martedì 28 dicembre 2010

"Ganzer si accordò con narcotrafficanti" - le accuse dei giudici al generale

MILANO - Il generale Giampaolo Ganzer "non si è fatto scrupolo di accordarsi" con "pericolosissimi trafficanti". Lo scrivono i giudici di Milano nelle motivazioni della condanna a 14 anni per il comandante del Ros nel processo per presunte irregolarità nelle operazioni antidroga. "Il generale Gianpaolo Ganzer non si è fatto scrupolo di accordarsi con pericolosissimi trafficanti ai quali ha dato la possibilità di vendere in Italia decine di chili di droga garantendo loro l'assoluta impunità. Ganzer ha tradito per interesse lo Stato e tutti i suoi doveri tra cui quello di rispettare e fare rispettare la legge", scrivono i giudici del Tribunale, spiegando perché il 12 luglio scorso condannarono il capo del Ros dei carabinieri per traffico internazionale di droga in riferimento a operazioni sotto copertura.

Secondo i giudici dell'ottava sezione penale di Milano, presieduta da Luigi Caiazzo, il generale ''non ha minimamente esitato (...) a dar corso'' a operazioni antidroga ''basate su un metodo di lavoro assolutamente contrario alla legge, ripromettendosi dalle stesse risultati d'immagine straordinari per se stesso e per il suo reparto''. Il comandante dei Ros inoltre ''ha tradito, per interesse personale, tutti i suoi doveri, e fra gli altri quello di rispettare e far rispettare le leggi dello Stato''. I giudici oltre a Ganzer, avevano condannato altre 13 persone - a pene variabili dai 18 anni in giù - tra cui anche il generale Mauro Obinu e altri ex sottufficiali dell'Arma.

L'accusa aveva chiesto per Ganzer 27 anni di carcere, ma i giudici lo avevano assolto dall'accusa contestata dalla Procura di associazione per delinquere e lo avevano condannato per episodi singoli di traffico internazionale di stupefacenti.

Preoccupante
personalità. Il generale Giampaolo Ganzer ha una ''preoccupante personalita''' capace ''di commettere anche gravissimi reati per raggiungere gli obiettivi ai quali è spinto dalla sua smisurata ambizione'', spiegano ancora i giudici. Nel motivare la mancata concessione a Ganzer delle attenuanti generiche, il collegio scrive che le stesse attenuanti non possono essere riconosciute ''non solo per l'estrema gravità dei fatti, avendo consentito che numerosi trafficanti (...) fossero messi in condizioni di vendere la droga in Italia con la collaborazione dei militari e intascarne i proventi, con la garanzia dell'assoluta impunità, ma anche per la preoccupante personalità dell'imputato, capace di commettere anche gravissimi reati''.

Nei panni di un distratto burocrate.
Colpisce, si legge ancora nelle motivazioni, "nel comportamento processuale di Ganzer (...) che abbia preso le distanze da tutte le persone che, con il suo incoraggiamento, avevano commesso i fatti in contestazione". Il generale, secondo i giudici, si è trincerato "sempre dietro la non conoscenza e la mancata (e sleale) informazione da parte dei suoi sottoposti". Così, si legge ancora, per "sfuggire alle gravissime responsabilità" ha "preferito vestire i panni di un distratto burocrate che firmava gli atti che gli venivano sottoposti".

Non c'è reato di associazione.
Non si ravvisa, secondo i giudici, il reato di associazione per delinquere: "Non si ravvisa negli imputati l'intento di partecipare in modo stabile e permanente ad un programma comprendente la realizzazione di una serie indeterminata di reati, ma soltanto l'intenzione di eseguire alcune operazioni" che, tra le altre cose, avrebbero consentito loro di dare "lustro, davanti ai propri superiori e all'opinione pubblica, al corpo di appartenenza", scrivono i giudici per i quali "l'esistenza di reiterate deviazioni nell'ambito del Ros, ad opera di appartenenti al suddetto Raggruppamento" non è "sufficiente ad integrare" il reato associativo "in mancanza di un vincolo stabile tra gli imputati e della creazione da parte degli stessi di una seppur minima struttura finalizzata al raggiungimento di fini illeciti e criminosi". Il fatto che, spiegano i giudici, "si siano utilizzate le strutture dell'Arma dei Carabinieri realizza certamente un gravissimo abuso dei poteri e una gravissima violazione dei doveri che incombevano sugli imputati (...), ma non consente in alcun modo di identificare la struttura di un lecito servizio (ossia la struttura stessa del Ros, ndr) nella struttura dell'associazione". Non vi è stata, si legge ancora,"neanche una suddivisione dei ruoli tra gli imputati, diversa da quella esistente nell'ambito militare e in qualche modo funzionale alla commissione dei delitti di cui trattasi, e pertanto neppure sotto questo aspetto può dirsi che gli imputati abbiano costituito una autonoma struttura funzionale all'attuazione di un programma criminoso".

