglio iniziata poco dopo le 11.

Rasero ha sempre negato di aver ucciso il bambino. I suoi avvocati, Romano Raimondo e Andrea Vernazza, hanno sostenuto che si è trattato di un processo indiziario in cui mancava la prova della colpevolezza dell'imputato.

Il pubblico ministero Marco Airoldi si è detto invece convinto che sia stato senza dubbio Rasero ad uccidere il bimbo. Per questo aveva chiesto che il broker fosse condannato all'ergastolo.

Secondo Airoldi il bimbo fu ucciso nell'ora e mezza di quella tragica notte in cui Katerina Mathas si allontanò dal monolocale per comprare altra droga lasciando il figlio al compagno. L'uomo, in preda ad una crisi indotta dall'astinenza da cocaina, avrebbe aggredito il bambino infastidito dal suo pianto. Accortosi di averlo ucciso, lo avrebbe seviziato, procurandogli delle bruciature di sigaretta e mordendogli un piede. Poi andò a dormire.

Rientrata, la madre si sarebbe occupata solo di sniffare cocaina senza controllare il figlio sdraiato sul divano laddove l'aveva lasciato novanta minuti prima. Solo la mattina successiva, al risveglio, si accorse della morte del figlio e pretese di andare all'ospedale dove fu dichiarato il decesso, avvenuto ore prima, nel cuore della notte. Ricostruzione che però non ha convinto i giudici della Corte d'Assisse che, rinviando gli atti alla Procura, hanno di fatto riaperto l'inchiesta sulla madre del piccolo, finora ritenuta responsabile solo di abbandono di minore.

venerdì 21 gennaio 2011

Suicida la madre di Isabelle l'anoressica: "Non ha retto al rimorso"

(da qui)

Non ha retto al dolore e, come ha detto il marito, all'"enorme rimorso". E ha scelto di togliersi la vita. Si è suicidata Marie Caro, la madre di Isabelle Caro, la modella francese anoressica morta a 28 anni lo scorso 17 novembre. Si sentiva in colpa, ha spiegato Christian Caro, "per averla fatta ricoverare, perché Isabelle non voleva andare in quell'ospedale".

La donna, come ha spiegato l'uomo in un'intervista al quotidiano svizzero 20 Minuten, "si è tolta la vita la settimana scorsa, non riusciva a farsi una ragione della morte di Isabelle, si addossava colpe terribili, in particolare perché aveva consentito che la figlia venisse ricoverata. Insieme avevamo progettato una cappella per lei, adesso diventerà la tomba per mia moglie e mia figlia".

La ragazza era stata ricoverata a novembre presso l'ospedale Bichat, a nord di Parigi, per una grave disidratazione. Soffriva di anoressia dall'età di 13 anni. Subito dopo la sua morte, Christian Caro aveva diffuso un comunicato con il quale accusava di "negligenza" il personale medico dell'ospedale. "Ci avevano detto che le avrebbero fatto delle analisi, ma che c'era bisogno di sedarla. Chiunque, nelle condizioni di Isabelle, non avrebbe dovuto essere sedato, ogni medico dovrebbe saperlo". L'uomo aveva quindi sporto denuncia per omicidio doloso presso la Procura di Parigi.

La storia di Isabelle Caro aveva fatto il giro del mondo. Fin da quando la giovane, che soffriva di anoressia, aveva posato nuda nello spot di una campagna di sensibilizzazione sui disturbi alimentari realizzata da Oliviero Toscani nel 2007. Isabelle, alta un metro e sessantacinque, pesava solo 31 chili. La foto aveva destato sensazione e polemiche e il giurì per la pubblicità aveva bloccato il suo utilizzo nella campagna. La ragazza nel 2008 aveva scritto un'autobiografia, The little girl who didn' wanto to get fat, pubblicato in Italia con il titolo La ragazza che non voleva crescere, in cui raccontava di rapporti familiari complessi, con un padre assente e una madre iperprotettiva che la costringeva a rimanere chiusa nella sua stanza, coprendola di giocattoli ed attenzioni, quasi per paura che crescesse.

