venerdì 25 febbraio 2011

il ritorno di fiamma

(di Vittorio Zucconi, da qui)

Allo stolto governo che finge di governarci, e a chi gli regge il moccolo, preoccupato di evitare la minaccia (reale) del fondamentalismo religioso in luogo dei pestiferi regimi arabi, varrebbe la pena di rammentare che tra i non secondari progenitori di questo pericolo ci siamo noi, l’Occidente dispensatore di libertà e di civilissimi governi.

Il cosiddetto Medio Oriente, o Vicino Oriente come altri lo chiamano, forzando appena un pochino la geografia visto che la Mezzaluna araba comincia dall’Oceano Atlantico e dal Marocco che si trova sulla longitudine dell’Irlanda, non proprio in Oriente, è stato per decenni il retrobottega dei giochi di potere e degli interessi europei che hanno creato e disfatto colonie, riserve di caccia, regimi e governi marionetta, primo fra tutti quella della famiglia Saud, sulle rovine dell’Impero Turco.

Il “trono del Pavone” in Iran fu costruito dai servizi anglo americani per liberarsi dello scomodo Mossadeq, presidente eletto, ma colpevole di avere nazionalizzato la Anglo-Iranian Oil Company: poi sarebbe stato un po’ difficile aspettarsi che le piazze in rivolta contro Rheza Palhavi si fossero scoperte filo americane o filo inglesi. E forse qualcuno ricorderà che l’insurrezione e la guerriglia dei Mujahidin in Afghanistan, Osama incluso, fu generosamente finanziata e aiutata da Washington in funzione anti sovietica, nel grande gioco della Guerra Fredda condotto sullo “scacchiere” mondiale.

In gergo spionistico americano questo si chiama “blow back”, il ritorno di fiamma che colpisce chi ha appiccato l’incendo. La furia pan islamica e anti occidentale dell’estremismo nei panni religiosi, diretta contro dittatori e despoti puntellati e finanziati da noi, non nasce perchè una mattina un fanatico si sveglia e comincia a sbraitare agitando il Quran, non essendoci mai stata scarsità di fanatici predicatori e profeti da quelle parti e non da ieri.

Tutto questo non rende meno pericoloso il fondamentalismo jihadista nè assolve i massacratori . Ma può aiutarci a capire che occorre fare molta attenzione e pesare le parole prima di sparare formule e slogan faciloni da Leghisti in libera uscita, da ministro che non sa quel che si dice o da teste urlanti per talk show televisivi, ma hanno ben altro suono quando vengono ascoltati da chi sta cercando di evitare i proiettili di assassini a pagamento, magari arrivati dalla cristianissima Europa, come si dice in Libia.

Mentre qualcuno ancora evoca la battaglia di Lepanto (1571) appena 70 anni or sono, quando tanti dei nostri dirigenti politici erano già nati o grandicelli, armate tedesche, inglesi, italiane se le suonavano di santa ragione a carrarmatate in casa loro, lungo le coste del Nord Africa, per contendersi territori che non appartenevano nè a tedeschi, nè a inglesi, nè a italiani. In “Medio Oriente” noi europei e americani abbiamo una lunga e poco gloriosa tradizione nel metterci sempre dalla parte sbagliata della storia per interessi nostri. E poi di lamentarci quando movimenti nazionalisti o integralisti, guarda caso, si alzano e ce l’hanno con noi.

E’ oggi, in queste ore, che si stanno creando i rapporti futuri fra noi e chi prenderà il posto dei Mubarak e dei Gheddafi. E non saranno i Ghedini, i Longo, gli Alfano e gli azzeccarbugli a salvarci se ci metteremo ancora una volta dalla parte sbagliata.

giovedì 24 febbraio 2011

Minorenne molestata sulla metro tra l'indifferenza dei passeggeri



Nel video l'intervista alla ragazza minorenne che lunedì sera, intorno alle 19, è stata molestata da un quarantenne italiano sulla linea A della metropolitana, fra l'indifferenza dei numerosi presenti.

