(da qui)
Si chiama 'Dirty energy', cioè energia sporca, l'operazione che ha portato a Pavia al sequestro dell'impianto della Riso Scotti Energia spa, un'azienda del gruppo Riso Scotti costituita per produrre energia pulita dagli scarti di produzione del riso e da fonti rinnovabili. Ma dove in realtà venivano bruciati anche rifiuti come legno, plastiche, imballaggi e pure fanghi di depurazione delle acque reflue urbane e industriali con livelli troppo alti di concentrazione di metalli pesanti, fra cui cadmio, piombo, mercurio e nichel. Sono in tutto 12 le persone indagate, sette (incluso il presidente dell'azienda Giorgio Radice) quelle finite agli arresti domiciliari, 60 le perquisizioni effettuate e 46 i mezzi sequestrati. Le accuse sono di traffico illecito di rifiuti, falso ideologico, frode nelle forniture pubbliche e truffa ai danni dello Stato, perché l'energia prodotta da fonti pulite viene pagata di più. In questo caso la stima è di 30 milioni di euro di profitto ingiusto dal 2007 al 2009.
Le indagine coordinate dalla Procura di Pavia - sviluppate dal Corpo forestale di Pavia in collaborazione con la polizia scientifica - hanno preso il via nel 2007 da una segnalazione della Procura di Grosseto. Quello che è stato appurato è che nessuno dei carichi che arrivavano da impianti di trattamento dei rifiuti di Puglia, Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna e Toscana (circa 40mila tonnellate) è mai stato respinto, anche se non conforme alle norme. Anzi, si è scoperto che i certificati di analisi erano falsificati grazie a laboratori compiacenti e che alla Riso Scotti Energia alla lolla (cioè la parte del riso che racchiude i chicchi) venivano mischiati anche questi rifiuti e le scorie di combustione. Così si è posto anche un problema di sicurezza alimentare: questa lolla inquinata non solo è stata bruciata nell'impianto, ma 5.400 tonnellate sono state vendute per fare le lettiere ad allevamenti zootecnici in Lombardia, Veneto e Piemonte e per costruire pannelli, oltre che ad altri impianti di termovalorizzazione. "Non ci sono atti di indagine sugli impianti di produzione del riso", precisano comunque i vertici del Corpo forestale lombardo.
Resta ancora da valutare l'inquinamento dell'aria. Nel controllo effettuato a ottobre del 2009, ha spiegato il comandande provinciale di Pavia, Paolo Moizi, si è scoperto che l'impianto di misurazione dei fumi era malfunzionante e segnava valori talmente bassi da essere praticamente impossibili. Agli arresti domiciliari sono così finiti - nell'operazione che ha coinvolto in questi giorni 250 forestali - oltre a Radice, il direttore tecnico e il responsabile dell'impianto Massimo Magnani e Giorgio Francescone, e una impiegata, Cinzia Bevilacqua. Ma anche il responsabile del laboratorio Analytica di Genzone (Pavia), Marco Baldi, il tecnico responsabile del laboratorio Silvia Canepari e Alessandro Mancini, pisano, che ha fatto da intermediario.
Si tratta della prima inchiesta di questo tipo su un impianto a energia da biomasse, ha spiegato il comandante regionale della Forestale, Ugo Mereu, rimarcando che "ci sarebbe necessità di controlli, ma il nostro è uno dei corpi più piccoli: siamo meno dei vigili urbani di Roma".
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