Ganzer: "Non commento le sentenze". ''Non commento le sentenze, sono un uomo delle istituzioni e lo sono sempre stato. Il mio unico commento è quello fatto in sede processuale, con i motivi d'appello'', ha detto comandante del Reparto operativo dei carabinieri, rispondendo a chi gli chiedeva un commento sulle motivazioni della sentenza dei giudici di Milano.

martedì 21 dicembre 2010

Filmata e violentata a tredici anni nel branco anche tre minorenni

(di Francesca Russi, da qui)

Filmavano le violenze sessuali con il telefonino e poi facevano girare i video tra i compagni di scuola. Il branco era composto da quattro ragazzini, due 14enni, un 15enne ed un 18enne. Vittima delle aggressioni continue invece una 13enne di Gravina in Puglia, in provincia di Bari, costretta ad avere rapporti sessuali con i suoi aguzzini. E guai a ribellarsi: in caso contrario i violentatori avrebbero diffuso i filmati.

La storia comincia nel pomeriggio di una domenica dell’ottobre scorso, la 13enne esce in compagnia dei suoi amici di comitiva, quando un gruppo di ragazzi si avvicina a lei. In tre, due 14enni ed un 15enne, la trascinano lontano da occhi indiscreti, con una spranga le colpiscono la spalla e la costringono ad avere rapporti sessuali con due di loro, mentre il terzo riprende la scena con il cellulare. Un amico della ragazza prova a fermarli, ma i tre gli “consigliano” di “farsi gli affari propri”. La tortura però non finisce qui: i tre costringono la 13enne a sorridere davanti alla microcamera. Il rito perverso viene ripetuto per altre tre volte.

Intanto però il filmato diventa un cult tra i ragazzi della stessa scuola media. Dopo venti giorni, un sabato sera, ai tre si aggiunge un 18enne, un cameriere senza nessun precedente penale. Uno dei minorenni costringe la ragazza a seguirli brandendo una mazza e minacciandola. Qui il maggiorenne le offre il suo aiuto: se avesse avuto un rapporto sessuale anche con lui avrebbe convinto i tre minori a cancellare il video dai loro telefonini. La ragazza così accetta e si sottopone all’ennesima tortura fisica e psicologica, con la speranza che dopo quella sera il suo incubo sarebbe finito. Una speranza vana. Tre settimane dopo, è ancora un sabato sera, l'adolescente viene accerchiata dal branco e costretta a un rapporto con uno dei minorenni. Ancora altre riprese.

Lei li implora: “Per favore cancellate quei filmini”. Ha paura di quello che potrebbe dire il padre e per questo una settimana dopo convince un’amica a marinare la scuola e ad andare a casa di uno dei minorenni per cercare di convincerlo a cancellare quelle immagini. Ma quando arriva a casa del ragazzo si ripete lo stesso copione, questa volta però davanti all’amica che assiste inerme, impossibilitata ad aiutarla.
A quel punto la 13enne capisce che il branco non l’avrebbe mai lasciata in pace e così racconta tutto ai suoi genitori che immediatamente denunciano le violenze alla polizia. Dopo un mese di indagini, questa mattina i quattro bulli sono stati fermati.

