venerdì 18 giugno 2010

lettera dei lavoratori polacchi FIAT

La lettera di un gruppo di lavoratori della fabbrica di Tychy, in Polonia, ai colleghi di Pomigliano che stanno per votare se accettare o meno le condizioni della FIAT per riportare la produzione della Panda in Italia

(Questa lettera è stata scritta il 13 giugno, alla vigilia del referendum a Pomigliano d’Arco in cui i lavoratori sono chiamati a esprimersi sulle loro condizioni di lavoro. La FIAT ha accettato di investire su questa fabbrica per la produzione della Panda che al momento viene prodotta a Tychy in Polonia. I padroni chiedono ai lavoratori di lavorare di sabato, di fare tre turni al giorno invece di due e di tagliare le ferie. Tre sindacati su quattro hanno accettato queste condizioni, la FIOM no)

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Lettera i lavoratori Fiat

La FIAT gioca molto sporco coi lavoratori. Quando trasferirono la produzione qui in Polonia ci dissero che se avessimo lavorato durissimo e superato tutti i limiti di produzione avremmo mantenuto il nostro posto di lavoro e ne avrebbero creati degli altri. E a Tychy lo abbiamo fatto. La fabbrica oggi è la più grande e produttiva d’Europa e non sono ammesse rimostranze all’amministrazione (fatta eccezione per quando i sindacati chiedono qualche bonus per i lavoratori più produttivi, o contrattano i turni del weekend)

A un certo punto verso la fine dell’anno scorso è iniziata a girare la voce che la FIAT aveva intenzione di spostare la produzione di nuovo in Italia. Da quel momento su Tychy è calato il terrore. Fiat Polonia pensa di poter fare di noi quello che vuole. L’anno scorso per esempio ha pagato solo il 40% dei bonus, benché noi avessimo superato ogni record di produzione.

Loro pensano che la gente non lotterà per la paura di perdere il lavoro. Ma noi siamo davvero arrabbiati. Il terzo “Giorno di Protesta” dei lavoratori di Tychy in programma per il 17 giugno non sarà educato come l’anno scorso. Che cosa abbiamo ormai da perdere?

Adesso stanno chiedendo ai lavoratori italiani di accettare condizioni peggiori, come fanno ogni volta. A chi lavora per loro fanno capire che se non accettano di lavorare come schiavi qualcun altro è disposto a farlo al posto loro. Danno per scontate le schiene spezzate dei nostri colleghi italiani, proprio come facevano con le nostre.

In qusesti giorni noi abbiamo sperato che i sindacati in Italia lottassero. Non per mantenere il nostro lavoro a Tychy, ma per mostrare alla FIAT che ci sono lavoratori disposti a resistere alle loro condizioni. I nostri sindacati, i nostri lavoratori, sono stati deboli. Avevamo la sensazione di non essere in condizione di lottare, di essere troppo poveri. Abbiamo implorato per ogni posto di lavoro. Abbiamo lasciato soli i lavoratori italiani prendendoci i loro posti di lavoro, e adesso ci troviamo nella loro stessa situazione.

E’ chiaro però che tutto questo non può durare a lungo. Non possiamo continuare a contenderci tra di noi i posti di lavoro. Dobbiamo unirci e lottare per i nostri interessi internazionalmente.

Per noi non c’è altro da fare a Tychy che smettere di inginocchiarci e iniziare a combattere. Noi chiediamo ai nostri colleghi di resistere e sabotare l’azienda che ci ha dissanguati per anni e ora ci sputa addosso.

Lavoratori, è ora di cambiare.

(Originale http://libcom.org/news/letter-fiat-14062010)

giovedì 17 giugno 2010

La focaccia del detenuto: apre la panetteria "Marassi"

Centoquaranta chili di pane e duecento di focaccia destinati ogni giorno a finire sui tavoli dei genovesi e delle mense scolastiche. L'esperimento del panificio dentro al carcere di Marassi compie quattro anni e va avanti con una nuova iniziativa per "formare i detenuti nel loro reinserimento nel mondo del lavoro", sottolinea soddisfatto il direttore Salvatore Mazzeo. "L'obiettivo è quello di inserire in questo progetto più detenuti possibile. Ora sono in quattro, ma vogliamo salire ad almeno dieci panettieri".

