venerdì 26 novembre 2010
Luigi de Magistris rinviato a giudizio
Luigi de Magistris è stato rinviato a giudizio per omissione di atti d'ufficio al Tribunale di Salerno.
Il codice etico dell'IDV prevede che chi sia rinviato a giudizio debba autosospendersi dal partito.
Eppure De Magistris non si autosospenderà, adducendo il fatto che si tratterebbe dell'ennesima parte del complotto teso ai suoi danni e iniziato con la revoca delle indagini nell'inchiesta Why Not che hanno portato al suo abbandono della magistratura e ingresso in politica.
Su questo, un duro scontro si è tenuto nel partito: Antonio Borghesi ha chiesto a De Magistris di sospendersi. Sonia Alfano e Antonio Di Pietro sostengono che egli ne sia dispensato.
Potete leggere tutto l'articolo andando qui.
Iscrivetevi alla pagina facebook di Alla-Fonte, il sito di informazione indipendente che gestisco in prima persona, andando qui. Oppure, potete iscrivervi alla nostra pagina twitter.
giovedì 25 novembre 2010
un elenco per Saviano: le donne uccise da luglio a oggi
Abbiamo un elenco da proporre alla lettura per Saviano nella trasmissione Vieni via con me (pagina fb evento). Chi è d’accordo con noi (grazie a chi lo sta condividendo!) può inviarlo, o inviare il link di questo post, a i...@robertosaviano.it e tramite il form sul sito della trasmissione (non troviamo l’indirizzo mail – c’è però un altro form per “i tuoi elenchi“). Eventualmente potete lasciare un messaggio tra i commenti anche sulla bacheca della loro pagina facebook.
Il nostro elenco omette le donne che sono sopravvissute a gravi tentati omicidi. Ci sono quelle che sono state ustionate, bruciate vive, accoltellate, colpite con armi di vario genere, picchiate a sangue e tuttavia sono sopravvissute, sebbene con gravissime disabilità e mille vite distrutte. Sono in numero altissimo e l’elenco sarebbe infinito. Perciò ci dedichiamo all’elenco composto da tante donne anonime, di quelle che nessuno chiamerà mai eroine, morte ammazzate in Italia per mano di uomini violenti negli ultimi quattro mesi e mezzo (a partire dal presente andando a ritroso fino a Luglio). Quelle che non ce l’hanno fatta. Nonostante abbiano lottato, si siano opposte, abbiano spesso denunciato. Sono circa 65 vittime soltanto negli ultimi quattro mesi. E scusate se è poco…
Novembre/Ottobre
Eliana Femiano, 25 anni, uccisa dal suo ex convivente, aveva trascorso anni d’inferno per uscire da una storia con un uomo violento. Lui, italianissimo, aveva già tentato di ucciderla colpendola più volte con un coltello. Lei era sopravvissuta e lui ha fatto un annetto di carcere. Poi è stato rimandato dopo pochi mesi ai domiciliari e l’ha ammazzata.
Napoli: Sofia Spinelli ha due mesi di età. Lo zio la sente piangere e l’accoltella.
Adelina Ciavatta e Maria Giagnacovo, madre e cugina dell’assassino, di 82 e 74 anni, vengono uccise da un uomo (figlio e cugino) forse per motivi economici.
Tiziana Falbo, 37 anni, uccisa a Cosenza dal convivente.
Natalina Rognoni, 91 anni, a Novara, è stata uccisa dal figlio.
Angelica Cappelli, 15 anni, a Subiaco (Roma), morta ammazzata dal padre, carabiniere, che ha sparato alle figlie di 13 e 15 anni. Angelica muore.
Lucia Lambertini, 60 anni, uccisa a Livorno dal marito.
Rosa Reiterer, 75 anni, a Sarentino (Bolzano) ammazzata a martellate dal genero che poi se ne torna a casa a dormire.
A Bologna è morta Caterina Tugnoli, 42 anni, ammazzata da un uomo con il quale aveva avuto una relazione lunga tre anni, al termine della quale lei aveva cambiato la serratura della porta. Lui, un agente di custodia, quindi dotato di arma, come tanti tra gli autori di delitti in famiglia, ha insistito molto per incontrarla, lei non si è fidata e lui allora l’ha aspettata sotto la porta di casa e lì ha messo in atto la sua guerra personale. Morta lei, suicida lui.
Si chiamava Eleonora Liberatore e anche lei, a Cesena, alla giovane età di 37 anni, è stata uccisa a coltellate, sul petto e sulla schiena, dal suo ex compagno che ancora non si rassegnava alla fine del loro rapporto. Per lui c’era un provvedimento cautelativo. Cosa significa concretamente non saprei perchè di sicuro non ha tutelato la donna che lo aveva denunciato per stalking e che è stata aggredita in un bar, mentre stava con gli amici, senza che evidentemente qualcuno abbia potuto fare qualcosa per lei.
Allinca Elenea Rosu, 48 anni, l’ennesima vittima di femminicidio in italia, accoltellata a morte dal marito.
Lea Garofalo è stata sequestrata un anno fa. Oggi sappiamo che fu torturata e sciolta nell’acido. Lei si era schierata contro la ‘ndrangheta e della ‘ndrangheta faceva parte il suo ex convivente e padre di sua figlia.
Albissola (Savona): Kamila Lysadorska è stata uccisa a coltellate dall’ex fidanzato, italiano. Lui aveva ancora le chiavi. A ritrovare il suo corpo in un lago di sangue i due figli di 4 e 6 anni che sono andati a chiamare la vicina per chiedere aiuto.
San Nicandro Garganico (Foggia): Anna de Pilla, è stata picchiata a morte dal marito. Della coppia si dice che viveva un rapporto molto violento e che lei non aveva mai denunciato per paura delle ritorsioni.
Sonico (Brescia): Anna Maria Riva, è stata accoltellata dal figlio il quale dopo avrebbe tentato di uccidersi.
Firenze: Anna Maria Lotti e Eva Bigalli, rispettivamente madre e figlia, sono state accoltellate da un vicino di casa. Il vicino era stato denunciato da loro per stalking perchè manifestava comportamenti minacciosi e aggressivi chè non tollerava il cagnolino delle due donne. Era stato condannato. Questa la vendetta. La madre, Anna Maria Lotti, è morta. La figlia è stata ferita gravemente ma per fortuna è sopravvissuta.