Su ordine di custodia cautelare emesso dal Gip del Tribunale di Bari, gli agenti della Squadra Mobile di Bari e del Commissariato di Gravina hanno arrestato G. P., 18 anni con l’accusa di violenza sessuale su minore e detenzione e cessione di materiale pedo-pornografico. Su provvedimenti emessi invece dal Gip del Tribunale per i Minorenni, un 15enne e un 14enne sono stati destinati a una comunità di recupero, con l’accusa di violenza sessuale e detenzione e cessione di materiale pedo-pornografico. A un terzo minore di 14 anni i poliziotti hanno notificato un obbligo di permanenza in casa con l’accusa di realizzazione e detenzione di materiale pedo-pornografico. I tre minori sono tutti incensurati.

lunedì 20 dicembre 2010

fascismo di governo

Ci sarà tempo per interrogarsi sulla pressione scaricata sulle polizie sospinte dalla volontà autoritaria del governo nello spazio stretto tra la politica e il diritto, tra la violenza e la legge (già "Genova 2001" ci ha detto che in uno Stato che si presenta come questurino c'è chi è disponibile a un'illegalità criminale quando il dissidente diventa un "nemico" da annientare). Oggi vale la pena soltanto rinnovare una preoccupazione che sarà opportuno che sia condivisa nelle prossime ore. Contro un movimento di giovani che rifiuta un progetto di ordine sociale, che si oppone a un'eterna precarietà, alla caduta di ogni garanzia di eguaglianza e chiede opportunità e futuro, il governo decide di rafforzare se stesso preparando il peggio. Evoca un "diritto di polizia" e un uso della violenza. Accende la rabbia. Eccita gli animi meno consapevoli. Cinicamente fa di conto: nuovi disordini gli fanno gioco, debole come è. È questa la funesta trappola che, a partire da oggi, i "movimenti" dovranno aggirare con lucidità e intelligenza.

(Giusepppe d'Avanzo, 20 dicembre 2010)

venerdì 17 dicembre 2010

Thyssen, chiesti 16 anni per l'ad Herald Espenhahn

(da qui)


Il reato ipotizzato, per la prima volta in un caso di incidente sul lavoro, è omicidio volontario con dolo eventuale. Chiesti 13 anni e 6 mesi per gli altri quattro dirigenti. La madre di una delle vittime si è alzata in aula e ha detto: "Ergastolo, ci vuole l'ergastolo"


La condanna a 16 anni e mezzo di reclusione dell'amministratore delegato Herald Espenhahn è stata chiesta dall'accusa al processo Thyssenkrupp. Il reato ipotizzato, per la prima volta in un caso di incidente sul lavoro, è omicidio volontario con dolo eventuale. Il pm Raffaele Guariniello ha poi chiesto la condanna a 13 anni e 6 mesi per i quattro dirigenti (Marco Pucci, Gerald Priegnitz, Raffaele Salerno e Cosimo Cafueri), e a 9 anni per un quinto, Daniele Moroni. Questi rispondevano di omicidio colposo. "La richiesta di pena avanzata per Harald Espenhahn è esagerata e assurda perché frutto di una impostazione giuridica sbagliata": così Ezio Audisio legale dell'ad della Thyssen commenta la richiesta. "Noi riteniamo - ha aggiunto Audisio - che il fatto doloso non sia per nulla sussistente e che in ragione dell'organizzazione dell'azienda e delle deleghe conferite l'ad aveva attribuito alla gestione locale responsabilità attinenti alla gestione dello stabilimento e quindi anche con riferimento ad eventuali profili colposi non riteniamo sia lui destinatario di questi profili".

"La pena chiesta è troppo bassa. Spero che i giudici l'aumentino. Gli imputati devono pagare per sette vite". Lo ha detto Grazia Rodinò, la mamma di Rosario, uno dei sette operai uccisi nell'incendio alla Thyssenkrupp. In aula, dopo la richiesta del pm, la signora ha urlato "ergastolo, ci vuole l'ergastolo". "Sono tre anni che quei bastardi si fanno il Natale tranquilli. Noi no. Noi il 24 dicembre siamo al cimitero a piangere i nostri cari - ha detto in aula un'altra parente delle vittime del rogo - se le pene non possono che essere queste bisogna andare a Roma, bisogna rivolgersi a Roma, si devono alzare le pene per chi ammazza le persone".