(20 gennaio 2011)

Davigo 2004

mercoledì 19 gennaio 2011

Trashabile 2011, prima puntata

Era una splendida mattinata di sole, in Arkansananas, o come diavolo si chiama l’Arizona. A Tucson, città di frontiera col Messico, strappata col sangue ai messicani nel 1853, sei morti, tredici feriti tra cui Gabrielle Giffords, deputata democratica, e Tex Willer. Ah no, sto mescolando le cose. E sì, Tex Willer è scontato almeno quanto una battuta sulla statura di Berlusconi, ma se la gente ride ai film di Checco Zalone tanto vale provarci.

Gabrielle Giffords è la cugina di Gwyneth Paltrow, peraltrow. Gwyneth Peraltrow. Sì, io e Jonathan Grass (anche oggi nel ruolo della mia spalla comica) stiamo pensando di continuare finché quel film farà il tutto esaurito. Sempre meglio dei cinepanettoni, certo, ma almeno quelli non me li spacciavano come il meglio che la comicità italiana ha da offrire.

Potete leggere il resto su Bile, il sito internet che prosegue l'opera satirica della rivista ScaricaBile!

lunedì 17 gennaio 2011

Si suicida ex carabiniere: aveva ucciso la suocera e il compagno della ex

(da http://www.repubblica.it/cronaca/2011/01/12/news/carabiniere_trovato_morto-11123861/index.html)

QUARTU SANT'ELENA - Patrizio Lai, l'ex carabiniere di 49 anni che ieri aveva ucciso 1 a colpi di fucile la suocera Liliana Sainas, 53 anni, e il compagno della ex moglie, Manuel Angioni, 28 anni, si è tolto la vita. L'ex militare è stato trovato agonizzante in auto stamani dagli agenti della squadra volanti della questura di Cagliari, arrivati vicino al lago Simbirizzi, a pochi chilometri dal centro abitato quartese, dove è stata rintracciata la Mercedes, a bordo della quale l'uomo era fuggito subito dopo il duplice omicidio.
L'uomo è morto durante il trasporto verso l'ospedale Brotzu di Cagliari. La salma è stata, quindi, trasferita al cimitero di Quartu.

Lai si è sparato con la stessa arma con la quale ha compiuto i due omicidi e ha ferito la ex moglie. L'auto del fuggitivo è stata avvistata da un elicottero della polizia e sul posto sono subito giunte le pattuglie impegnate nelle ricerche.

Ora gli investigatori sono impegnati nella ricerca di una somma di denaro che Patrizio Lai aveva ritirato in banca poco prima di mettere a segno la vendetta nei confronti della ex moglie, che lo aveva abbandonato otto mesi fa per andare a convivere con Manuel Angioni.

Come talvolte mi capita, mi inserisco a fine notizia per un interessante commento. La pagina facebook di Patrizio Lai è rimasta aperta da giorni, permettendo al voyeurismo grottesco del popolo di insultare la memoria di un po' tutte le persone coinvolte sparando cazzate a oltranza sul suo "muro". Non ho avuto l'accortezza di raccogliere un po' di immagini dal sito prima che qualche operatore di facebook sano di mente, o qualche familiare, lo ha fatto chiudere.

In rianimazione per una sigaretta: arrestati i due accoltellatori

Sono circa le sette e trenta del 27 dicembre, piazza XX Settembre è piena di gente che va e viene dalla stazione, ma per i due balordi che sotto i portici di galleria 2 Agosto stanno riempiendo di botte due cittadini marocchini, uno di 41 anni e uno di 28 anni, fa poca differenza. Le telecamere del Comune riprendono chiaramente l’aggressione. Sembra un film: pugni, calci e poi spuntano i coltelli. Più colpi, inferti con violenza, solo perché i due nordafricani si erano permessi di chiedere loro una sigaretta. I feriti, dopo le coltellate, si trascinano, lasciano una scia di sangue e verranno portati in ospedale in condizioni gravi. Piazza XX Settembre, si riempie di polizia ma i protagonisti dell’aggressione sono spariti.