Nel laboratorio si lavora di notte, dalle 24 alle 7, per produrre rosette, papere, tartarughe e libretti artigianali, ma presto i carcerati-panettieri sforneranno anche pane senza glutine, con farine integrali lavorate con la macina di pietra come si faceva una volta. Un prodotto che ha l'obiettivo di proporre una cultura alimentare più sana. "Questa iniziativa è molto importante sotto il profilo trattamentale _ continua il direttore - per acquisire professionalità spendibili all'esterno e non rischiare di ritornare nel circuito criminale".

Il progetto del "Pane Etico", quindi, va oltre. "Non ci fermeremo qui _ interviene Pietro Civello, amministratore della cooperativa Italforno che mette a disposizione gli impianti e ha assunto i quattro detenuti che lavorano nel panificio di Marassi _ perché sono allo studio altri due progetti. Passeremo dal pane al pesce e alla cioccolata. I detenuti puliranno il pesce che andrà alla grande distribuzione e apriremo un laboratorio per lavorare cacao di alta qualità".

Il direttore Salvatore Mazzeo addenta un pezzo di focaccia. "Qui abbiamo "sfornato", è proprio il caso di dirlo, dei veri maestri!" I panetti preparati dai detenuti di Marassi si possono trovare tutti i giorni sugli scaffali della Coop. "È un grande successo _ sottolinea Luigi Pestarino della Coop Liguria _ e ora con il pane senza glutine affrontiamo una nuova sfida. Sarà un prodotto speciale, unico". "Ma soprattutto diverso, buono _ aggiunge la nutrizionista e biologa Lucia Vignolo _, un toccasana per chi soffre di intolleranze alimentari". (16 giugno 2010)

sabato 5 giugno 2010

due anni di orrore

Oggi è il secondo anniversario della Piccola Bottega degli Orrori. Buffa coincidenza, ieri era il secondo compleanno di Occhio Clinico, blog dell'amico ventopiumoso. Due blog praticamente gemelli, e, come ogni gemello che si rispetti, alquanto opposti come carattere. Anche se con idee di fondo piuttosto simili.

Il primo messaggio fu del 5 giugno 2008 e riguardava lo stupro da parte di italiani di una marocchina.
Inizialmente avevo intenzione di limitarmi a far parlare gli articoli, e in particolare quelli di stupro e violenza sessuale. Lo scopo era denunciare lo scandalo mediatico che riguardava i due romeni arrestati per lo stupro nel parco mi pare della Caffarella a Roma. Comunque sia, il blog si è un po' allargato. Ha fatto pubblicità a iniziative e "colleghi", ha fatto da tramite tra me e Alessandro Tauro, col quale io e mio fratello abbiamo aperto Alla-Fonte, ha fatto pubblicità al grande ScaricaBile che è tra parentesi uscito col suo numero 31, ha ospitato qualche mia considerazione, mi ha aiutato a mettermi in contatto e scoprire tante persone interessanti (qualcuna la vedete lì sulla destra, altre le trovate sul mio blog "personale", http://vitainbergen.blogspot.com). In linea di massima però è rimasto un luogo su cui pubblicare notizie trasversali di orrori dell'umanità. Lo scopo sarebbe ricordare che i singoli sono responsabili, non i popoli. Come diceva Stanislaw Lec:

Un fiocco di neve in una valanga non si sente mai responsabile.

Gaza è sola

(Luigi de Magistris, 4 giugno 2010)

Quando i carro armati sovietici invasero la Cecoslovacchia, nel 1969, un bellissimo slogan affermava: “Praga è sola”. Nel 2010 è Gaza ad esserlo. Purtroppo da anni.

L’aggressione armata di Israele al convoglio di navi su cui viaggiavano pacifisti di tutto il mondo, animati dal solo intento di rompere l’embargo israeliano nella città della Striscia per portare aiuti umanitari, è una ferita profonda inferta al cammino della pace in Medioriente e in tutto il pianeta. Non solo perché ha provocato la morte di civili inermi (il fattore più grave), ma anche per il significato simbolico nefasto che essa porta in sé.