"Abbiamo chiesto ciò che è giusto in scienza e coscienza": ha detto il procuratore Raffaele Guariniello ai giornalisti dopo avere terminato la requisitoria al processo Thyssenkrupp. "Questa - ha spiegato il magistrato - non è una giurisprudenza nuova. Abbiamo applicato le norme della Cassazione su delle prove che, nei casi di infortuni mortali sul lavoro, in generale non sono mai emerse. La novità in effetti è che siamo davanti a una corte d'assise". Guariniello, a chi fa presente che i familiari delle vittime desideravano richieste di condanna più alte, risponde "abbiamo cercato di fare e di dare il massimo", riferendosi alla tempestività con cui sono state chiuse le indagini (meno di tre mesi) e alla velocità con cui è stato celebrato il dibattimento, che fino a oggi ha richiesto oltre ottanta udienze.

Anche per la società Thyssenkrupp, chiamata in causa come persona giuridica, ci sono state delle richieste di pena da parte del pm Raffaele Guariniello: il magistrato ha proposto una sanzione pecuniaria di un milione e mezzo di euro, l'esclusione da agevolazioni e sussidi nonché la revoca di quelli in corso e il divieto di pubblicizzare i propri prodotti per un anno. Un'altra sanzione è la pubblicazione per intero della sentenza su grandi giornali di risonanza internazionale.

giovedì 16 dicembre 2010

Uccide l'ex fidanzata, poi si spara e muore

(da qui)

Ha cercato di convincerla a tornare con lui, ma di fronte all'ennesimo rifiuto l'ha uccisa e poi si è tolto la vita con la stessa pistola. E' questa con ogni probabilità la dinamica dell'omicidio-suicidio avvenuto ieri pomeriggio a Borgo San Dalmazzo nel Cuneese. Sul delitto stanno indagando carabinieri e polizia e per ora si conoscono pochi particolari della vicenda. Lui, Franco Ruffinengo, 55 anni, commercialista di Carmagnola, avrebbe cercato per l'ennesima volta di convincere l'ex fidanzata a a rimettersi insieme. Lei, Vincenzina D'Amico, 53 anni, stava rientrando nella sua abitazione, in via Tevere 27, a Borgo.

Ruffinengo le ha chiesto di parlare. I due sono entrati in casa, ma poco dopo la discussione si è trasformata in un violento alterco. E' a questo punto che l'uomo avrebbe estratto la pistola, comprata solo nei giorni scorsi, minacciando la donna che ha anche cercato di scappare. Lui l'ha raggiunta e le ha scaricato addosso quasi tutto il caricatore. La donna è stata colpita da almeno una decina di proiettili, nonostante un ultimo disperato tentativo di fuggire dal balcone. Poi l'uomo si è sparato alla testa.

L'allarme è stato dato da vicini di casa che hanno sentito il rumore degli spari, ma quando forze dell'ordine e medici del 118 sono arrivati in via Tevere gli ex fidanzati erano entrambi già morti.

mercoledì 15 dicembre 2010

la violenza

Scrivo queste righe in un momento di grande turbamento e confusione. Come spesso mi avviene, dopo i primi momenti e le prime reazioni seguo una traiettoria incerta tra molte opinioni, più o meno sensate. E cerco di mettere a fuoco i pensieri, le sensazioni, capire qualcosa nella marea di fotografie, racconti, opinioni espresse.

Per quanto mettere su carta o su schermo delle idee tenda a dare loro un aspetto categorico, non sono una persona innamorata delle mie idee. Sì, ho alcune idee astratte, preconcetti ideologici e uno schema rigido su come relazionarmi analiticamente alla realtà - ma sul piano concreto mi ritengo capace di ammettere gli errori, di cambiare idea e di sapere guardare ai fatti da diverse prospettive, cercando di immedesimarmi con i punti di vista altrui. Cosa che non mi rende facile prendere una posizione definitiva, e quindi che mi costringe a ragionare sulle cose più di quanto in genere vorrei (leggi: a oltranza).

Per questo apro uno spazio di riflessione. A buttare una serie di impressioni mal digerite sulle quali vi invito a darmi le vostre opinioni e critiche.

Premessa. Lo stato della società italiana è a pezzi e la gente è frustrata. Come dicevano altri qui, "è più violento chi tira un sampietrino o chi distrugge le dignità di persona ad un lavoratore a Pomigliano"?