Due giorni fa però, grazie alle indagini coordinate dalla Procura, la squadra Mobile di Bologna ha fermato una coppia — Elisa Esposito, 32 anni, bolognese e Mohammed Adoni, 26 anni, tunisino, entrambi tossicodipendenti — con l’accusa di tentato omicidio e porto abusivo d’armi. Sono loro, nel video, a scatenarsi contro le vittime. I due, ora, sono alla Dozza.

Il giorno dell’aggressione, ad avere la peggio fu il 41enne, colpito all’arteria femorale e ricoverato in Rianimazione all’ospedale Maggiore. Secondo gli investigatori, vista la violenza e la precisione dei colpi, è salvo per miracolo. L’uomo, è ancora in ospedale mentre le condizioni del connazionale di 28 anni, che fu raggiunto da una coltellata all’addome, sono meno gravi.

domenica 16 gennaio 2011

Ucciso a 21 anni fuori dal pub: fermati quattro romani, uno è l'omicida

Fermati quattro giovani per l'uccisione a coltellate di Alessio Di Pietro la scorsa notte fuori un pub durante una maxi-rissa. Il colpo mortale era stato inferto al cuore. Sono stati arrestati a Tor Bellamonaca, sono tutti romani, ventenni, con piccoli precedenti penali, ma solo uno di loro sarebbe l'autore materiale dell'omicidio. I carabinieri della Compagnia di Frascati, comandati dal capitano Giuseppe Iacoviello subito dopo l'omicidio hanno portato in caserma una quindicina di persone. E sono subito partite le ricerche degli aggressori.

Alessio Di Pietro, 21 anni, era stato accoltellato la scorsa notte intorno alle 2 durante una lite scoppiata all'esterno del pub Derby di Grottaferrata, vicino Roma. Nel suo corpo aveva ancora un coltello conficcato nel cuore. E un altro ragazzo di 27 anni è rimasto gravemente ferito. Aggressione che si è svolta sotto gli occhi della moglie e della fidanzata delle due vittime.
E fin dalle prime ore i carabinieri erano sulle tracce di alcuni giovani che si erano allontanati dopo la rissa a bordo di un'auto.

Il litigio era scoppiato per futili motivi, si erano involontariamente scontrati all' esterno del pub scambiandosi poi qualche parola di troppo. E in poco tempo è scattata la maxi rissa tra ragazzi che ha coinvolto una quindicina di persone armate di bicchieri, bottiglie rotte. Uno di loro però ha tirato fuori il coltello e ha colpito due volte all'addome il primo giovane di 27 anni e successivamente ha inferto tre coltellate al petto al ventunenne. E l'arma è rimasta conficcata nel cuore.
Con un amico, poi, l'aggressore è tornato a casa a bordo di una Bmw di sua proprietà. Sono però stati rintracciati dai carabinieri e fermati.

Gli amici delle vittime sono ancora sotto choc: "Hanno ammazzato Alessio come un cane - dicono sconvolti - Sia lui che l'altro amico ferito non conoscevano il gruppo di persone con cui sono arrivati a contatto, erano in cinque o sei. Alessio era una persona pacifica".

In serata la procura di Velletri ha emesso quattro provvedimenti di fermo: tre per omicidio e tentativo di omicidio. Per un quarto giovane, un trentenne originario di Rocca di Papa, l'imputazione è per il reato di rissa.

Ragusa: licenziato per 5 euro, impiegato di 30 anni si toglie la vita

Lo hanno trovato impiccato nella sua casa di campagna, dopo averlo cercato inutilmente per un giorno e una notte. Accanto al cadavere solo un biglietto indirizzato alla moglie in cui chiedeva scusa e spiegava i motivi del suo gesto. E' morto così P. C., 30 anni, sposato e padre di un figlio in tenera età, licenziato qualche settimana fa da un supermercato di Ragusa dove lavorava come commesso per avere incassato alcuni buoni sconto da cinque euro. Un provvedimento ritenuto ingiusto, oltre che sproporzionato, che aveva fatto piombare il giovane commesso nella disperazione più nera.