IL RACCONTO. Ieri sera, alle 19.10, una guardia giurata in servizio presso la stazione Subaugusta ha fermato un quarantenne italiano che inseguiva una ragazza appena scesa da un convoglio. L'agente ha notato che tra i due era in corso un'accesa discussione.

In particolare, la donna accusava l'uomo di averla molestata mentre si trovava a bordo del treno. Scesa dal convoglio, è stata seguita dall'uomo che ha cominciato a toccarla e a insultarla. L'uomo potrebbe essere lo stesso che ha tentato di violentare, sempre in una stazione del metrò, una quindicenne.

La guardia giurata è intervenuta a difesa della passeggera e l'ha condotta, insieme col presunto molestatore, al box dell'operatore di stazione da dove ha chiamato il 113. La volante intervenuta sul posto, dopo aver sentito la ragazza, ha portato via l'uomo.

(22 febbraio 2011)

Gita vietata a studente down, ma i compagni si ribellano

(da qui)

CATANZARO - Uno studente di scuola media affetto dalla sindrome di Down, una gita scolastica, e una dirigente dell'istituto che nega al ragazzo l'autorizzazione a partecipare ad una gita. Tre elementi che sommati danno un risultato: la classe non ci sta, protesta e non va in gita.
E' Ida Mendicino, responsabile del coordinamento regionale per l'integrazione, a raccontare la vicenda: "In un primo momento la dirigente della scuola si era rifiutata di far partecipare lo studente alla gita". I genitori hanno interessato del fatto la Polizia, perchè c'è una norma che riconosce le gite scolastiche come "un'opportunità fondamentale per la promozione dello sviluppo relazionale e formativo di ciascun alunno". E anche per "l'attuazione del processo di integrazione scolastica dello studente diversamente abile, nel pieno esercizio del diritto allo studio".
Ma nonostante la normativa, la dirigente continua ad opporsi. Prosegue Mendicino: "La dirigente ha espresso ai docenti l'intenzione di non autorizzare in futuro alcuna uscita dello studente affetto da sindrome di Down. Ha anche chiesto ai compagni di classe di non portare a conoscenza del ragazzo le date delle gite in programmazione". Con quale motivazione? La "Scarsa capacità dello stesso ad apprendere a causa della sua infermità genetica". L'invito è stato immediatamente declinato dai compagni, ragazzi di terza media, i quali hanno dichiarato che avrebbero preferito rinunciare "tutti alle gite,
pur di non veder discriminato il loro compagno"
.
Mendicino dice di raccontare volentieri l'episodio occorso in quanto "Segnale importante di cambiamento in una generazione spesso tacciata di eccesso di individualismo e di scarso senso di solidarietà. Un plauso ai ragazzi dell'Istituto Comprensivo di Catanzaro - conclude - che si sono dimostrati vera speranza di maturazione del tessuto sociale rispetto agli esempi che spesso provengono dal mondo dei grandi".

mercoledì 23 febbraio 2011

Trashabile 2011, quarta puntata

Ok, con questa:


http://scaricabile.it/2011/02/trashabile-2011-quarta-puntata/


siamo alla quarta puntata della mia rubrica bisettimanale sul nuovo sito di Scaricabile.

Oggi il tema è: l'Asia sudorientale.

Buona lettura!

lunedì 21 febbraio 2011

Una sentenza condanna Alitalia e fa sperare la Fiom

(da Il Fatto Quotidiano del 12 febbraio 2011)

“Il giudice dichiara l’antisindacalità della condotta e ordina” ad Alitalia-Cai “di riconoscere le rappresentanze aziendali del sindacato Unione Sindacale di Base e di riconoscere loro l’esercizio del diritto di assemblea”. Sono le ultime righe del decreto firmato da Francesco Colella, giudice del lavoro del Tribunale di Civitavecchia. Sette pagine pesanti, e non soltanto per i rapporti sindacali all’interno di Alitalia. La decisione del magistrato infatti potrebbe in futuro pesare anche nella vicenda Fiat di Pomigliano d’Arco e Mirafiori.