La data. Non so se sia stata scelta prima la data della manifestazione o quella del voto di fiducia, ma la coincidenza fra i due fatti è stata assai sfortunata. Se gli organizzatori speravano di porre una pressione politica agli "incerti", hanno fallito, e la cosa era prevedibile. Se speravano di festeggiare una eventuale caduta del governo, hanno sbagliato la previsione. La scelta della data è stata infelice anche per questo: era facile pensare che, in caso di tenuta del governo (una eventualità sempre più probabile col passare dei giorni), ci sarebbe stata frustrazione diffusa - terreno fertile per coglioni o provocatori dell'una e dell'altra parte.

Il servizio d'ordine. Dov'era il servizio d'ordine? C'era un servizio d'ordine? Parliamoci chiaro: la situazione degli ultimi anni, a partire dal G8 di Genova del 2001 in Italia, ma dal G8 di Seattle nel mondo, è diventata sempre più tesa. Al di là delle questioni socioeconomiche e del "complotto capitalista" contro lo stato sociale, il risultato di tutto questo è un altissimo livello di scontro in piazza, come non si vedeva dagli anni settanta. E quindi?

E quindi quello che manca dolorosamente a questa "classe manifestante" è un servizio d'ordine, un "cordone sanitario" che tenga tra la polizia e i manifestanti. Disciplinato e mirato a impedire qualsiasi provocazione che arrivi (fisicamente) "dall'interno", dai manifestanti veri o presunti. Peraltro, bisognerebbe anche invitare tutti i manifestanti, ripetutamente e con megafoni, a tenere tutti il volto scoperto. La sciarpa o la kefiah a coprire il volto fanno molto "intifada", ma alla fine servono solo a coprire gli eventuali provocatori.

Rivolta o rivoluzione? Ieri ci sono stati amici, conoscenti e blogger che hanno parlato di "rivoluzione". Ora, ci sono diversi livelli ai quali si può vedere la cosa. Intanto, per parlare di rivolta o rivoluzione serve una iniziativa dei manifestanti. Se in preda alla frustrazione hanno assalito la polizia, le banche, i chioschetti degli immigrati e le macchine di chi non c'entrava niente, hanno sbagliato. Se hanno risposto agli assalti della polizia, non ho nulla da eccepire - personalmente fantasticherei di mantenere un aplomb gandhiano, ma se picchiassero mio fratello o una mia amica non credo che starei lì con la faccia da santo a lasciarli fare. Così come non è facile, una volta che sia partito il casino, starsene con le mani in mano. Ovviamente bruciare una macchina o tirare sampietrini ai passanti (non ai poliziotti, una volta che sia cominciata la rissa e il caos) non credo mi verrebbe mai in mente.

Detto questo, c'è chi si augura che sia un segnale per una rivoluzione. Ma come dice il mio amico Grass, "sono contrario a ogni forma di violenza che non sia mirata e risolutiva". Sono pacifico ma non pacifista, ma sull'aspetto "rivoluzionario" mi domando: si può fare una rivoluzione di minoranza? In una democrazia (pur con tutti i limiti del caso), non lo trovo giusto. E se fossimo "maggioranza" probabilmente non ci sarebbe bisogno di rivoluzione. Infine, quante speranze di successo avrebbe una "rivoluzione"? Zero secco. In compenso si attirerebbe ostilità della popolazione e si facilita un inasprimento ulteriore della repressione e un rafforzamento del sistema che si vuole abbattere. Non credo che ci siano condizioni, non credo che ci sia neanche la cultura per una azione rivoluzionaria. Non riusciamo neanche a metterci d'accordo per votare un partito o fare una manifestazione senza scontri, figuriamoci ad abbattere un governo democraticamente eletto in un contesto storico come quello attuale.

Siamo realisti: anche solo parlarne è ridicolo. La rivoluzione di cui abbiamo bisogno è culturale, si combatte tutti i giorni col dialogo, la persuasione e la resistenza intellettuale; si combatte al supermercato, si combatte in libreria, si combatte nelle università e si combatte votando anche quando lo schifo e l'angoscia superano ogni livello di guardia. Si combatte andando alle manifestazioni, mandando giù le provocazioni, iscrivendosi ai sindacati, iscrivendosi ai partiti e facendo politica dall'interno. Si combatte facendo informazione e prendendo a schiaffi (virtuali) gli apatici e gli indifferenti, fino all'esaurimento delle proprie forze. E qui ho fatto un po' di retorica da quattro soldi.