Alessandria: Paola Carlevaro viene strangolata nel sonno dal marito. Di lui ovviamente dicono che era tanto depresso.
Treviglio (Bergamo): Silvia Betti viene accoltellata dal marito. Lei voleva separarsi.
Roma: una donna di nazionalità rumena, Maricica Hahaianu, viene colpita dal pugno di un italiano. Lei finisce in coma e subisce una delicata operazione per i danni al cranio, poi muore.
Como: Maria Luigia Pozzoli viene accoltellata a morte da un uomo. Pare avessero dei “banali dissidi”.
Pontecorvo (Frosinone): Anna Spiridigliozzi viene uccisa dal suocero.
Garbagnate Milanese: Petronilla Sanfilippo viene accoltellata e poi finita con un ferro da stiro. Viene arrestato il suo compagno che dopo averla uccisa pare l’abbia anche rapinata.
Avetrana: Sarah Scazzi viene uccisa, secondo una prima confessione, dallo zio molesto. La cugina viene arrestata come complice del delitto. Attualmente le versioni di avvocati, consulenti e media, ancora prima della conclusione o dell’inizio di un processo, sgravano l’uomo da qualunque responsabilità e addebitano il delitto alla cugina.
Como: si tratta di Beatrice Sulmoni, il cui corpo è stato ritrovato nel lago in zona Ticinese, uccisa dal marito che prima di gettarla in acqua aveva tentato di decapitarla. Lei era incinta di tre mesi.
Novi: Shahnaz Begum viene uccisa a sassate dal marito mentre il figlio tenta di far fare la stessa fine alla sorella. Nosheen, questo il suo nome, non accettava nozze combinate e la madre ha tentato di difenderla.
Settembre:
Livorno: Lui spara alla moglie, Elisabetta C., 46 anni, uccidendola, e poi si suicida. E’ il figlio a trovare i corpi.
Torino: Spirita Regis, 68 anni, a Bussoleno, viene uccisa a colpi di pistola dal figlio che poi si suicida. Di lui scrivono che avesse disagi psichici.
Brescia: lui uccide con un fucile la figlia di tre anni, Nicol Fogari, che ha avuto dall’ex compagna, fa fuori anche il cane e poi si suicida.
Portici (Napoli): Teresa Buonocore viene ammazzata nella sua auto. Secondo gli inquirenti sarebbe una esecuzione per la quale sono stati arrestati due uomini e sono attualmente indagati come mandanti il fratello e la moglie di un uomo, anche lui indagato, condannato a 15 anni di prigione per abusi su minori inclusa la bambina di otto anni di Teresa Buonocore.
Poggioreale: Emma Durante viene ammazzata a coltellate davanti al figlio dal marito. Costui tenta il suicidio senza riuscirvi. Secondo i vicini era una coppia che litigava spesso.
Genova: Artichiana Mazzucchelli viene bastonata e poi gettata dalla finestra del quarto piano. Viene arrestato il nipote.
Rimini: Monica Anelli viene uccisa con un colpo di balestra. Aveva tentato la fuga senza riuscirvi. E’ stata colpita da una freccia. L’ha ammazzata lo zio che ha anche staccato i tubi del gas per fare esplodere la casa. In seguito si è suicidato.
Cavenago: Zabina Kazanxhiu, viene uccisa a coltellate dopo essersi separata dal marito. Lui non ha permesso che lei vivesse una più serena esistenza lontana dalle violenze che il marito le infliggeva.
Milano: Teresa Patanìa viene ammazzata a colpi di pistola dall’ex marito. Una vera e propria esecuzione sotto gli occhi atterriti di vicini, figli, parenti. Prima di morire Teresa Patanìa pare avesse chiesto più volte di salvare i bambini.
Agosto:
Cinisello: Mariangela Corna muore strangolata dal marito.
Cerignola (Bari): Anna Parrucci viene uccisa per strada a colpi di pistola. Viene ferita anche la figlia di un anno e mezzo. L’ipotesi è di un delitto compiuto da qualcuno di famiglia per banali contrasti.
Partanna (Trapani): Carmela Scimeca viene uccisa a coltellate dal marito il quale poi si suicida. Stavano per separarsi.
Roma: una donna, Catia Carbini, 47 anni, viene uccisa con una pistola dal marito che poi si è suicidato. Avevano due figli quasi maggiorenni. Stavano per separarsi.
Brescia: Cesarina Boniotti muore di percosse violente inflitte dal suo convivente. Avevano dei problemi economici e vivevano una vita abbastanza grama. Lui è stato arrestato per omicidio.
Genova: Mara Basso uccisa con varie coltellate dal marito, un carabiniere. Erano in corso le pratiche per il divorzio.
Milano: Emlou Aresu viene uccisa a pugni da un uomo che dopo aver litigato con la fidanzata è uscito di casa con l’intenzione di uccidere una donna qualsiasi.
Canicattì (Caltanissetta): Costanta Paduraru viene uccisa a coltellate dal marito. Erano separati, lui aveva chiesto un “chiarimento” e ha chiarito perfettamente il suo punto di vista.
Milano: Jolanda Ripamonti viene soffocata con un cuscino dal marito. Pare volesse mettere fine alle sue sofferenze. Lui è stato arrestato per omicidio volontario.
Luglio:
Parma: Argia Lazzari viene trovata morta 10 mesi prima alla fine di una scarpata con l’auto. Ora si indaga il marito dopo che l’autopsia avrebbe rilevato un colpo alla testa non compatibile con l’incidente.
Ancona: Rita Pulvirenti e Silvana Mannino, rispettivamente madre e figlia, muoiono ammazzate a colpi di arma da fuoco. Si salva solo Vincenza Mannino, sorella e figlia delle due vittime. Della strage viene accusato l’ex fidanzato di Vincenza Mannino.
Milano: una donna di origini ecuadoriane, Karina Labezzaris Munoz, 35 anni, viene trovata morta ammazzata da ferite inferte all’addome da un coltello da cucina. Gli inquirenti cercavano come responsabile del delitto uno che certamente conosceva.
Udine: Ileana Vecchiato, Diana Alexiu, sono due delle escort scomparse e uccise da un uomo italiano, un serial kiler, che ammazzava le donne con una balestra.
