(Michele Serra, da qui)
Trovare cocaina in una qualunque città italiana è come cercare paglia in un pagliaio. Se poi il pagliaio è la Milano notturna, niente stupisce di meno di una mezza retata nei locali più in voga. Con gestori in manette e dive televisive che si accusano a vicenda.
Si accusano di un vizio che nessuna di loro è più in grado di riconoscere tale, tanto ordinario è diventato il consumo di un alcaloide che serviva agli andini per reggere il freddo e la fame, e oggi serve agli occidentali per simulare giornate di quarantott'ore, senza sonno e senza requie.
La cocaina è diventata endemica in tutti quegli ambienti, quelle vite, che gonfiano a dismisura i loro obiettivi e il loro rendimento. Della vecchia cultura trasgressiva a cavallo della quale tutte le droghe o quasi fecero il loro trionfale ingresso in Occidente, non rimane più niente. Non serve più farneticare di "viaggi" o dilatazioni della coscienza o tigri nel cervello, sniffare è un consumo di massa come l'alcol, come il porno, come qualunque cosa che si possa comperare. Il fatto che la si vada a sniffare al cesso è il residuo strascico di un ordinamento proibizionista inapplicabile, come voler fermare il mare con una mano.
La movida milanese, a ridosso di negozi strafichi e di nuovi cantieri dai cento piani in su, con il riverbero della moda e del lusso che occhieggia da ogni androne e da ogni macchinone parcheggiato in tripla fila, è un vero e proprio classico di una società in fuori giri. I protagonisti sono di quel circo immobile che da una quindicina, forse una ventina d'anni, incarna lo status sociale più ambito anche da larghi strati popolari: calciatori, veline, indossatrici, attori, agenti di spettacolo, e giovani ambosessi smaniosi di entrare nel giro giusto, favoriti dallo smisurato abbassamento dei parametri necessari per essere promossi "vip". Ieri solo le star del cinema, i playboy, le ereditiere, pochi e irraggiungibili, dai vizi costosissimi, oggi quasi chiunque riesca ad allargare i gomiti per rubare uno spicchio di inquadratura, un quarto di pagina di rotocalco.
La distribuzione democratica e quasi di massa della speranza di diventare famosi non è senza prezzo. Diffonde ansia, rende insopportabili i tempi di attesa, crea tipi e tipe nervosi e disposti a qualunque scorciatoia. La cocaina è la benzina di questa umanità che si sente in ascesa anche se è in coda nel cesso di un locale, subito dietro un centravanti e davanti a una modella. Per imitazione, è poi la droga di chiunque cerchi di addentare lo status presunto brillante, presunto tosto, del giovane che vive intensamente. Fior di operai, impiegati, commesse, tutti bravi ragazzi e figli di famiglia, la prendono anche per non sentirsi da meno dei loro coetanei inseguiti dai paparazzi.
Uno degli antidoti possibili, forse il più potente, sarebbe registrare, con un improvviso sussulto della percezione, quanto tutto questo sia tragicamente conformista. Così, a occhio e croce, siamo ancora molto lontani da quel giorno. Nelle movide (non solo milanesi) il tempo per riflettere non è dato, e anzi: hanno un successo travolgente soprattutto perché aiutano a non farlo. Riempire il tempo, ogni nicchia di tempo, di stimoli, impulsi, godimenti, soffoca il tempo, gli impedisce di lievitare.
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1 commento:
A me la cosa che fa più vomitare (ma proprio a spruzzo) sono le reazioni del contorno patatine di tutto il vippume, una volta che i suddetti vip sono beccati a pippare. Tutti a scandalizzarsi, a estromettere dalle trasmissioni, a ostracizzare... come non lo si sapesse perfettamente.
Patetici e ipocriti...
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