L’azione militare di Tel Aviv richiama un sentimento di impunità e tracotanza che non può essere tollerato dalla comunità internazionale da parte di nessun paese. Ci si aspettava, per questo, un atteggiamento di condanna più netto da parte dell’Onu, dell’Europa e della Nato. Invece la risoluzione approvata dalle Nazioni Unite appare debole, mancando una condanna esplicita forte verso il Governo israeliano.
Risulta poi inaccettabile che il Consiglio dei diritti umani dell’Onu abbia votato contro la risoluzione che istituiva una commissione di inchiesta internazionale su quanto accaduto. Fa male registrare che al momento del voto l’Europa si sia divisa e che il nostro Paese abbia votato, insieme agli Usa, per affossare questa unica possibilità di accertare la dinamica dei fatti, ristabilendo almeno la giustizia della verità. Molto resta infatti da capire, diciamo tutto.
Soprattutto alla luce delle denunce degli stessi pacifisti che erano sulla Freedom Flottilla, i quali hanno raccontato di aver subito violenza anche nella fase di arresto scattata dopo il blitz. Purtroppo la paura di spiacere al grande alleato americano e ad Israele (al massimo disponibile ad accettare una commissione interna, magari con la presenza di qualche osservatore internazionale) hanno spinto in direzione di una debolezza che non farà che accrescere la tensione mediorientale, creando un precedente negativo per la stabilità mondiale.
La Palestina è da anni abbandonata a se stessa e la comunità internazionale –vigliaccamente - non ha mai imposto a Tel Aviv il rispetto delle risoluzioni approvate dall’Onu nel tentativo di procedere sul sentiero tortuoso della pace. Risoluzioni che miravano anche a garantire il diritto all’esistenza e alla sicurezza dello stesso popolo israeliano, da sempre esposto alla minaccia terroristica. La Palestina deve riconoscere questo diritto, ovviamente, così come Israele deve rispettare le norme internazionali e procedere alla fine dell’occupazione del territorio palestinese e della colonizzazione delle terre nella Striscia e in Cisgiordania (rientro nei confini del ’67), favorire il ritorno dei profughi, accettare la divisione di Gerusalemme, porre fine all’embargo che da troppo tempo strangola la città di Gaza mortificando un intero popolo e acuendo il sentimento di ostilità che, purtroppo, offre asilo alle spinte terroristiche e alla degenerazione estremistica.
I palestinesi erano un popolo laico, oggi sono una comunità spostata su posizioni estreme proporzionali alla loro estrema condizione materiale e sociale di vita (negazione di una nazione, disoccupazione, penuria alimentare, impossibilità di accedere ai servizi essenziali, militarizzazione del territorio da parte di un altro stato, mancanza di strutture sanitarie e di beni primari). Nessuno vuole giustificare la violenza terroristica, ma trovare e risolvere le cause politiche e sociali da cui essa scaturisce è l’unica possibilità per stroncarla.
Per questo se oggi “Gaza è sola”, abbandonata e dimenticata, anche Israele lo è. Dal destino della prima dipende il futuro del secondo. Non c’è soluzione alternativa infatti “a due popoli, due stati”.

venerdì 4 giugno 2010

il pomodorino mafioso

Oggi splendido articolo di quello che considero uno dei più grandi giornalisti italiani, Attilio Bolzoni, su Repubblica:


Il pomodorino non si ferma mai. Si sposta sempre, da sud a nord e da nord a sud, scavalca l'Appennino, attraversa lo Stretto. Percorre le strade d'Italia e chilometro dopo chilometro il suo prezzo sale, s'impenna. Più viaggia e più costa. È uno dei tanti miracoli della mafia. Parte e ritorna nello stesso posto, gira e rigira per finire sempre a un passo da dove è nato.

Noi abbiamo seguito il cammino di un "ciliegino", quello cresciuto nelle terre del signor Antonio di Fondi, tre ettari in mezzo alla magnifica valle di contrada San Raffaele. Campagna buona, zolle profumate, in fondo c'è il mare che entra fra le dune di sabbia. Il signor Antonio ha venduto i suoi pomodorini a 85 centesimi il chilo al grande circo dell'orto e della frutta e, tre giorni dopo, li ha ricomprati a 2,58 euro "da Enzo" che ha una piccola bottega sulla provinciale per Sperlonga. Tre volte di più a neanche due chilometri dalle sue serre. È l'incredibile andata e ritorno del "ciliegino" dei boss, è la tassa che fa diventare carissima la nostra tavola. Lasciando i campi di Antonio ci siamo addentrati nel labirinto di un grande affare criminale e ci siamo persi in una giungla di prezzi e di camion, di balzelli e di ricatti. Tutto sembra in ordine, tutto è avvolto dal silenzio, tutto è sotto gli occhi di tutti. Ma è davvero così?


Continua qui.

mercoledì 2 giugno 2010

codice dei pirati

(grazie all'impareggiabile fratello di sangue e cugino, Valerio Caroletti)

CODICE DELLA FRATELLANZA DEI PIRATI

La Fratellanza della Costa fu formata da un gruppo di pirati attorno al 1640. Queste regole venivano dette 'Codice etico dei pirati' e dovevano essere accettate da ogni membro della ciurma prima dell'imbarco.