Brescia: Carla Ruffatto e Franca Dolcetti, rispettivamente zia e cugina del femminicida, vengono prese a sprangate dal nipote. Muore la zia e la cugina sopravvive. Lui viene arrestato per omicidio.
Predosa (Alessandria): Franca Pisano viene colpita con un coltello da cucina e ucciso. Accusato è il figlio.
Roma: una donna romena, Angela Mihalova Nijinic, viene accoltellata e uccisa in un sottopasso della stazione di Civitavecchia. Viene accusato il suo ex.
Cuneo: Katerina Marcovic viene uccisa a coltellate. La stessa fine fa il suo amico. Autore dei delitti è l’ex di lei che poi si suicida.
Mestre: Eleonora Noventa, appena sedicenne, viene uccisa dal suo ex trentunenne. Lei lo aveva lasciato. Dopo averle sparato lui si suicida.
Bari: Chiara Brandonisio conosce un tale sul web. Lo incontra, lo rifiuta e lui la uccide a sprangate.
Roma: Anna Maria Tarantino viene picchiata, strangolata e uccisa da un uomo che non accettava un suo rifiuto. L’ha uccisa perchè lei ha detto di No. Lo stesso è avvenuto per tante altre.
Biella: Rosangela de Donà viene trovata uccisa e bruciata dentro il bagagliaio dell’auto. E’ stato arrestato un pregiudicato per motivi annessi ad affari economici di non si sa quale genere.
Venezia: Roberta Vanin muore di coltellate per mano dell’ex convivente. Continuavano a frequentarsi per motivi di lavoro nonostante la separazione. Avevano avuto dei contrasti aggravati dal fatto che lei aveva intrecciato una nuova relazione. Lui ha tentato il suicidio. Senza riuscirci.
Torino: Simona Melchionda viene uccisa e gettata nel fiume. Dopo molti giorni il suo ex, un carabiniere, confessa di averla uccisa con la sua pistola d’ordinanza.
Cremona: Debora Palazzo viene uccisa a colpi di arma da fuoco dall’uomo con cui viveva una relazione oramai agli sgoccioli. Lui poi si suicida.
Villa Raspa di Spoltore: Angela Mihaloeva, ammazzata per strangolamento dal suo compagno. Secondo la stampa avevano problemi di miseria. E si sa che tutti i poveri per placare i disagi derivanti dalla povertà ammazzano le donne.
Torino: una donna di origini filippine viene trovata morta nel suo appartamento, strangolata e senza slip. Si presume sia stato un conoscente.
Cremona: Maria Montanaro e Livia Balcone, entrambe ex dell’assassino, vengono uccise con un arma da fuoco da un uomo che decide in un solo giorno di fare i conti con le sue ex fidanzate, una delle quali per nulla recente, e poi suicidarsi.
Potete continuare da sole. Alla voce femminicidio e tentato omicidio o strage familiare del blog Bollettino di Guerra.
Segregata in un tugurio e costretta a prostituirsi
Un nordafricano è stato arrestato dai carabinieri della compagnia di Portoria per aver sequestrato e costretto a prostituirsi per quasi due anni una ragazza italiana, soggiogata dalla dipendenza droga.
La giovane era tenuta prigioniera all'interno di un appartamento-tugurio nel centro storico ed era costretta a consumare i rapporti sessuali con i clienti su un materasso di fortuna in mezzo all'immondizia.
Traffico di rifiuti a Pavia, sette arresti
Si chiama 'Dirty energy', cioè energia sporca, l'operazione che ha portato a Pavia al sequestro dell'impianto della Riso Scotti Energia spa, un'azienda del gruppo Riso Scotti costituita per produrre energia pulita dagli scarti di produzione del riso e da fonti rinnovabili. Ma dove in realtà venivano bruciati anche rifiuti come legno, plastiche, imballaggi e pure fanghi di depurazione delle acque reflue urbane e industriali con livelli troppo alti di concentrazione di metalli pesanti, fra cui cadmio, piombo, mercurio e nichel. Sono in tutto 12 le persone indagate, sette (incluso il presidente dell'azienda Giorgio Radice) quelle finite agli arresti domiciliari, 60 le perquisizioni effettuate e 46 i mezzi sequestrati. Le accuse sono di traffico illecito di rifiuti, falso ideologico, frode nelle forniture pubbliche e truffa ai danni dello Stato, perché l'energia prodotta da fonti pulite viene pagata di più. In questo caso la stima è di 30 milioni di euro di profitto ingiusto dal 2007 al 2009.
Le indagine coordinate dalla Procura di Pavia - sviluppate dal Corpo forestale di Pavia in collaborazione con la polizia scientifica - hanno preso il via nel 2007 da una segnalazione della Procura di Grosseto. Quello che è stato appurato è che nessuno dei carichi che arrivavano da impianti di trattamento dei rifiuti di Puglia, Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna e Toscana (circa 40mila tonnellate) è mai stato respinto, anche se non conforme alle norme. Anzi, si è scoperto che i certificati di analisi erano falsificati grazie a laboratori compiacenti e che alla Riso Scotti Energia alla lolla (cioè la parte del riso che racchiude i chicchi) venivano mischiati anche questi rifiuti e le scorie di combustione. Così si è posto anche un problema di sicurezza alimentare: questa lolla inquinata non solo è stata bruciata nell'impianto, ma 5.400 tonnellate sono state vendute per fare le lettiere ad allevamenti zootecnici in Lombardia, Veneto e Piemonte e per costruire pannelli, oltre che ad altri impianti di termovalorizzazione. "Non ci sono atti di indagine sugli impianti di produzione del riso", precisano comunque i vertici del Corpo forestale lombardo.
Resta ancora da valutare l'inquinamento dell'aria. Nel controllo effettuato a ottobre del 2009, ha spiegato il comandande provinciale di Pavia, Paolo Moizi, si è scoperto che l'impianto di misurazione dei fumi era malfunzionante e segnava valori talmente bassi da essere praticamente impossibili. Agli arresti domiciliari sono così finiti - nell'operazione che ha coinvolto in questi giorni 250 forestali - oltre a Radice, il direttore tecnico e il responsabile dell'impianto Massimo Magnani e Giorgio Francescone, e una impiegata, Cinzia Bevilacqua. Ma anche il responsabile del laboratorio Analytica di Genzone (Pavia), Marco Baldi, il tecnico responsabile del laboratorio Silvia Canepari e Alessandro Mancini, pisano, che ha fatto da intermediario.