L'ennesimo dramma della disoccupazione in una provincia un tempo ritenuta l'Eldorado della Sicilia ma dove oggi soffia forte il vento della crisi.
A denunciare quanto è accaduto sono stati i dirigenti della Uil, il sindacato al quale la vittima si era rivolto dopo essere stato licenziato. "Era un nostro iscritto - dice il segretario provinciale Giorgio Bandiera - faceva parte del direttivo della Uiltucs, lo stavamo seguendo nella sua azione giudiziaria promossa per ottenere la revoca del licenziamento. Proprio ieri era stato predisposto, insieme al nostro legale, il ricorso al giudice del lavoro".

Il sindacalista spiega anche i motivi del licenziamento da parte dell'azienda, una catena della grande distribuzione, definiti assolutamente risibili. "Era stato accusato di aver cambiato cinque buoni-sconto di un euro, ma lui aveva respinto ogni addebito e non riusciva a darsi pace per un licenziamento che riteneva ingiusto e illegittimo". Gli fa eco Angelo Gulizia, segretario provinciale della Uiltucs: "Il dramma del lavoro - dice - ha fatto un'altra vittima. Togliersi la vita a trent'anni è una tragedia di cui non ci saremmo mai voluti, e dovuti, occupare".

Erano stati gli stessi familiari del giovane a denunciare la scomparsa del giovane, dopo che si era allontanato da casa. La moglie, che temeva la tragedia, è andata nell'abitazione estiva di famiglia, a Santa Croce Camerina. Ha visto la luce di casa accesa e ha intuito cosa poteva essere accaduto. Per questo non è entrata, ma ha chiesto l'intervento della polizia. E' stato l'equipaggio di una volante a trovare il corpo ormai senza vita del commesso. Accanto al cadavere un biglietto, scritto con una grafia incerta, indirizzato "A mia moglie". L'ultimo gesto di amore prima di farla finita.

sabato 15 gennaio 2011

il Marchionne del Grillo



Realizzato da thebrokercompany.

Vittorio Zucconi, ieri su Repubblica, ha scritto:

"Mentre scrivo questa nota, e non conosco ancora i risultati del referendum dunque proprio per questo scrivo, leggo sbigottito le affermazioni di personaggi come Sacconi, ministro della Repubblica Italiana (cioè tutti noi, elettori suoi o no) e non amministratore o azionista della Fiat, che fa propaganda per il “sì” come se fosse in ballo la sua elezione. Se l’Italia avesse un governo, anzichè questa banda di mezzetacche, di dilettanti, di azzeccarbugli e di mentecatti che recitano la commedia mentre il Caro Leader trascorre il proprio tempo a farsi intervistare dai propri dipendenti e a mandare messaggi ai propri tifosi per spiegare che cosa ci facesse a casa sua più volte una povera minorenne straniera senza documenti in cerca di marchette nel mondo dello spettacolo, forse vedremmo il governo medesimo adoperarsi, con sindacati, azienda, amministratori per cercare una soluzione che, senza buttare altri soldi pubblici nelle tasche dei privati come avvenne nel caso di Alitruffa e della stessa Fiat in passato, riducesse con strumenti fiscali, incentivi a costo zero, richiami politici, le contraddizioni fra costo del lavoro (attenzione, ripeto, non i “salari”, ma costo del lavoro che è cosa diversa) l’occupazione, il profitto (senza il quale non c’è impresa), la produttività, la competitività. Qualunque esito abbia questa consultazione con la pistola alla tempia fra i dipendenti della Fiat, il solo risultato certo è che l’ormai tragico, neppure più ridicolo, governo Bossi-Berlusoni-Bunga ha perduto un’altra occasione per fare quello per cui lo paghiamo, governare nell’interesse del massimo numero di cittadini possibile.

Marchionne fa il Marchionne. Gli Agnelli/Elkann fanno gli Agnelli/Elkann. I sindacati bianchi fanno i sindacati bianchi. I sindacati rossi fanno i sindacati rossi e magari tutti sbagliano. Il governo non fa nulla, di fronte a un evento che non cambierà soltanto l’avvenire della Fiat, ma della storia della società italiana. Nulla. Quale altro dovrebbe essere il compito di un governo se non quello di cercare di governare situazioni come questa della Fiat?

