sabato 24 luglio 2010

Incredulità a Farra d'Isonzo, il paese dove abitava l'uomo che ha ucciso due escort

(Greta Sclaunich, da qui)

Dolce. Ramon Berloso, il serial killer delle prostitute, la sua prima fidanzatina se lo ricorda così: dolce, serio, tranquillo. Un ragazzo normale, non il mostro arrestato ieri che ha già ammesso l’omicidio di due escort nella campagna friulana. Lo descrivono allo stesso modo anche i suoi vicini e conoscenti di Gorizia, Farra d’Isonzo e Aiello. Una persona tranquilla, riservata. Uno che non dava nell’occhio, che si faceva gli affari propri e stava sempre per conto suo.

UNA VITA RISERVATA - «Ci siamo conosciuti quando, da Gorizia, si è trasferito a Farra - racconta ancora la donna -. Abitavamo vicini, siamo stati insieme per tre anni quando ne avevamo circa 16, nel 1990». Una coppia normale: lei - che dopo il clamore suscitato dalla vicenda vuole restare anonima - già lavorava; lui era stato prima assunto in un’officina meccanica e poi in una ditta che installava ascensori. Appassionato di moto e motorini, nel tempo libero trafficava con chiavi inglesi e carburatori. Usciva poco a Farra, non frequentava i bar del paese, non giocava a calcio nella squadra locale: i giovani lo conoscevano solo di vista. Di lui e del suo passato, però, si sapeva tutto: la mamma, Gloria, lo aveva avuto a vent’anni da padre sconosciuto. Cresciuto insieme alla mamma e al suo compagno, era molto legato al nonno materno. Una famiglia dignitosa e molto unita, anche se negli ultimi anni le strade si erano divise. Tanto che zio Walter ha scoperto solo ieri, dai giornali, che il suo serio e posato nipote si era confessato serial killer di prostitute.

IL PRECEDENTE - Non era la prima volta: Ramon era già stato condannato nel 1993 per la morte del 18enne Alessandro Paglavech. Sei anni e otto mesi con l’accusa di omicidio preterintenzionale e sequestro di persona. Lui prima accusò due amici, Massimiliano Spangher e Roberto Ventura, dicendo di aver solo assistito a quella che in origine doveva essere una spedizione punitiva ai danni di Alessandro. Poi si rimangiò tutto e confessò il delitto ottenendo uno sconto sulla pena. Chi aveva davvero ucciso Paglavech, morto per asfissia nel fango di una pozzanghera nei campi di Farra, Ramon ai suoi cari non volle dirlo mai. «Gliel’ho chiesto tanto volte, non ha mai voluto dire la verità. Né a me, né a sua madre», ricorda la sua prima fidanzata. Nessuno in paese, all’epoca, si era sentito di condannarlo del tutto: si pensava ad un errore, ad una bravata finita male. Ma ormai Ramon era cambiato: «Schivo, freddo, scorbutico. La nostra storia però continuava: andavo a trovarlo in carcere, ci scrivevamo lettere. Poi ho incontrato un altro, gliel’ho scritto, ha reagito bene: ci siamo lasciati di comune accordo, senza drammi né litigate». Lei, come tanti altri, si ripete che non è possibile, che quel crudele assassino capace di uccidere due ragazze a colpi di balestra dopo averle stordite a bastonate non può essere Ramon, il suo Ramon.

IL SILENZIO SOTTO IL VIADOTTO - Ma nel Goriziano la gente preferisce non farsi troppe domande e dimenticare in fretta. Sotto il viadotto sul torrente Torre, dove ha sepolto i corpi, tra i campi di soia e di granoturco dove i giovani si appartano e le famiglie vanno a pedalare la domenica, non c’è nessun curioso. Solo il silenzio e i rumori della vicina cava di ghiaia.

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