Si tratta della prima inchiesta di questo tipo su un impianto a energia da biomasse, ha spiegato il comandante regionale della Forestale, Ugo Mereu, rimarcando che "ci sarebbe necessità di controlli, ma il nostro è uno dei corpi più piccoli: siamo meno dei vigili urbani di Roma".
mercoledì 24 novembre 2010
Cassino: operaio muore schiacciato sotto la pressa della Cartiera
Lascia moglie e due figli l'operaio di 52 anni, Bruno D'Alessandro, morto ieri notte in un incidente sul lavoro, nella Cartiera di Cassino, in provincia di Frosinone. D'Alessandro, originario di Pignataro Interamna, è rimasto schiacciato da una pressa, che si è riavviata mentre l'operaio stava cercando di capire l'origine del guasto. Gli ingranaggi lo hanno travolto. La tragedia è avvenuta dopo le ore 23.30.
Sull'episodio stanno indagando i carabinieri della compagnia di Cassino e gli ispettori della Asl che dovranno stabilire cosa realmente sia accaduto. Nonostante i tempestivi soccorsi, D'Alessandro è arrivato all'ospedale di Cassino quando ormai non c'era più nulla da fare. La procura della Repubblica ha disposto il sequestro del macchinario e i carabinieri stanno ascoltando ora i colleghi e il responsabile di turno.
martedì 23 novembre 2010
Brescia, giustizia impossibile
Strage di Brescia: sentenza di assoluzione per insufficienza di prove. “La sentenza mortifica i parenti delle vittime”; “Niente giustizia per mio padre, oggi mi manca ancora di più”; “Me l’aspettavo. Come si fa a fidarsi delle istituzioni?”; “La vergogna di Roy Hagen” (Delfo Zorzi, uno degli imputati); “La nuova ferita”. Questi alcuni dei titoli di giornale.
Capisco il dolore dei parenti: la condanna dei colpevoli non restituirebbe la vita ma realizzerebbe una specie di equilibrio; resterebbe il dolore, non la frustrazione, l’ira, l’impotenza. Ma è possibile – pensano – che, dopo 36 anni, questo equilibrio non sia stato realizzato? Si, è possibile, soprattutto dopo 36 anni. Provo a spiegare perché.
Il processo non si fa solo ai colpevoli, non serve per ratificare una sentenza di condanna già emessa. Se così fosse, sarebbe inutile: c’è un delitto, la polizia scopre il colpevole, il pm lo condanna all’ergastolo. Il processo si fa nei confronti di persone che non si sa se sono colpevoli o no; serve per accertarne la colpevolezza; e, ma è la stessa cosa, per accertarne l’innocenza. La rabbia della vittima per una sentenza di assoluzione è l’altra faccia della medaglia della rabbia dell’imputato per una sentenza di condanna: ognuno dei due ha già deciso, prima ancora che il processo finisca, che la sentenza “giusta” è quella che corrisponde alla sua aspirazione. Ma questa convinzione è dissennata. La sentenza “giusta” è solo quella emessa dal giudice nel rispetto delle regole. Solo se si prova che il giudice è stato corrotto o ha trascurato prove decisive in un senso o nell’altro, solo in questo caso la sentenza può essere definita “ingiusta”. E allora si farà un altro processo e ci sarà una nuova sentenza. Insomma nessuno è “colpevole” se una sentenza non lo qualifica tale.
Una sentenza è cosa diversa dal giudizio del privato cittadino. Una sentenza deve essere motivata solo sulla base delle prove acquisite nel processo, non può fondarsi su convincimenti personali, sensazioni, intuizioni, nemmeno sull’accertata responsabilità dell’imputato in altri casi analoghi.
Ecco perché non c’è necessaria coincidenza tra la decisione del giudice e la verità storica. Può non piacere, può deludere, ma è così. La sentenza è il tentativo degli uomini per garantire una civile convivenza, la soluzione dei rapporti tra i cittadini; ma non può essere considerata un oracolo, il giudizio divino, la Verità.
È normale che non si arrivi a una decisione certa dopo 36 anni; è quasi impossibile. Si scopre un documento dopo 15 anni; a quando risale, chi lo ha conservato, perché non è stato trovato prima? E se è falso, come dice Tizio, smentito da Caio ma confermato da Sempronio? Arriva un testimone, dopo 10 anni, rivela alcune cose, ne smentisce altre, poi ritratta. Quando ha detto la verità, prima, dopo? E perché si è fatto vivo dopo 10 anni? Chi lo ha mandato? Il problema è che il giudice non può dire, come chiunque, “boh, non ci capisco niente, non ho elementi per decidere, chiedete a qualcun altro”. Lui deve emettere una sentenza; e, quando gli elementi a sua disposizione non sono sufficienti per decidere, non gli resta che dirlo: insufficienza di prove. Non c’è da stupirsene. La Corte Suprema degli Stati Uniti giudicò irragionevole la tesi in base alla quale l’assassino di John Kennedy era Lee Oswald, poi ammazzato da Jack Ruby in un impeto d’ira e di vendetta. Ma non fu possibile trovare le prove su chi fosse il mandante del primo e del secondo omicidio. Supposizioni, convincimenti, pregiudizi: la Cia, i terroristi, gruppi di potere di varia natura. Ma a chi fare il processo? Chi mandare sulla sedia elettrica?
E qui, nel nostro Paese, a Brescia: sì, strage nata negli ambienti neofascisti, così hanno detto alcune sentenze; ma chi piazzò l’ordigno, chi dette gli ordini, chi progettò? Non si è accertato; in 36 anni decine di giudici, centinaia di poliziotti, hanno fatto quello che potevano per accertare la verità; certamente altri, molto potenti, hanno fatto anche loro quello che potevano per impedire le indagini. Ci sono riusciti; in Italia, come negli Usa, come in qualsiasi altro Paese, quando il Potere decide di sottrarsi al controllo di legalità. È la constatazione di una verità che, presto o tardi, tutti debbono capire: la storia non si fa con le sentenze, si fa con le elezioni; e, qualche volta, con le rivoluzioni.