Il succo della questione: se un sindacato rifiuta di siglare il contratto, l’azienda deve riconoscergli la rappresentanza quando, in un secondo tempo, decida di firmare. Nella sentenza c’è una frase che potrebbe segnare i futuri rapporti tra sindacati e imprese: “La rappresentatività del sindacato non deriva da un riconoscimento del datore di lavoro”.

Ma andiamo con ordine: siamo nel 2008, le polemiche legate alle trattativa Alitalia sono al calor bianco. I sindacati inizialmente respingono il contratto proposto dai nuovi azionisti. Interviene il Governo che si impegna a garantire il rispetto dei patti. Alla fine la maggior parte delle sigle mettono la firma. Sdl però rifiuta di aderire al contratto. Non si tratta di una decisione da poco: Sdl raccoglie una fetta consistente dei dipendenti soprattutto tra gli assistenti di volo. Riccardo Faranda, avvocato del sindacato, spiega: “Una situazione simile a quella che si è verificata alla Fiat, dove un sindacato chiave come la Fiom ha deciso di non sottoscrivere il contratto”.
Riassume il decreto: “Con una lettera dell’aprile 2010 il sindacato (che nel frattempo è diventato Usb) comunica ad Alitalia la propria decisione di sottoscrivere il contratto collettivo aziendale del 2008 e chiede inutilmente alla compagnia aerea di poter ottenere i locali per le proprie assemblee”.

Ecco il nodo: “Alitalia – racconta Francesco Staccioli, responsabile assistenti di volo Usb – sosteneva che non avendo firmato da subito il contratto non avevamo diritto alla rappresentanza sindacale”. E di nuovo viene in mente la situazione della Fiat, dove in ambienti della Cgil c’è chi ha proposto una firma tecnica della Fiom che consenta al sindacato di maggioranza relativa di non essere tagliato fuori. La decisione del giudice del lavoro di Civitavecchia potrà essere invocata dalla Fiom qualora volesse firmare in un secondo tempo il contratto collettivo. Il decreto lascia pochi dubbi: “Il sindacato ha chiesto al giudice che sia dichiarata l’antisindacalità della condotta (di Alitalia, ndr) e che sia ordinato alla società di riconoscere le rappresentanze di Usb consentendo loro l’esercizio del diritto di godere dei permessi sindacali, di convocare le assemblee e di fruire dei locali idonei a svolgere la propria attività” ricevendo anche “i contributi dei propri iscritti con trattenuta sulla busta paga”.

Secondo Alitalia-Cai, è scritto nel decreto, “il sindacato non potrebbe esercitare il diritto di assemblea perché non è firmatario del contratto collettivo aziendale e quindi è privo di rappresentanza”. Questo anche se la compagnia aerea, come ricorda il decreto, “ha ribadito l’invito ai sindacati (esclusi dalla firma, ndr) ad aderire agli accordi sottoscritti”.

Esistono delle condizioni, come ricorda il magistrato: “Per essere considerato firmatario di un contratto collettivo è necessario che il sindacato abbia preso effettivamente parte alle trattative”. Ma Usb ha partecipato alle trattative e quindi può firmare. Anche in un secondo tempo. Di nuovo un discorso che potrebbe non essere applicato soltanto al contratto Alitalia. È la legge, lo statuto dei lavoratori, che definisce chi può firmare un contratto. Non l’impresa.

Alla fine la decisione: il magistrato “dichiara l’antisindacalità della condotta consistita nel diniego del diritto di assemblea opposta alla richiesta di Usb e ordina ad Alitalia di riconoscere le rappresentanze sindacali aziendali appartenenti al sindacato e di consentire loro l’esercizio del diritto di assemblea”.