Che sta facendo quella Lega Nord che si atteggia a nuova protettrice e garante dei lavoratori traditi dalla sinistra? Su quale Piemonte vuole governare quel Cota eletto soltanto grazie allo sbriciolamento e allo spreco dei voti altrui? Mettere tariffe doganali sulle importazioni (cose che non potrebbe neppure fare) e trasformare la Fiat in una fabbrica neo sovietica, dove si produce qualsiasi rottame, tanto costa poco ed è autarchico?"

Morti bianche, crolla un solaio: muore un operaio nel Salento

(da qui)

Un operaio di 50 anni, Claudio Liaci, di Veglie, in provincia di Lecce, è morto per il crollo di un solaio mentre stava lavorando in un cantiere edile a Porto Cesareo, in una località che si chiama Ingegna.

Secondo i primi accertamenti, nel cantiere erano in corso lavori di demolizione quando ha ceduto una pensilina a tre metri di altezza e un solaio è crollato travolgendo l'operaio, che è morto all'istante.

Sul luogo dell'incidente sono intervenuti i carabinieri della Compagnia di Campi Salentina e gli operatori del Servizio prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro (Spesal) della Asl di Lecce.

(12 gennaio 2011)

venerdì 14 gennaio 2011

Travolto dalla gru e intrappolato nel nastro: due morti sul lavoro in poche ore

Due quarantenni perdono la vita sul loro posto di lavoro nel giro di poche ore. Uno a Medicina, in provincia di Bologna, l'altro a San Clemente (Rimini).


(da qui)

La prima vittima, è un carpentiere di 40 anni, P.L., originario di Brescia che stava lavorando in un cantiere, in via Fasanina, dove si sta costruendo una palazzina di quattro piani. L'incidente è avvenuto intorno alle 8.30: secondo una prima ricostruzione gli operai stavano versando calcestruzzo nelle fondamenta con una pompa erogatrice, collegata a un camion. Il mezzo però a un certo punto si è spostato, o perché il terreno ha ceduto o perché i perni sono venuti meno. Lo spostamento del camion (probabilmente, come comunicano i Carabinieri, perché il terreno ha ceduto) ha fatto muovere la pompa, che ha colpito l'uomo. Lascia un bimbo di due anni.

L'altra tragedia è avvenuta nel riminese dove un operaio, Pasquale Amatrice, ha perso la vita mentre era al lavoro nel reparto materie prime della Ceramica del Conca, a San Clemente. Secondo le prime ricostruzioni, l'uomo, sposato e padre di due figli, stava maneggiando un nastro trasportatore, probabilmente per una manutenzione (il ciclo produttivo in questo momento è infatti fermo), e per motivi in corso d'accertamento sarebbe rimasto impigliato nel nastro stesso, che l'ha stritolato. Le lesioni mortali sono probabilmente dovute ad una profonda lesione alla gola e ad un grave trauma alla base del cranio.

Su richiesta della Procura della Repubblica, che conduce l'inchiesta, è stato posto sotto sequestro parte dello stabilimento. Così come sono stati posti i sigilli al cantiere di via Fasanina.

Entrato in azienda nel 2001, Pasquale Amatrice, originario di Ercolano, secondo l'azienda era "formato ed esperto". La Ceramica del Conca si è detta anche "vicina alla famiglia, alla quale manifesta la massima partecipazione e disponibilità".

Si indaga anche sulla cause dell'incidente nel cantiere di Medicina. La vittima è caduta a terra, colpita al volto. La morte è stata immediata. Secondo le prime informazioni raccolte dai carabinieri, l'uomo lavorava per una società di Trezzano sul Naviglio (la M.C.F. italia srl) che stava costruendo la palazzina a Medicina in base a una complessa catena di subappalti.

(11 gennaio 2011)

I primi morti sul lavoro a Catania

Esplode fabbrica di fuochi, due morti nel Catanese

(da qui)

Due persone sono morte e un'altra è rimasta ferita nell'esplosione avvenuta in una fabbrica di fuochi d'artificio a Santa Venerina, comune in provincia di Catania. La deflagrazione, alla quale è seguito un incendio, è avvenuta poco dopo le 9,30. Sul posto numerose squadre dei vigili del fuoco e ambulanze oltre a polizia e carabinieri.