I baroni Rothschild tra carbone e eco-chic
I banchieri Rothschild, di origine ebrea aschenazita, sono oggi tra le dinastie del business più prestigiose al mondo, con un potere enorme. Controllano società bancarie, industriali, commerciali, minerarie turistiche, ma anche agenzie di stampa e testate giornalistiche, come il quotidiano Libération, punto di riferimento della sinistra francese.
Gelosi custodi delle loro ricchezze, i Rothschild sono sempre stati amanti dell’anonimato. Pochissime società portano il loro nome: nella maggior parte dei casi agiscono dietro le quinte, investono capitali tramite banche o fondi di cui sono azionisti e intascano rendite miliardarie.
L’ultimo movimento dei rampolli Rothschild di cui si abbia notizia risale a un paio di giorni fa ed è significativo per le lezioni di politica energetica che porta con sé. Vallar, la cassaforte finanziaria creata dal trentanovenne Nathaniel (Nat) Rothschild, ha deciso di investire 3 miliardi di dollari per creare una società mineraria che permetterà alla potente famiglia indonesiana dei Bakrie di quotarsi in borsa a Londra. Bumi Plc., questo il nome della società, metterà insieme gli asset di due gruppi minerari indonesiani e il capitale di Vallar, per diventare il più grande fornitore estero di carbone per le centrali termoelettriche cinesi. Il carbone – di cui la Cina è il maggior produttore e consumatore al mondo – soddisfa oggi il 75% del fabbisogno energetico cinese. Ma non basta mai e ne servirà sempre di più per sostenere l’inarrestabile crescita economica di Pechino.
Rothschild l’ha capito al volo e si è buttato a pesce su quella che non ha esitato a definire “un’opportunità che può capitare solo una volta nella vita“. L’accordo, che sarà completato entro aprile, consegnerà a Nat il 37% della nuova impresa. Il ruolo del banchiere barone sarà – come sempre nella storia dei Rothschild – quello di finanziatore di famiglie fortemente indebitate. I Bakrie, infatti, conferiranno in Bumi Plc. asset minerari gravati da 4,4 miliardi di dollari di debito. “Senza il nostro intervento la famiglia Bakrie non avrebbe mai potuto entrare in borsa“, ha dichiarato Nat Rothschild.
“La nostra politica è quella di fomentare le guerre (…) dirette in modo tale che entrambi gli schieramenti sprofondino sempre più nel loro debito e, quindi, sempre di più sotto il nostro potere“, aveva dichiarato il capostipite della famiglia Amschel Mayer Rothschild nel 1773. Oggi sembra che le cose per gli eredi non funzionino in modo molto diverso.
Per fortuna a salvare la reputazione dei baroni ci pensa il più giovane tra gli eredi: David Mayer De Rothschild. Nato nel 1978 a Londra, è oggi uno dei più famosi ambientalisti britannici e leader di Adventure Ecology, un gruppo che organizza spedizioni tra le bellezze naturali del pianeta per aumentare la consapevolezza sugli effetti dei cambiamenti climatici. Compresi quelli che produrrà presto la nuova joint venture del suo amato cugino Nat.
lunedì 22 novembre 2010
Perché vi arrabbiate se Grillo attacca Saviano?
Gli oltre 2800 commenti al mio articolo sulle critiche di Beppe Grillo a Roberto Saviano, molti dei quali critici, mi spingono a chiarire un paio di punti.
“Cara Beatrice Borromeo, i danni che hai fatto con questo articolo sono incalcolabili. Hai solo animato un indegno tutti contro tutti. Che è l’ultima cosa che serve”. Ho scelto questo commento, ma ce ne sono molti altri simili: quando un lettore scrive che non bisognerebbe parlare di un fatto per non provocare certe reazioni, fraintende profondamente quello che dovrebbe essere il nostro mestiere. Chiedere a noi giornalisti di omettere delle notizie non è accettabile, a prescindere dalle conseguenze che implicano (in questo caso poi non mi pare una faccenda così delicata).
Sono andata a teatro a vedere lo spettacolo di Grillo senza alcuna intenzione di scrivere un articolo in proposito. Quando però ho sentito le sue critiche a Saviano, vista anche la reazione perplessa del pubblico presente, ho valutato che fossero una notizia. E la polemica che si è scatenata sul sito del Fatto lo conferma. Non credo però di aver scritto un pezzo né contro Grillo, né contro Saviano: ho semplicemente raccontato i fatti e, visto che ero curiosa delle reazioni della gente, sono andata a spulciare tra i commenti del blog beppegrillo.it notando che in molti stavano dalla parte dello scrittore di Gomorra.
Non conosco personalmente Grillo ma lo seguo e mi piace. Con Saviano siamo amici dai tempi di Annozero, e stimo molto il suo lavoro. Il punto è un altro: perché non ci si rende conto di quanto sia assurdo pretendere che persone così diverse tra loro la pensino allo stesso modo?
I vari Di Pietro, Grillo, Travaglio, Santoro, Vauro, De Magistris, Saviano, Vendola, Gabanelli, cioè quelli che una larga parte di pubblico (tra cui molti lettori del Fatto) considerano “i buoni”, sono diversissimi tra loro. E l’appiattimento che li ha resi quasi interscambiabili nella percezione di molte persone dipende a mio avviso dal fatto che sono l’unica opposizione che questo Paese conosce.
Ma tutti loro in comune hanno solo due aspetti: sono dei professionisti e sono onesti. Nulla di più. E in un contesto normale, con più libertà, questo non sarebbe sufficiente ad omologarli e a pretendere che stiano sempre tutti dalla stessa parte. Capisco la frustrazione di molti lettori perché è evidente che attraversiamo un momento in cui i punti di riferimento, per chi crede in certi valori, sono pochi. E sarebbe più semplice se facessero squadra. Ma non penso sia giusto. Quando Grillo incita Saviano a fare i nomi, a mio parere gli fa un favore: Roberto è diventato un simbolo della lotta alla mafia proprio perché è stato capace di farci conoscere i volti e le storie dei camorristi. E continuerà ad essere un esempio solo se non smetterà di lavorare in questo modo. Lo stesso discorso vale per tutti quelli che ho citato. E credo che il giorno in cui potranno criticarsi a vicenda senza che il loro pubblico si senta tradito, vorrà dire che siamo fuori pericolo.