Insomma, l’Usb rientra in Alitalia anche se dopo i tagli e dopo due anni fuori dall’azienda i suoi iscritti sono passati da duemila a circa cinquecento. Andrea Cavola, segretario nazionale responsabile per il trasporto aereo di Usb, non ha dubbi: “E’ un precedente storico. L’azienda sarà costretta a convocarci agli incontri con i sindacati e potremo impugnare loro eventuali decisioni prese senza un preventivo confronto con noi”.

sabato 19 febbraio 2011

Libero e il Riformista: Angelucci dovrà restituire i soldi pubblici

(da Il Fatto Quotidiano dell’11 febbraio 2011)

Grossi guai in vista per Libero. Il quotidiano diretto dalla coppia Feltri-Belpietro è stato pescato dall’Autorità Garante per le Comunicazioni con le mani nella marmellata mentre attingeva dalle casse pubbliche finanziamenti che non gli spettavano. Il giornale caro ai leghisti si trova in una situazione davvero imbarazzante. Come una qualsiasi impresa meridionale scoperta dalla Guardia di finanza a truccare i requisiti per accedere a una legge di agevolazione, dovrà restituire il maltolto. Secondo l’interpretazione dell’Agcom, Libero ha incassato 12 milioni di euro e chiesto altri 6 milioni di euro alla Presidenza del Consiglio che non gli spettavano e su quei soldi ha fatto affidamento per chiudere in pareggio i bilanci degli scorsi anni.

Il 9 febbraio scorso l’editore di Libero, il deputato del Pdl Antonio Angelucci, proprietario del gruppo di cliniche private Tosinvest, si è visto comminare una multa di 108 mila euro e presto potrebbe trovarsi costretto a mettere mano al portafoglio. Il provvedimento dell’Autorità Garante delle Comunicazioni è frutto di una lunga istruttoria durata un anno e mezzo, avviata in tandem con Dipartimento editoria della presidenza, diretto da Elisa Grande. La delibera colpisce anche la società editrice del quotidiano Il Riformista, diretto da poche settimane da Stefano Cappellini. Entrambi i quotidiani – a differenza del Fatto Quotidiano – ogni anno attingono all’apposito fondo della presidenza del Consiglio dichiarando di appartenere a enti (una fondazione e una cooperativa) non collegate.

L’Agcom contesta quei finanziamenti perché i due giornali, al di là delle qualifiche formali, sono controllati entrambi dal gruppo di Antonio Angelucci. La delibera dell’Agcom è stata presa sulla base della relazione favorevole alla ‘condanna’ di Angelucci del commissario Sebastiano Sortino che è riuscito a convincere il presidente Corrado Calabrò (nominato da Silvio Berlusconi) e a strappare l’astensione di un altro membro dell’Agcom in quota Pdl, Stefano Mannoni. Un buon segnale per questa Autorità che finora aveva fatto parlare di sé solo per gli scandali seguiti alle intercettazioni di Trani.

Gli effetti della delibera potrebbero essere devastanti per i conti dei due giornali che – se la Presidenza del Consiglio applicherà la delibera Agcom – rischiano di saltare. Una pessima notizia anche per Vittorio Feltri e Maurizio Belpietro che sono entrati con una quota del 10 per cento a testa nella società editrice per rilanciarla.

Libero dovrà restituire i 7,7 milioni incassati nel dicembre 2008, con riferimento ai conti del 2007. Non solo: non potrà incassare nemmeno i 6 milioni di euro iscritti a bilancio nel 2009 né potrà chiederne altrettanti per il 2010. Anche una parte del contributo del 2006 dovrà essere restituito. Nel marzo del 2006 Angelucci ha comprato da Claudio Velardi, ex spin doctor di Massimo D’Alema, la maggioranza del Riformista. E quindi da quel momento, secondo l’Agcom, si è verificata la situazione di incompatibilità con il finanziamento. Anche per Il Riformista, che incassa 2,5 milioni di euro all’anno, nonostante venda in edicola poco più di 3 mila copie, gli effetti della delibera dell’Agcom saranno devastanti.