L'incidente è avvenuto in uno dei capannoni della "Pirotecnica Etnea", in contrada Cosentini, alla periferia di Santa Venerina. I due morti sono entrambi operai della fabbrica. Il ferito, Gaetano Spina, figlio del titolare, è stato trasportato dall'elisoccorso all'ospedale di Acireale e da lì trasferito al centro grandi ustioni del Cannizzaro di Catania. Le sue condizioni sono gravi. Secondo quanto si è appreso, la deflagrazione è avvenuta mentre le vittime stavano preparando una miscela esplosiva.

Sono state identificate le vittime dell'esplosione. Sono il romeno Petru Merla, di 39 anni, e Giuseppe Adornetto, di 75 anni, di Mascali, comune sempre in provincia di Catania. Un corpo è stato trovato carbonizzato, l'altro dilaniato. Il ferito è Gaetano Spina, di 45 anni, figlio del proprietario dell'azienda, che è stato trasferito d'urgenza dall'ospedale di Acireale al centro grandi ustionati del Cannizzaro di Catania, dove è ricoverato con la prognosi riservata.

I testimoni. "Ero al lavoro nella mia campagna, a circa cento metri dalla struttura, quando ho sentito un botto incredibile, sembrava fosse scoppiata la guerra, mi sono avvicinato ma non ho avuto il coraggio di entrare dentro". Così il proprietario di un terreno attiguo la fabbrica di fuochi d'artificio ricostruisce l'accaduto. E' stato tra i primi ad arrivare sul posto e a chiamare i soccorsi telefonicamente ed è ancora sotto choc: "Ho visto una scena terrificante, da film dell'orrore - aggiunge - lo confesso: ho avuto paura e mi sono subito allontanato per timore di altre esplosioni". L'esplosione è stata così violenta che è stata avvertita a diversi chilometri di distanza, anche in altri comuni alle pendici del versante Est dell'Etna. "Ho sentito un gran botto e la mia casa ha tremato come se ci fosse stato il terremoto", racconta Giuseppe Pirruccio, amico della famiglia Spina che abita a Fleri, a due chilometri della tragedia. "Sono sconvolto - aggiunge guardando i danni provocati dalla deflagrazione - e sono corso subito qui perché ho capito cosa poteva essere successo. Speravo di sbagliarmi, ma purtroppo non è stato così....".

Il magistrato. "Abbiamo trovato uno scenario terrificante. Una delle due vittime è stata investita dall'esplosione, scaraventata in aria e finita su un albero. L'altra è stata invece dilaniata dall'esplosione". E' quanto affermato dal sostituto procuratore della Repubblica Enzo Serpotta che ha ricostruito le conseguenze dell'esplosione avvenuta nella fabbrica di fuochi d'artificio dopo il sopralluogo compiuto nell'ambito dell'inchiesta aperta dalla Procura etnea. Serpotta ha poi evidenziato come ancora "non è possibile capire se siano stati rispettati i parametri di sicurezza" che la legge impone in questi luoghi.

(10 gennaio 2011)

giovedì 13 gennaio 2011

Uccide moglie e due vicini poi si suicida. "Era geloso"

(di STEFANO ORIGONE, da qui)

Soffriva di disturbi psichici Carlo Trabona, 74 anni, ex muratore, che nel '59 era stato arrestato per aver partecipato a un duplice omicidio in contrada Casabella di Cammarata di Agrigento. Condannato a 20 anni, era stato assolto per insufficienza di prove. Le sue vittime erano originarie del suo paese Vallelunga Pratameno, in provincia di Caltanissetta. La moglie Antonina Scinta, 72 anni, Loreto Cavarretta, 68 anni, il vicino di casa, e suo fratello Angelo, di 76, si conoscevano fin da ragazzi e sembrava ci fosse un'amicizia. Invece, gelosia ha cancellato ogni briciolo di ragione e stamane, alle 10.30, in un bar di via Piacenza, la follia è esplosa.