Detenuto si uccide a Foggia: era in cella per oltraggio
FOGGIA - Un uomo di 41 anni di Foggia, Francesco R., detenuto per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale, si è suicidato la scorsa notte nel carcere di Foggia utilizzando la sua cinta dei pantaloni. Lo rende noto il vicesegretario nazionale del sindacato di poliziotti penitenziari Osapp, Domenico Mastrulli, secondo il quale l'uomo era sorvegliato strettamente perchè pare avesse problemi psicologici. Qualche giorno fa aveva tentato di dare fuoco alla cella, ma l'intervento della polizia penitenziaria aveva evitato conseguenze più gravi. Per evitare - dice Mastrulli - che potesse farsi male, il detenuto era stato spostato in un'altra cella priva di suppellettili.
Nel carcere di Foggia, un altro detenuto si era ucciso solo una ventina di giorni fa. "Quello di Foggia - ha dichiarato Mastrulli - è un carcere con 800 detenuti, mentre ne potrebbe contenere solo 350, e non ha neppure un direttore titolare. Ne servirebbe uno di lunga esperienza. A Foggia c'è, inoltre, carenza di personale, infatti ci sono solo 60 agenti di polizia penitenziaria e sono ovviamente insufficienti. In Puglia ci sono circa 5.000 detenuti in 12 strutture, otto delle quali malridotte, con scarsa igiene e con scarsa sicurezza: i posti disponibili sarebbero 2.300".
giovedì 18 novembre 2010
Grillo, dai vaffa alle bugie
Le primarie, che schifo. I partecipanti al voto? Nemmeno un quartiere semiperiferico. I candidati a Milano? Tutti coi capelli bianchi, solo slogan e manifesti. ”I milanesi hanno potuto scegliere solo i loro faccioni, e non il programma”. Insomma, “elezioni posticcie”
Puntuale, arriva il Grillo-pensiero sulle consultazioni del centrosinistra nel capoluogo lombardo. Con il quale il comico-blogger compie un deciso e importante salto di qualità: dal vaffanculo alle bugie.
Dice il sito ufficiale grillino che gli elettori hanno votato solo facce e slogan. “Questa non è democrazia”, si scandalizza la home page dei nuovi rivoluzionari. E ancora: ”Prendono solo per i fondelli gli elettori”.
Eppure basta cliccare un paio di volte su Google (Grillo ne dovrebbe essere capace) per scoprire che sul sito web di Boeri c’è un programma completo suddiviso in quindici schede tematiche. Magari è un programma orrendo, ma è online da settimane. Lo stesso sul sito di Giuliano Pisapia. Anche lì si tratterà certamente di proposte vecchie e da sfanculare seduta stante, ma basta cliccare e si trovano schede tematiche dagli anziani alle periferie, dalla casa alla cultura.
Evidentemente, dalle parti del Movimento Cinque stelle, si pensa ormai in grande. Prima si crea una schiera di fan con il mix ”buone idee più antipolitica”. Poi, creata la platea, gli si dà in pasto la pura propaganda.
Un bravo comico, dal palcoscenico di un teatro tenda, direbbe che questo sistema somiglia sinistramente a quello dello psiconano. E che il passo dall’antipolitica alla politica, quella peggiore, qualche volta è proprio breve.
martedì 16 novembre 2010
Piazza della Loggia 1974-2010
a favore del finanziamento pubblico ai giornali
Da un lato, giustamente, Travaglio punta il dito sulla assoluta mancanza di razionalità nella questione dei finanziamenti: i rimborsi dipendono infatti dal numero di copie stampate, e non da quelle effettivamente vendute, consentendo a giornali "ridicoli" di stampare copie in più solo allo scopo di ottenere finanziamenti e rimborsi, e in passato (ma forse anche attualmente) regalando in particolare contributi ai giornali cosiddetti di partito (Libero per anni li ha ottenuti per essere l'organo del Partito Monarchico).
Però c'è un altro lato della faccenda: i giornali sono uno dei poteri dello stato, sono simbolo di pluralismo e sono un organismo culturale, dovrebbero sopravvivere solo quelli più letti?
Il caso de "il Manifesto" è sotto gli occhi di tutti: uno dei migliori giornali italiani e certamente schierato ma sicuramente il più indipendente (i legami de Il Fatto Quotidiano con la macchina economica rappresentata da Beppe Grillo e dalla casa editrice Aliberti sono probabilmente poco noti, ma non per questo differenti nella sostanza da quelli del gruppo Repubblica-l'Espresso con De Benedetti).
Regolamentare e razionalizzare la distribuzione dei finanziamenti è assolutamente necessario (nella stampa come nei fondi per il cinema o nel bilancio della RAI). Ma piegare la stampa al puro dettame economico è sbagliato perché livella l'informazione, incoraggia la parzialità e il sensazionalismo e rende la stampa peggiore. Come ci ricorda Noam Chomsky (via occhioclinico):
IL SECONDO FILTRO DEL MODELLO DI PROPAGANDA
“Ruolo primario della pubblicità come fonte di finanziamento [ovvero] la pubblicità come licenza per stare sul mercato […]: il mercato favorisce il mezzo a cui vanno le preferenze degli inserzionisti. Di fatto la pubblicità è un potente meccanismo di indebolimento della stampa della classe lavoratrice” assimilabile all’azione dell’aumento dei costi di capitale.
I giornali che dipendono per la maggior parte dagli introiti delle vendite saranno espulsi, marginalizzati dal mercato: “il libero mercato non produce più un sistema neutrale in cui a decidere sia la scelta dell’acquirente finale. Sono le scelte degli inserzionisti a decidere a incidere sulla sopravvivenza e sulla prosperità dei media”.
La naturale conseguenza è che gli inserzionisti non investiranno nei media che offrono visioni alternative della società, in contrasto con l’ideologia dominante del profitto e gli interessi della classe dirigente. Questo meccanismo determinò, ad esempio, la scomparsa dalla grande distribuzione della stampa socialdemocratica inglese fra il 1960 ed il 1967: il movimento di massa popolare fu privo del sostegno di testate di rilievo, costantemente attaccato dalla stampa e compromesso, quindi, nelle sue possibilità di incidere sulla società.