Agenti provocatori. Ieri la massa dei blogger sinistronzi sono passati dall'esaltazione della violenza rivoluzionaria al "è tutta colpa dei black block". Io non c'ero e le dinamiche non le conosco; e non mi convincono le foto, la cui interpretazione è spesso condizionata dai pregiudizi ideologici (un tizio vestito da manifestante con un manganello sarà sempre un agente infiltrato per i sinistronzi ma sempre un manifestante che ha rubato il manganello ai poliziotti per i reazionari). Personalmente non ho bisogno di alcuna foto per credere che ci siano stati agenti provocatori infiltrati perché da questo governo (e dai vertici delle forze dell'ordine) mi aspetto di tutto.

E sono anche convinto che molti dei poliziotti che sono lì non lo sanno, o non ci credono, e credono alla favola del "cattivo no-global" che vuole solo spaccare tutto, così come noi sinistronzi crediamo che tutti i poliziotti siano fascisti che non aspettano altro che di spaccarci la testa. E intanto a godere sono i fascisti veri, quelli che stanno nelle istituzioni e che poi godono della violenza.

Spot governativo. Perché poi tutto questo in fin dei conti serve ad accrescere la confusione e le divisioni fra le opposizioni, e a rafforzare il governo, specialmente nell'opinione pubblica "moderata", quella borghese, tendenzialmente superficiale e reazionaria, quella che ha paura che i comunisti le rubino tutto anche se non ci hanno un cazzo (Ugo Tognazzi in "Vogliamo i colonnelli", due post più sotto). "Di queste cose non ce n'è bisogno" (Roberto Vecchioni in "Calle mai più").

PS: Con questo non intendo né intenderò MAI che non si debba manifestare o fare scelte difficili per paura di "infastidire" il "popolino". Solo che se vogliamo arrivare da qualche parte, dobbiamo essere MEGLIO. Così non basta.

martedì 14 dicembre 2010

Madre e figlio massacrati: prima di morire l'intervista shock

(di Maurizio Bologni, da qui)

E' come se nell´intervista radiofonica, rilasciata a «Radio studio 54» di Scandicci due settimane prima di essere massacrato in casa assieme a sua madre Bruna Boldi, Gianni Coli indichi agli investigatori la strada da battere per scoprire il suo assassino. Un´intervista scomoda. Che a qualcuno può aver dato noia. «Fa i nomi di due italiani quarantacinquenni che frequentava e di un giovane extracomunitario che aveva conosciuto una settimana prima» sostiene Guido Gheri, da sempre patron di «Radio studio 54», che promette di rimandare in onda il servizio stamani alle 11. E proprio stamani la polizia è andata negli studi dell'emittente fiorentina per acquisire i file della registrazione.

«Era nervoso, non riusciva a stare seduto, voleva fumare una sigaretta dietro l´altra». Così Guido Gheri ricorda l´incontro avuto con Gianni Coli negli studi della sua radio due settimane fa, un venerdì sera, quando va in onda la trasmissione «Donne su facebook» condotta da due ragazze, Alessandra e Silvia.

«Da sempre la mia è una radio attenta ai problemi dell´omosessualità - spiega Gheri - avevo invitato Coli che conosco da tempo per raccontarsi». Ma a quanto dice il fondatore dell´emittente radiofonica, Coli si sarebbe spinto molto oltre.

«In diretta ha fatto i nomi di due uomini che dormivano abitualmente a casa sua - sostiene Gheri - ha raccontato di dove erano e dove lavoravano, ha spiegato il suo diverso grado di coinvolgimento sentimentale con l´uno e con l´altro. Ha anche detto di essere piuttosto ‘preso´ da un ragazzo extracomunitario conosciuto per caso appena una settimana prima vicino al Tenax». Da quanto riferisce Gheri, a microfoni spenti Coli avrebbe anche confessato di aver avuto relazioni con due persone molto in vista della città. «Due ‘nomoni´, davvero» dice il leader storico di «Radio Studio 54», che promette di rimandare in onda stamani la trasmissione e che sarà adesso quasi certamente sentito dalla polizia come teste, soprattutto se la registrazione radiofonica confermerà questi contenuti.