Secondo l’Agcom ci sono almeno quattro buone ragioni per ritenere che – al di là della forma – sia Libero che Il Riformista sono di proprietà di Tonino Angelucci. Innanzitutto il gruppo ha contribuito con molti milioni di euro ogni anno ai due giornali stipulando dei contratti di “valorizzazione della testata” che in realtà celerebbero una forma di finanziamento all’impresa. In secondo ruolo le riunioni degli organi delle società editoriali si tengono nei medesimi uffici del gruppo Angelucci. Inoltre gli amministratori spesso sono gli stessi e infine c’è una strana cessione di credito che somiglia molto a un finanziamento. Per il 2006 Libero ha incassato 7.953.436,26 euro (parzialmente da restituire). Per il 2007 invece 7.794.367,53, che dovrebbero essere integralmente restituiti. A questi bisogna aggiungere i 6 più 6 milioni che verranno a mancare per i bilancio già chiuso del 2009 e per quello del 2010. Per capire l’effetto di questa mazzata bisogna rileggere quello che ha scritto la società di revisione BDO, prima di certificare il bilancio: “L’equilibrio economico e finanziario della società è strettamente legato all’ottenimento dei contributi suddetti”.

Le conseguenze pratiche della delibera Agcom ora dipenderanno dall’interpretazione che ne darà il Dipartimento dell’Editoria. Se Libero avesse dichiarato subito di appartenere allo stesso gruppo del Riformista, solo quest’ultimo avrebbe perso il contributo. Ma il fatto di avere nascosto questa situazione agli uffici dovrebbe comportare la perdita del contributo per entrambi i giornali. Per non parlare poi dei possibili effetti penali. Potrebbero esserci dei riverberi anche per il personale. Nel 2008 tutti i 98 dipendenti (compresi 83 giornalisti) di Libero sono stati pagati con i soldi dello Stato. Soldi ai quali il giornale nemico degli sprechi non aveva diritto.

Gramsci a Sanremo

venerdì 18 febbraio 2011

Cocaina a professionisti e imprenditori - scoperta banda di pusher: dieci in cella

(di Antonio di Costanzo, da qui)

C'era il vertice dell'associazione, pusher legati ai clan Mazzarella e Di Biase. Poi c'era un gruppo di incensurati che lavorava per conto dei primi e veniva pagato con dosi di droga, come il portiere di uno stabile di Posillipo che la nascondeva in mezzo al pane. E, infine, c'erano loro: i clienti assidui, oltre cinquanta persone. Tutti esponenti di quella "Napoli bene" che cercava lo sballo nella cocaina e che per evitare il disturbo e i rischi di andarla a cercare in strada si faceva portare la "polvere" direttamente a casa o, persino, nella clinica medica dove un noto ginecologo, tra un paziente e l'altro, riceveva anche gli spacciatori prima di operare. Questo e altro racconta l'ordinanza emessa dal gip Luisa Toscano su richiesta del pm della Dda Michele Del Prete.

Oltre mille pagine che descrivono uno spaccato di Napoli inquietante dove avvocati, commercialisti, medici e imprenditori di Posillipo, Vomero e Chiaia sborsavano 90 euro a dose per la cocaina che veniva acquistata sia per l'uso giornaliero che in occasione speciali, ovvero quando si organizzavano cene e feste in casa. Un'indagine basata su trecento episodi accertati avviata nel 2009 quando, nel corso di un'inchiesta su un tentativo di estorsione, i carabinieri della stazione di Posillipo, diretta dal comandante Tommaso Fiorentino, intercettarono casualmente alcune telefonate su un giro di droga nella "Napoli bene". Da qui l'indagine che ha portato alla luce un business che fruttava all'organizzazione oltre 100mila euro al mese.

In mattinata il blitz dei militari della compagnia di Bagnoli, guidata dal capitano Federico Scarabello, che ha portato all'arresto di dieci persone (FOTO). Due provvedimenti sono stati notificati in carcere, quattro gli incensurati. All'appello manca uno skipper caprese che, come emerge dalle intercettazioni, consegnava la droga ai clienti all'interno di un noto ristorante dell'isola. Tra gli indagati figurano due coniugi di Posillipo, imprenditori, per i quali il gip ha respinto la richiesta di arresto: avrebbero finanziato l'acquisto di una partita di stupefacenti.