Coi finanziamenti ben ponderati si fa sopravvivere il pluralismo. Volerli cancellare del tutto ha lo stesso senso e la stessa funzione dei discorsi sul fatto di eliminare quanto più Stato e tasse possibile e lasciare tutto in mano ai privati perché lo Stato sarebbe irrimediabilmente corrotto, sprecone e/o incompetente. E poi si sa, la massa lasciata a se stessa, in un mondo capitalista, va sempre nella solita direzione: tette e culi, Striscia la Notizia e Fox News.
il ministro impugnatore
Il 15 settembre Alfano ha scritto alla Corte d’Appello di Milano spiegando come doveva essere deciso il processo Abu Omar. Si trattava dell’imam di Milano, rapito da agenti Cia con la complicità dei servizi segreti italiani, portato in Egitto, incarcerato e torturato. I vertici del Sismi furono salvati dal governo italiano con il segreto di Stato; gli agenti Cia furono condannati. Il difensore di uno di questi disse che il suo assistito doveva essere giudicato in Usa secondo la Convenzione Nato del 1951. Alfano inviò una lettera al Tribunale: “Questo avvocato ha proprio ragione”. Il giudice gli dette torto e lo spione fu condannato. Naturalmente fu proposto appello. E adesso Alfano ci riprova.
La cosa è scandalosa sotto tanti punti di vista. Cominciamo dal merito. La convenzione Nato in effetti prevede che, in caso di giurisdizione concorrente, le autorità militari Usa hanno il diritto di processare uno dei loro per “i reati compiuti nell’esecuzione del servizio”. Dunque, se un militare Usa commette in Italia un reato; se questo è considerato reato anche negli Usa; se è stato commesso durante un servizio per conto degli Usa; allora sarà giudicato dai giudici Usa. È ciò che avvenne con la tragedia del Cermis: un aereo Usa per un errore di manovra troncò il cavo di una teleferica; la cabina cadde e morirono 20 persone; processo ai piloti in Usa. Ma il rapimento di Abu Omar è tutta un’altra cosa. Prima di tutto è reato solo per la legge italiana (art. 605 codice penale). Negli Usa si chiama extraordinay rendition ed è considerato legittimo. Sicché niente giurisdizione concorrente. Se l’Italia non li processasse, gli spioni non sarebbero processati in Usa perché lì non è reato. Ma allora, se non c’è giurisdizione concorrente, se si tratta di un reato solo per la legge italiana (e per quella di – quasi – tutti gli Stati civili della terra), la convenzione Nato non c’entra niente. E poi, quale persona sana di mente può pensare che un pubblico servizio consista nel rapire e torturare una persona? In questo caso, il pubblico servizio Usa era un reato in sé, non un’attività lecita nel corso della quale (come espressamente dice la Convenzione Nato) sono stati commessi reati. E si può sostenere che l’Italia debba accettare che delitti gravissimi siano commessi impunemente nel suo territorio solo perché chi li commette è cittadino di un altro Stato le cui leggi (che non ci riguardano, siamo – ancora – uno Stato sovrano) dicono che non si tratta di attività illecita? E se gli Usa decidessero che è lecito per la Cia appostare, dietro la madonnina del Duomo di Milano, un tiratore scelto e fare secco qualcuno perché, secondo loro, è un terrorista, a noi ci dovrebbe star bene? Ma dai!
venerdì 12 novembre 2010
giovedì 11 novembre 2010
l'alluvione non ha colore politico
E’ da quando ho 3 anni che sento parlare di alluvioni, essere nato nel delta del Po significa sapere cosa vuol dire l’acqua in casa. I miei si sono sposati nel ’58 all’asilo, perché la chiesa era sott’acqua. Il collegio di Feltre in cui ho iniziato le elementari aveva diviso i bimbi in tre categorie: permanenti, estivi e alluvionati. L’acqua invade da sempre case e strade. Si può evitare? Forse no, anche se a volte sì. Si può prevedere? Forse sì. Alcune delle vie inondate a Padova dall’esondazione del Bacchiglione si erano già allagate a maggio e amici mi dicono che era già successo altre volte con piogge abbondanti.
Qualcuno ha sbagliato qualcosa. Sicuramente la gestione del territorio è disastrosa anche in una regione governata da gente che del territorio si riempie la bocca fino a divenire stomachevole. La cosa più interessante di questo dramma, perché di dramma si tratta, di attività chiuse, di case abbandonate, di gente che avrà problemi per mesi se non per anni, è che i giornali e i telegiornali non l’hanno trovata una notizia interessante. Al punto che gli stessi veneti che non erano toccati direttamente dalla cosa hanno continuato a non preoccuparsene finché qualcuno (per lo più testate locali) non ha aperto loro gli occhi. E’ triste renderci conto una volta di più che viviamo in un paese nel quale se una cosa non la dice la tv non esiste. Certo, non ci sono stati i morti che rendono così succulente le nostre serate di news, e nemmeno quel gusto pecoreccio che è ormai caratteristica fissa dei nostri programmi di approfondimento politico riempiendoli di bagasce e magnaccia. Forse qualche amministratore leghista ha anche sovieticamente pensato che non era il caso di diffondere l’immagine un po’ retrò di un Veneto sommerso e piangente. Ora, persino chi ha votato Lega credendo alla balla dei politici fuori dal coro, tocca con mano cosa significa essere parte debole del paese, avere bisogno dei soldi degli altri.
Devo dire che non è comunque edificante il coro di quelli che, anche a sinistra, dicono “Volete tenervi tutto? Tenetevi l’alluvione e non rompete le balle”. Non c’è in queste dichiarazioni niente di diverso da chi, a destra, dice che l’immondizia a Napoli se la meritano perché hanno votato la Jervolino. E’ come se l’idea della punizione del cielo sopravvivesse anche fuori dalle chiese di stampo medievale. Nessuno si merita l’alluvione, nessuno si merita di finire nel fango, nemmeno se ci sta antipatico, nemmeno se lo riteniamo un nemico.