1) Il capitano ha il pieno comando durante tutto il tempo del viaggio e in ogni momento ha la facoltà di condurre la nave. Chiunque disobbedisca verrà punito a meno che la maggioranza degli uomini a bordo non si pronunci in suo favore.

2) Se la nave del Capitano fa naufragio, la ciurma si impegna a rimanere fedele finchè egli non entri in possesso di un'altra nave. Se la nave naufragata appartiene a tutta la ciurma, la prima imbarcazione catturata diventa di proprietà del Capitano assieme ad una parte del bottino.

3) Il medico di bordo ha diritto a 200 corone per il mantenimento della sua attrezzatura e riceve una parte del bottino.

4) Gli altri ufficiali hanno diritto ciascuno ad una parte di bottino e se si distinguono in maniera particolare, ricevono un premio secondo il giudizio della ciurma.

5) Il bottino sottratto ad una nave catturata viene distribuito in parti uguali.

6) Il primo uomo che avvista una nave da catturare riceve 100 corone.

7) Chi perde un occhio, una mano o una gamba in servizio, riceve sei schiavi o 600 corone.

8) I viveri e le razioni vengono distribuiti in parti uguali

9) Chi porta a bordo una donna di nascosto viene punito con la morte.

10) Se un fratello ruba ad un altro, gli vengono tagliate le orecchie o il naso. Se ruba una seconda volta, viene abbandonato su un'isola con il moschetto, una pallottola e una bottiglia d'acqua.

11) Se c'è dubbio in una disputa tra fratelli, il verdetto viene stabilito secondo le regole dell'onore. Se un fratello è trovato colpevole, la prima volta è perdonato, ma se offende di nuovo, viene legato ad un cannone e riceve un colpo di frusta da ciascuno dei membri della ciurma. La stessa punizione viene data a chiunque tra i fratelli si ubriaca a bordo della nave, fino al punto di perdere i sensi.

12) Chiunque si addormenti durante un turno di guardia, la prima volta riceve un colpo di frusta da ogni fratello, la seconda viene decapitato.

13) Qualunque disertore è punito con la decapitazione.

14) Le dispute tra fratelli a bordo della nave, vengono risolte a terra con spada e pistola. Chi versa il primo sangue è il vincitore. Nessun fratello può ferire un altro mentre è a bordo.

Piccolo apologo sul Paese illegale

(Michele Serra, la Repubblica, 31 maggio 2010)

Piccola storia di strada - ignobile e istruttiva - come ne succedono tante. Utile per capire, al di fuori delle grandi catalogazioni teoriche, e dell'annoso dibattito politico-istituzionale sull'argomento, quanta distanza separi gli italiani dalla legge, e la legge dagli italiani. Riccione, viale Ceccarini, sabato sera. Quattro ragazzi sui diciotto anni mangiano una pizza in un ristorante e cercano di filarsela senza pagare il conto. Tre ce la fanno, uno viene bloccato dal personale del locale. Che lo gonfia di botte.

Davanti al ristorante si forma un capannello di curiosi. Lo struscio serale consente un fuori programma: il pestaggio di un cliente moroso. Il ragazzo piange, trema, è pieno di sangue, circondato da quattro o cinque giovani signori (del tipo antropologico: palestrato col codino) che gli stanno dando quella che a loro deve sembrare una lezione di vita. Tra i tanti che osservano la scena nessuno interviene. Per fortuna del ragazzo, passa in quel momento davanti al ristorante un gruppo di adulti che, nonostante sia coperto di sangue, lo riconoscono: è il compagno di scuola di un figlio. Intervengono, chiedono che cosa succede, vengono rudemente invitati dal gestore a non impicciarsi, qualche spintone, qualche insulto cerca di dissuaderli. Per fortuna si impicciano, soccorrono il ragazzo, si informano sull'accaduto. Chiedono al gestore perché, invece di pestare a sangue il ragazzo, non abbia chiamato i carabinieri. "I carabinieri non gli fanno niente, noi almeno gli abbiamo dato quello che si meritava".

Gli adulti, nel tentativo di riportare la calma e impedire conseguenze più gravi per il ragazzo, pagano il conto (sessanta euro). Dettaglio quasi esilarante, niente ricevuta fiscale: in compenso il ragazzo riceve un ultimo ceffone da parte del più agitato dei suoi improvvisati secondini. I soccorritori, che descrivono un clima di violenza isterica, fuori controllo, riescono in qualche modo a portare fuori il ragazzo, non senza essersi fatti restituire il suo cellulare, sequestrato. Lo portano a una fontana, gli lavano il sangue, gli tamponano le ferite, lo convincono di telefonare al padre, gli suggeriscono di fare denuncia. Il padre verrà a riprenderlo. Denuncia non verrà fatta.