La ricostruzione. Trabona esce di casa alle 10.20. Percorre a piedi 300 metri armato di una Smith&Wesson calibro 38 (che risulta rubata nel 1979 a Genova) e raggiunge i due fratelli Cavarretta davanti al Carrefour Espress di via Piacenza. "Bastardo, ora te la faccio pagare", urla a Loreto Cavarretta. Poi estrae l'arma e fa partire quattro colpi: Angelo viene colpito al torace e stramazza al suolo dietro i bidoni della spazzatura, Loreto ha due buchi in pancia, ma riesce a scappare verso la sede della Croce Verde dio San Gottardo. Un uomo sentendo i colpi si affaccia alla finestra e vede Trabona che apre il tamburo della pistola: si è inceppata e non riesce a finire il suo rivale. Loreto scappa verso il supermercato Lidl lasciandosi alle spalle una scia di sangue. Il suo carnefice lo insegue per trenta metri deciso a finirlo, poi cambia idea e torna verso casa. Loreto e il fratello vengono portati al pronto soccorso del San Martino e del Galliera. Angelo muore per strada, Loreto alle 11.30 un'ora dopo un impossibile intervento.

Trabona entra nel palazzo. Sale al secondo piano e apre la porta. La moglie gli va incontro. Lui l'abbraccia e le spara un colpo in testa. Subito dopo suona alla porta di Loreto, che abita a fianco. Apre la moglie della vittima. "Ho ucciso tuo cognato e ho sparato a tuo marito. Ora tocca a tuo figlio". La donna fa in tempo a chiudere la porta e chiama il 113. L'assassino copre il cadavere della moglie con una coperta e chiama con il cellulare la figlia Esterina. "Ho fatto quello che dovevo fare da tempo, ho ammazzato tua madre perché mi tradiva".

Trabona rimane un'ora sul pianerottolo. Si punta la canna della pistola alla gola e minaccia di spararsi. Gli agenti sono tenuti sotto tiro. E' impossibile intervenire. Le scale sono bloccate, non possono tentare un blitz usando l'ascensore perché ha le pareti di vetro. Inizia una lunga trattativa. Un vicino si offre di collaborare, così' gli agenti con una scala raggiungono il suo poggiolo per essere pronti a intervenire. Non c'è più tempo. Alle 12.56, Trabona si spara alla tempia l'ultimo colpo. Muore mezz'ora dopo in ospedale.

Gli amici. Un amico delle famiglie, Claudio Pigella, ora dice: "Sono incredulo, erano tra loro persone molto legate, anche perchè venivano dallo stesso paese. Facevano spesso passeggiate insieme. Giocavano a carte al circolo della Concordia. Facevano interminabili partite. Nessuno poteva immaginare una cosa del genere. Quasi non ci credo".

Maltattava la moglie. Dietro l'apparenza di uomo bonaccione e sereno, però, covava un'ossessione che lo tormentava da tempo. Era geloso della moglie, convinto che la sua Antonina fosse l'amante del vicino di casa. Spesso in casa scoppiavano liti e Antonina Scinta si era confidata con le figlie raccontando che veniva maltrattata.
I maltrattamenti non erano stati mai denunciati ma sono emersi grazie al racconto delle figlie alla polizia. Trabona era convinto che la moglie se la intendesse con il dirimpettaio Loreto Cavarretta. Sarebbe stato proprio questo tarlo ad armare la mano dell'uomo che oggi ha scatenato un inferno nel popoloso quartiere di Molassana a Genova.

(09 gennaio 2011)

Omicidio-suicidio a Fidenza: morti mamma e due bambini

(da qui)

FIDENZA (Parma) - Tragedia la scorsa notte a Fidenza, in provincia di Parma, dove hanno perso la vita due bimbi e la mamma. Sono le 2,30 del mattino quando Paola Caltabiano, 42enne casalinga originaria di Napoli, esplode tre colpi di pistola nella sua casa, al terzo piano del civico 100 di via Berenini, con la Smith and Weston semiautomatica del marito, Salvatore Manfredi (44 anni), guardia giurata dipendente di una ditta di Parma.