Intanto, ieri, la polizia ha continuato a sentire parenti e conoscenti delle due vittime. Esclusa l´ipotesi che madre e figlio possano essere stati aggrediti e uccisi da un balordo che alle 2.30 della notte ha scampanellato a molti portoni del palazzo di via Baccio da Montelupo chiedendo aiuto e a cui - si era ipotizzato - Gianni e sua madre, che erano persone generose, potrebbero aver aperto il portone di casa. Quell´uomo sarebbe stato identificato. E´ un mendicante habitué della zona, non nuovo a scampanellate notturne, ma a quanto pare innocuo.

domenica 12 dicembre 2010

venerdì 10 dicembre 2010

Carotenuto sul caso Assange

L'ottimo Gennaro Carotenuto scrive:

Infatti, se un rompiscatole come il fondatore di Wikileaks va gettato in galera per un motivo qualsiasi né più né meno come gli sarebbe successo se fosse stato iraniano o cinese, allora cade la maschera. Il segreto di Stato vince sul diritto dei cittadini a sapere, anche in paesi come la Svezia o gli Stati Uniti. Ma se il segreto, la riservatezza, viene presentato addirittura come l’architrave della tenuta del sistema democratico, fino a trattare Wikileaks come un’organizzazione terrorista, allora è il modello stesso di “società aperta” a divenire un ferrovecchio. E’ difficile dire se Assange paghi per i cascami della guerra al terrorismo dell’era Bush o se una triste campana a morto stia disegnando il XXI come il secolo degli autoritarismi, ai quali neanche l’Occidente liberal-democratico, dall’ipocrisia rivelata ad Abu Ghraib a quella dei paradisi fiscali, è capace di sottrarsi. Davvero l’Occidente può sentirsi sollevato perseguitando e non perseguendo la trasparenza? Oppure il valore etico di tale trasparenza dato dalle rivelazioni di Wikileaks, ne ha scritto con autorevolezza Sabino Cassese, sulle torture in Iraq come sul golpe in Honduras, ne dovrebbe essere la principale fonte di legittimazione? Come può l’Occidente attaccare la Cina per l’imperdonabile condanna a Liu Xiaobao e per il ridicolo boicottaggio di questa e di suoi alleati (tra i quali alcuni latinoamericani) del Premio Nobel, se col caso Wikileaks non sa farsi carico di rilanciare la trasparenza come valore fondativo? Frattini o Assange?


E ancora:

La domanda indispensabile da porre allora è: il fango che sta inondando la politica internazionale è stato prodotto o solo rivelato da Wikileaks? La risposta è evidente a chiunque sia in buona fede. Il fango c’era anche prima ed ha ragione Noam Chomsky a sostenere che Wikileaks riveli soprattutto che una parte importante dell’attività dei governi (democratici) è oggi evidentemente dedicata a evitare che i cittadini sappiano cosa i governi fanno. Per noi, ed è alla base del sistema democratico che quegli stessi governi sostengono di incarnare, è meglio sapere.

martedì 7 dicembre 2010

Addio a Monicelli

Questo è un pezzo su Monicelli che è stato scartato da Bile, il nuovo sito gestito da quei pazzerelli di ScaricaBile. Non era in linea con la linea editoriale, mi hanno detto! Comunque non è un buon motivo per non andare sul nuovo sito e leggerci! Presto tornerò lì con la mia rubrica internazionale TrashaBile. Però non è neanche un buon motivo per non leggere e lasciarmi la vostra opinione sul pezzo!

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“Ma voi, voi almeno l'avete visto ridere?”

“Come?”

La domanda mi colse di sorpresa. Il vento gelido soffiava sulla strada battuta dalla pioggia. La chiesa, immensa, incombeva sul giornalista, dal viso scavato e dalle occhiaie profonde.

“Non capisce? L'ha mai visto ridere?”

La folla di persone si ammassava all'interno dell'edificio. Il Sommo di turno andava venerato. Dalla quantità e dalla qualità delle persone si capivano sempre molte cose. Quanti vecchi, quanti giovani, quanti ricchi. Se c'erano più giovani con le kefiah o con le sciarpe viola - complotto dei commercianti o rivoluzione colorata dei Soros e dei Segretari di Stato americani? Se c'erano più ragazzi coi tatuaggi o con i capelli lunghi; con le sigarette o con le canne. Il funerale di una persona importante è sempre un evento politico.