Secondo quanto emerso dall'indagine, tra i più assidui consumatori di cocaina c'era il ginecologo, che ordinava lo stupefacente e se lo faceva portare nella clinica in cui lavora anche due o tre volte al giorno. Il medico, così come gli altri consumatori, non è indagato. Finiscono in carcere Luciano, Gabriele e Vincenzo Vastolo, Antonio Iamboglia, Francesco Plancqueel, Maria Amendola, Rosario Balsamo e Vincenzo Basile. Mario Luongo e Salvatore Testa, invece, hanno ottenuto il beneficio dei domiciliari. Tutti sono accusati di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. Nel corso dell'operazione i militari hanno scoperto anche un terreno in via Petrarca a Posillipo, trasformato in serra per la coltivazione di marijuana.

Blitz antidroga ai danni di un clan partenopeo anche in Abruzzo. Diciotto ordinanze di custodia cautelare in carcere per traffico e spaccio di droga, una delle quali nei confronti di Salvatore Puccinelli, alias "Totore straccetta", 55enne capo dell'omonimo clan camorristico del Rione Traiano, sono state eseguite dai carabinieri a Pescara. Puccinelli dal 2009 era sottoposto al regime di sorveglianza speciale con obbligo di dimora a Montesilvano, dove aveva trasferito la residenza insieme a moglie e figlio. Aveva messo su un'organizzazione con capi e gregari incaricati di reperimento, detenzione, trasporto e cessione di grandi quantità di cocaina, acquistata a Napoli e destinata a tossicodipendenti delle province di Pescara e Teramo.

mercoledì 16 febbraio 2011

E la lotta di classe si sposta tra i banchi

(di Marco Lodoli, da qui, 09 febbraio 2011)

Per alcuni decenni la scuola è servita anche ad avvicinare le classi sociali: nelle aule convergevano interessi e aspettative, si respirava la stessa cultura, si creavano possibilità per tutti. In fondo al viale si immaginava un mondo senza crudeli differenze, senza meschinità e ingiustizie. La conoscenza era garanzia di crescita intellettuale, e anche sociale ed economica. Chi studiava si sarebbe affermato, o quantomeno avrebbe fatto un passo in avanti rispetto ai padri. Tante volte abbiamo sentito quelle storie un po' retoriche ma autentiche: il padre tranviere che piangeva e rideva il giorno della laurea in medicina del suo figliolo, la madre che aveva faticato tanto per tirare su quattro figli, che ora sono tutti dottori.

Oggi le cose sono cambiate radicalmente. Chi viaggia in prima classe non permette nemmeno che al treno sia agganciata la seconda o la terza: vuole viaggiare solo con i suoi simili, con i meritevoli, gli eccellenti, i vincenti. "A me professò 'sto discorso del merito mi fa rodere. La meritocrazia, la meritocrazia... ma che significa? E chi non merita? E noi altri che stamo indietro, noi che non je la famo, noi non contiamo niente?". Questo mi dice Antonia e neanche mi guarda quando parla, guarda fuori, verso i palazzoni di questo quartiere di periferia, verso quei prati dove ancora le pecore pascolano tra gli acquedotti romani e il cemento. Qui la divina provvidenza del merito non passa, non illumina, non salva quasi nessuno.

Guardo la classe: Michela ha confessato che non può fare i disegni di moda perché a casa non ha un tavolo, nemmeno quello da pranzo. Mangia con la madre e la sorella seduta sul letto, con il vassoio sulle ginocchia, in una casa che è letteralmente un buco. Roberta invece mi racconta che stanotte hanno sparato in faccia al migliore amico del suo fidanzato, "era uno che se faceva grosso, che stava sulle palle a tanti, ma nun era n'animale cattivo, nun se lo meritava de morì così a ventidue anni". Samantha invece trema perché stanno per buttarla fuori di casa, a lei e alla madre e ai due fratelli, lo sfratto ormai è esecutivo e i soldi per pagare l'affitto non ce li hanno, forse già stanotte li aspetta la macchina parcheggiata in uno slargo vicino casa, forse dovranno dormire lì, e lavarsi alla fontanella con gli zingari.