Il ragazzo l'ho sentito il giorno dopo. Mogio, confuso, forse conscio di avere fatto una fesseria (non pagare il conto non è una divertente bravata da movida, è un reato), sicuramente non conscio di essere stato vittima di un reato molto più grave, sequestrato, pestato, "punito" al di fuori di qualunque legge, compresa quella del buon senso. Ma chi ignora i propri doveri ignora anche i propri diritti. Di qui in poi, quel ragazzo penserà che il più grosso, o quello che corre più veloce, o il meglio accompagnato (in gruppo si mena meglio) ha sempre ragione.

La morale non è neanche una morale: è il desolato computo di una somma di comportamenti totalmente fuori dalle righe e fuori dalla legge. Nel clima eccitato della movida, non pagare il conto deve sembrare una bravata spiritosa: invece è un reato. I reati andrebbero denunciati (oppure, se si ha cervello, sanati con una mediazione privata: ragazzino, dì a tuo padre di venire subito qui a pagare il conto oppure ti denunciamo). Spaccare la faccia a un ragazzino isolato e indifeso è una porcheria in termini umani, e un reato ben più pesante che cercare di andarsene senza pagare quattro pizze. Ciliegina sulla torta, il conto incassato senza ombra di ricevuta: costume nazionale, è noto, ma che al termine di un episodio del genere suona come piccolo sfregio conclusivo. La stecca finale di un concertino disastroso.

Neanche l'ombra della legge, in tutto questo: e non in Aspromonte, ma in viale Ceccarini. Nella mezz'ora di parapiglia non si è visto un poliziotto o un vigile che cercasse di riportare l'ordine e la ragione: ma questo può essere solo uno sfortunato caso, essendo impensabile che nel cuore della più vivace e popolosa delle "movide" romagnole, con tutto l'alcol (e il resto) che gira, non sia previsto qualche presidio delle forze dell'ordine. Ma il peggio è che a nessuno dei protagonisti è balenato il sospetto che per stabilire le ragioni e i torti, per punire, per risarcire i danni, ogni via fuori dalla legge è fuorilegge. Debole o forte che sia, opaca o chiarificatrice, la legge esiste apposta per evitare che un cliente moroso possa farla franca, e che un ristoratore manesco rischi di provocargli lesioni permanenti, o peggio, per sessanta euro. E per giunta non tassati.

martedì 1 giugno 2010

Romeno ucciso a sprangate per 50 euro

(la Repubblica Torino, 31 maggio 2010)

Massacrato a sprangate per 50 euro. E' successo nella notte a Torino, vittima un romeno di 48 anni che è morto a causa dei traumi riportati. L'uomo si trovava nella mansarda in Lungo Dora Firenze in cui viveva con alcuni connazionali, quando i compagni gli hanno affidato 50 euro chiedendogli di andare a comprare della birra e delle ricariche telefoniche. Liviu Agaleanu, 48 anni, romeno, è stato ucciso a bastonate da Dorin Herghelegiu, 45 anni, suo connazionale, dopo essersi ripresentato a mani vuote. Ad Agaleanu sono state spezzate le braccia e le gambe a colpi di bastone e di spranga. Poi è stato ucciso.

L' omicidio è avvenuto poco dopo le due, al termine di una grigliata in un vecchio casolare abbandonato cui avevano partecipato altre sei persone, tra cui una donna. La vittima aveva detto di essere stata rapinata da un extracomunitario a Porta Palazzo e per questo non aveva potuto portare a termine il compito assegnatogli. Ma l'aggressore non ha voluto sapere ragioni e ha iniziato a percuoterlo con un bastone di legno. Quando questo per i colpi si è spezzato in due, nonostante le preghiere degli amici, ha preso una mazza di ferro e ha continuato a colpire, fino a spezzargli le braccia e le gambe e a ucciderlo.

A quel punto è stato il fuggi-fuggi generale, ma uno dei partecipanti alla grigliata ha avvisato il 112. I militari della compagnia Oltredora e del nucleo investigativo del comando provinciale hanno individuato in breve tempo i partecipanti alla grigliata e hanno fermato due persone, l'assassino e un secondo uomo che potrebbe essere indagato per favoreggiamento, in una fabbrica dismessa nei paraggi.
 
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