Vorrei vedere qualcuno ridere a un funerale. Bestemmiando, magari, a cielo aperto, dio e gli uomini. Ma non è così che si fanno le rivoluzioni; non è facendo casino, aveva detto lui. Lo scrivo con la minuscola in segno di rispetto.

“No, non l'ho mai visto ridere. Era sempre accigliato.”

“Eppure faceva film così divertenti! Scriveva cose così divertenti!”
“Lei dice?”, risposi, addentando il mio panino con la finocchiona, mezzo bagnato dalla pioggia, mezzo impiastricciato della carta stagnola che ci si era attaccata come a uno scoglio di farina nel mare di lacrime versato dalla folla adorante.

“Era così bravo, era così bello.”

Le voci della folla mi assordano. Sono sempre le stesse e si ripetono come un'onda tremolante, allargandosi sempre di più, fino a sparire.

“Lei non dice che ci fosse una certa luce nei suoi occhi, un certo sguardo?”

“Ma non lo so, io non lo conoscevo... Ci ho mangiato un panino una volta. C'era questa manifestazione immensa, e lui che veniva intervistato... E poi siamo finiti seduti su un muretto... E io non gli ho nemmeno rivolto la parola... Lo guardavo e lo ascoltavo. Ci hanno presentati, gli ho detto il mio nome, gli hanno detto quello che faccio e mi ha augurato di far bene. Come farebbe chiunque. Chi cazzo ero io per lui? E poi chi era lui per me? L'autore, lo scrittore, o solo un vecchio come tanti. Ma quei tanti non ce li presentano mai.”

Il giornalista mi guardò attonito, questa tirata non se l'aspettava. Perché alla fine quando muore uno sono tutti lì ad applaudire, e non c'è mai nessuno che sappia alzarsi in piedi e dire: questo sì, quest'uomo mi è piaciuto per questo, ma per questo no, fare i distinguo, fare le critiche; e se davanti al successo non le si è fatte in vita, per questi nomi che ormai bisogna toccare con attenzione, da morti sono tutti uguali, orrendamente uguali, all'occhio bovino del popolo, svegliato solo per poppare il latte avariato dell'ennesimo spettacolo.

“Ma insomma, lei che lo ha incontrato, com'era nel privato Enrico Vanzina?”

“Lei ha sbagliato persona, io non sono venuto a questo funerale. E' solo che ho un appuntamento qui vicino con un amico. Per il tributo a un regista, morto tanti anni fa.”

Mi allontano, lasciando il giornalista spiazzato. Chissà chi credeva che fossi. Percorro quanto più in fretta possibile il marciapiede e raggiungo il mio amico proiezionista. Sotto il braccio ha le bobine di “Brancaleone” e di “Un borghese piccolo piccolo”. “Amici miei” no, quello era un progetto di Germi.

Comunque penso che chi vuole davvero bene a Monicelli sia ora con gli studenti e i ricercatori che manifestano. Non sta linkando spezzoni di youtube, e non sta scrivendo necrologi su blog.

E questo vale anche per te che mi leggi.

mercoledì 1 dicembre 2010

inchiesta sulla spazzatura in Sicilia

Anche se tutti parlano di Napoli, non solo di questo si occupa la Commissione d'Inchiesta sul Ciclo dei Rifiuti. Commissione bicamerale presieduta da Pecorella, uno dei tanti avvocati di Berlusconi, e a maggioranza centrodestra.

Tale commissione ha avviato una indagine sullo stato dei rifiuti in Sicilia, indagine conclusa da un rapporto approvato all'unanimità il 20 ottobre del 2010.

Rapporto impietoso, tra le altre cose, con figure quali il sindaco di Palermo e il sindaco di Trapani.

Il rapporto sta venendo ora esaminato in tutte le sue 135 pagine da Alla-Fonte, il sito di informazione a cui mi pregio di collaborare.

Per ora sono uscite 4 puntate che studiano e riassumono i contenuti del documento:

Palermo: la situazione e i problemi

Palermo: le cause

Trapani: i problemi e gli illeciti

Trapani: le infiltrazioni mafiose

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