La miseria produce paura, aggressività, ignoranza, cinismo. In pochi hanno i libri di scuola, si va avanti a fotocopie, anche se ogni insegnante ha ricevuto solo centocinquanta fogli per tutto l'anno, "perché i tagli si fanno sentire anche sui cinque euro, la scuola non ha più un soldo". In queste scuole di periferia le tragedie si accumulano come legna bagnata che non arde e non scalda, ma fuma e intossica. Tumori, disoccupazione, cirrosi epatica, aborti, droga, incidenti stradali, strozzini, divorzi, risse: tutto s'ammucchia orrendamente, tutto si mette di traverso e oscura il cielo. A ragazzi così segnati, così distratti dalla vita storta, oggi devo spiegare l'iperbole e la metonimia, Re Sole e Versailles, Foscolo e il Neoclassicismo. E loro già sanno che è tutto inutile, che i posti migliori sono già stati assegnati, e anche quelli meno buoni, e persino quelli in piedi. Hanno già nel sangue la polvere del mondo, il disincanto.

"E non ci venissero a parlà di eccellenza che je tiro appresso er banco. Tanto ormai s'è capito come funziona sto mondo: mica serve che lavorino trenta milioni de persone, ne abbastano tre, e un po' di marocchini a pulì uffici e cessi. Il paese deve funzionà come n'azienda? E allora noi non serviamo, siamo solo un peso. Tre milioni de capoccioni, de gente che sa tutto e sa come mette le mani nei computer e nelle banche, e gli altri a spasso. Gli altri a rubà, a spaccià, in galera, ar camposanto, dentro una vita di merda". Forse ha ragione questa ragazza, suo padre ha "un brutto male", come direbbe il buongusto - "un cancro che lo spacca, professò", dice lei - forse è vero che non dobbiamo fare della meritocrazia un ulteriore setaccio: l'oro passa e le pietre vengono buttate via.

I ricchi hanno capito al volo l'aria che tira, aria da Titanic, e hanno subito occupato le poche scialuppe di salvataggio: scuole straniere, master, stage, investimenti totali nello studio. L'élite non ha più tempo né voglia di ascoltare le pene della nazione, le voci dei bassifondi: ha intuito il tracollo della scuola pubblica e ha puntato sulle scuole di lusso. E così la scuola non è più il luogo del confronto, della convergenza, dell'appianamento delle differenze e della crescita collettiva. Non si sta più tutti insieme a istruirsi per un futuro migliore, a sognare insieme. Chi ha i soldi il futuro se lo compra, o comunque si prepara a "meritarselo". Chi non ha niente annaspa nel niente e deve anche subire l'affronto dei discorsi sull'eccellenza. Ormai il nostro paese è tornato ad essere ferocemente classista, ai poveri gli si butta un osso e un'emozione della De Filippi, li si lascia nell'abbrutimento e nell'ignoranza, mentre ai ricchi si aprono le belle strade che vanno lontano: lontano da qui, da questa nazione che inizia a puzzare come uno stagno d'acqua morta.

mercoledì 9 febbraio 2011

Riccò, autoemotrasfusione: ora rischia la radiazione

MODENA - Un autentico suicidio. Avrebbe rischiato la vita per una sacca di sangue mal conservato. Se davvero le rivelazioni che giungono da Modena sono fondate, la vicenda di Riccardo Riccò e del malore (blocco renale ed edema polmonare secondo quando ammesso dallo stesso padre del corridore) che lo ha costretto al ricovero di urgenza nell'ospedale di Baggiovara (Modena) rischia di diventare un autentico suicidio. Non solo per le possibili e dannosissime complicanze del malore stesso, ma sopratutto per le conseguenze sportive. Il pm di Modena Pasquale Mazzei, infatti, avrebbe aperto sulla vicenda un procedimento penale per presunta violazione della legge 376/2000, la legge antidoping. Agli atti dell'indagine ci sarebbe il referto del medico che curò per primo il corridore all'ospedale di Pavullo, prima del trasferimento a Baggiovara. Un referto in cui si parla di autoemotrasfusione. Lo stesso corridore, giunto in stato di choc grave, avrebbe ammesso alla presenza del medico e della compagna Vania Rossi di essersi praticato da solo una trasfusione con una sacca di sangue precedentemente prelevato e conservato nel frigorifero. Una sacca probabilmente conservata troppo a lungo e forse deteriorata. Si è attivato anche l'ufficio della procura antidoping del Coni, che ha aperto un procedimento disciplinare nei confronti di Riccò.