I proiettili centrano al petto i due figli: la piccola Claudia (9 mesi) e il fratello maggiore Antonio (12 anni). Poi, la donna rivolge l’arma contro se stessa, sparandosi alla testa. Paola Caltabiano soffriva di depressione, era in cura da uno psicologo dell’Asl di Fidenza. E’ il marito a chiamare immediatamente il 118, che a sua volta allerta i carabinieri. Sul luogo della strage i militari troveranno i corpi senza vita dei bambini, distesi sul letto. Per terra, al loro fianco, la madre, e lì vicino la pistola. Da Parma arrivano i Ris per i rilievi scientifici, il magistrato di turno, il pm Lupo e il medico legale. La mattina per questo piccolo e tranquillo comune della provincia parmigiana arriva ben prima dell’alba.

LE TESTIMONIANZE. Proprio di fronte alla casa c’è un bar, di cui Salvatore è un frequentatore abituale. Il titolare e gli altri clienti ne parlano bene: una persona cortese, sempre con il sorriso sulle labbra, simpatico, educato. Qualcuno ricorda di aver preso con lui un caffè tre o quattro giorni fa. La moglie si vedeva meno in giro. Una vicina la descrive come una donna gentile, cordiale: “Mi chiamava per sentire come stavo. Una mamma molto affettuosa”. Il sabato in genere la famiglia si concedeva una passeggiata nel corso. Descritti come sereni, felici, una “famiglia modello”. Erano arrivati a Fidenza nel 2007. Salvatore aveva passato alcuni mesi da solo all’hotel Ugolini. Poi una volta trovati casa e lavoro, Paola e Antonio lo avevano raggiunto da Napoli. “Venivano spesso – dice il titolare dell’albergo-ristorante – a prendere le pizze, la mamma con il bambino”. Antonio seguiva il catechismo nel centro interparrocchiale di San Michele, lo stesso dove è stata battezzata la piccola Claudia. La sua nascita era stata accolta con grande gioia dalla famiglia e sembrava aver riportato serenità. Un’altra vicina ricorda come hanno lasciato il fiocco rosa per più di due mesi.

Sulla porta di casa oggi insieme ai sigilli c'è ancora una decorazione di Natale. “Ci sono tragedie – dice il diacono del centro San Michele – a volte incomprensibili.”.

(08 gennaio 2011)

mercoledì 12 gennaio 2011

morti in carcere: il 2011 si apre a Livorno

(da qui)

Yuri Attinà, 28 anni, è morto mercoledì in una cella delle Sughere, colpito da un malore. L'esame medico per chiarire le cause del decesso. Intanto protestano i membri del comitato "Verità per Yuri".

Sarà eseguita oggi l'autopsia sul corpo di Yuri Attinà, il detenuto livornese di 28 anni morto mercoledì in una cella del carcere delle Sughere di Livorno. L'esame medico legale, che sarà eseguito dal dottor Luigi Papi, servirà a chiarire le cause del decesso del giovane. Secondo i primi accertamenti Attinà sarebbe stato colpito da un malore che gli è stato fatale.

Il sostituto procuratore di Livorno Massimo Mannucci ha aperto un fascicolo contro ignoti, funzionale all'esecuzione dell'autopsia. All'esame medico dovrebbe partecipare anche il consulente di parte nominato dal legale che rappresenta la sorella e la nipote del detenuto ventottenne.

Il garante dei detenuti di Livorno Marco Solimano ha visitato il carcere livornese e ha consultato ampia documentazione sull'episodio della morte di Attinà. Oggi, invece, previsto un presidio di protesta davanti all'ingresso del carcere: a organizzarlo un comitato, battezzato "Verita' per Yuri", "per gridare verità per Yuri - si legge in una nota - e per non lasciare che un'altra morte venga bollata e insabbiata con false e retoriche frasi di circostanza". Le Sughere, aggiunge il comunicato, sono "un carcere diventato da record per decessi e "suicidi". Negli ultimi 10 anni sono stati 20 i morti: una carneficina. Rimane un dato di fatto - conclude il comitato - Di carcere si muore e questo è a prescindere un altro omicidio di Stato. Uno Stato che non sa tutelare chi finisce in prigione con l'aggravante di dubbi e omissioni".

(07 gennaio 2011)
 
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