Se l'indagine penale dovesse confermare tutto per Riccardo Riccò le porte del ciclismo e dello sport in generale si chiuderebbero definitivamente. Il corridore sarà sentito appena le sue condizioni fisiche lo permetteranno. E l'indagine sarà approfondita anche dal punto di vista ematico. Ma nel caso di conferma di doping sanguigno (tale è considerata l'autoemotrasfusione) incapperrebbe nei rigori della legge (da 3 mesi a 3 anni). E sul piano sportivo scatterebbe in caso di doping acclarato la squalifica a vita. Infatti lo scalatore emiliano sarebbe alla seconda grave infrazione, dopo la positività al Cera (l'epo di ultima generazione) al Tour del 2008, costatagli 20 mesi di stop. E' presto per trarre conclusioni o considerazioni. Ma se le ipotesi dovessero trovare riscontri concreti ci troveremo di fronte al paradigma del vecchio adagio del lupo che cambia il pelo ma non il vizio. Riccò era uscito indenne dalla bufera che aveva coinvolto la sua compagna (positiva ai campionati italiani di ciclocross del 2010 e poi scagionata) e il fratello di lei, Enrico, ventottenne corridore della Flaminia Bossini, formazione di categoria Professional Continental, per il quale sono scattate le manette assieme ad altri personaggi che figurano nell'indagine dei Carabinieri di Perugia coordinati dal pm Sergio Sottani. Una storia oscura di criptici messaggi sms sul telefonino e di un cicloamatore-pusher al centro di una vera e propria organizzazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze dopanti. E dare credito alla sua nuova immagine il fatto che recentemente il corridore era entrato nel novero di quelli seguiti dal centro Mapei diretto dal compianto Aldo Sassi, recentemente scomparso per un brutto male. Una scommessa perduta se le ipotesi che aleggiano sulla vicenda dovessero trovare conferma. Al Coni la Procura antidoping ha già rizzato le orecchie e si segue con attenzione ogni sviluppo della situazione.

Intanto è stato diramato un bollettino medico diramato dal Nuovo Ospedale Civile S. Agostino Estense di Modena, dove il corridore della Vacansoleil è ricoverato" Le condizioni generali di Riccardo Riccò sono in via di miglioramento. Ha trascorso una notte tranquilla ed è vigile. La prognosi, sia pure in via prudenziale, rimane riservata".

DI ROCCO: "RICCO' LASCI LO SPORT" - Dura la reazione del presidente della Federazione ciclistica italiana, Renato Di Rocco: "Non ci sono mezzi termini. Per il suo bene, per la sua famiglia, per il bene del ciclismo Riccardo Riccò deve lasciare lo sport agonistico, deve uscire dal tunnel perverso in cui si è infilato, deve ritrovare sè stesso, come persona, prima di tutto, come uomo. Ha fatto quello che ha fatto nonostante la condanna, rischiando anche la vita e questo fa venire i brividi - il commento di Di Rocco in una nota -. L'amarezza è tanta, ma il caso è così particolare e terribile da indurci a riflettere su una crisi di valori che sarebbe riduttivo limitare al ciclismo o allo sport in genere".

Di Rocco non dà giustificazioni 'esterne' allaccaduto: "Qui non si tratta di consiglieri sbagliati, di apprendisti stregoni, della piovra occulta che stiamo tentando di combattere e sradicare. Siamo di fronte a un ragazzo malato dentro, intossicato da falsi messaggi che gli hanno fatto perdere il senso della realtà, di ciò per cui vale pena impegnarsi, faticare e vivere. Il danno di immagine è enorme e la Federazione farà tutti i passi per tutelarsi. Ma il disastro morale è spaventoso".

(08 febbraio 2011)
 
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