Ora che il governatore ultralocalista di questa regione ha deciso di sospendere la propria vocazione federalista finché non arrivano i soldi da Roma, soldi intendiamoci, che vengono anche dalle tasse dei siciliani, dei calabresi, dei campani perché persino in quelle regioni c’è gente che paga le tasse, abbiamo alcune cose da imparare da questo disastro:
1) Il territorio non ha colore politico, esige rispetto e va gestito da persone che lo amano veramente e non da affaristi pronti a cementificare anche la nonna. Sarebbe anche il caso di non cambiare criteri di protezione del territorio a seconda di come cambiano le amministrazioni.
2) I telegiornali come mezzi di diffusione delle notizie sono sempre più inutili. Ci sono molte più informazioni in una paginetta di facebook che in mezz’ora di telegiornale. Inoltre sarebbe bene ripristinare una regoletta utilissima: a tavola e a letto non si guarda la tv.
3) Nessuno può pensare di tenere alla porta i problemi. Sentirsi parte di una comunità, di una nazione, significa poter contare sugli altri in caso di bisogno, ma anche essere pronti a capire e aiutare persone e territori che, per colpa o per disgrazia, si trovano in difficoltà.
opposizione e FLI chiedono conto della Libia al governo
Per chi non è un addetto ai lavori, orientarsi nell’universo degli emendamenti e delle mozioni che si discutono in Parlamento non è cosa semplice. Ieri sera è stato il turno delle mozioni riguardanti la revisione del trattato di amicizia Italia-Libia ed è stato particolarmente complicato seguirne gli sviluppi.
Che il governo sia stato battuto tre volte è un dato politico su cui si sono pronunciati in tanti e non ritengo spetti a me aggiungere altro. Vorrei invece soffermarmi sui contenuti. Il fatto che sia stato espresso un voto favorevole anche alla tutela dei diritti dei richiedenti asilo in Libia è per me e per la mia Organizzazione – l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) – un dato positivo come lo è chiedere al governo l’impegno a che l’ufficio dell’UNHCR a Tripoli torni a lavorare senza le attuali limitazioni, così come che la Libia sia sollecitata a firmare la Convenzione di Ginevra sui Rifugiati del 1951.
Quello che mi ha veramente colpito è come oggi alcuni giornali abbiano interpretato tutto questo. C’è chi ha titolato “Fini vota con la sinistra a favore dei clandestini”; “Più immigrati per tutti”; “Fini ci regala i clandestini”. Ma che c’entra? Qual è il nesso? Una tale rappresentazione non solo non restituisce ai lettori il merito di quanto è stato votato ma volutamente utilizza lo spauracchio dell’invasione per oscurare l’importante tema dei diritti dei richiedenti asilo e degli obblighi internazionali, troppo spesso negli ultimi tempi sacrificati sull’altare della demagogia politica.
sabato 6 novembre 2010
Tre fermi per l'omicidio di Marina: in manette l'ex amante del marito
Svolta nelle indagini su Marina Patriti, la donna scomparsa a Bruino otto mesi fa. La pista del delitto trova conferma nei tre fermi eseguiti oggi con l'accusa di sequestro di persona, omicidio e occultamento di cadavere. A emettere l'ordine di custodia cautelare in carcere è stato il procuratore di Pinerolo (Torino), Giuseppe Amato. Si tratta dell'ex amante del marito della donna, Maria Teresa Crivellari, sulla quale fin dall'inizio gravavano pesanti sospetti, e di altre due persone, Andrea Chiappetta e Calogero Pasqualino, probabilmente assoldati dalla donna per uccidere la rivale in amore. Gli investigatori hanno individuato i tre sospettati attraverso i tabulati telefonici e ora li stanno interrogando nella caserma del Comando Provinciale dei Carabinieri di Torino. "Purtroppo abbiamo sospettato di lei fin dal primo momento - ha detto Giacomo Bellorio, il marito di Marina Patriti - evidentemente i nostri timori si sono rivelati fondati. E' una persona diabolica, capace di tutto". Più sms, partiti dal cellulare di Marina Patriti nel giorno della sua scomparsa, e le intercettazioni telefoniche e ambientali scattate nei mesi successivi, avrebbero funzionato da trappola per i tre arrestati.
Marina, madre di tre figli, non aveva dato più notizie di se' dal 18 febbraio scorso, dopo aver mandato un sms al marito per dirgli di andare lui a prendere il figlio più piccolo all'asilo. La sera stessa Giacomo Bellorio aveva trovato la sua auto a Villarbasse. Fin dall'inizio inquirenti e familiari hanno creduto che non si trattasse di una fuga volontaria, soprattutto per alcuni particolari contenuti nei messaggi lasciati dalla donna prima di andarsene. Si tratta del messaggio sms inviato al marito, nel quale Marina sbaglia il sesso del figlio più piccolo dicendo bambino e non bambina. "Un particolare che lei non avrebbe mai sbagliato - sosteneva il marito - quindi non può essere stata lei a inviare il messaggio".
Sempre dalle poche indiscrezioni trapelate finora, risulta che almeno due dei tre arrestati siano già stati sentiti dai carabinieri nell'estate scorsa. Sembra anche che abbiano rilasciato testimonianze discordanti. Ma l'attenzione degli investigatori si sarebbe concentrata proprio sui messaggi telefonici inviati da Marina Patriti al marito la mattina stessa della sua scomparsa. I primi due, su temi d'ordinaria amministrazione casalinga, sarebbero partiti dal ponte di Bruino, il terzo, in cui lei dice al marito di andare a prendere il bambino (anziché bambina) a scuola perchè lei ha intenzione d'andarsene per sempre, dal ponte di Alpignano, dove abita Maria Teresa Crivellari. Secondo quanto si è appreso, inoltre, i due uomini avrebbero avuto un ruolo importante, prima nel sequestro, poi nell'omicidio volontario e quindi nell'occultamento del cadavere.
venerdì 5 novembre 2010
Carabiniere uccide una figlia e ferisce l'altra, all'origine una lite a causa di Facebook
SUBIACO (Roma) - Dramma familiare per una lite su Facebook. Un maresciallo dei carabinieri ha prima ucciso la figlia di 13 anni, poi ha ferito gravemente la figlia più grande, di 15, e infine si è tolto la vita puntando contro di sé la stessa arma, la sua pistola di ordinanza. La tragedia è avvenuta un appartamento di via XX Settembre a Subiaco, in provincia di Roma, intorno alle 18.30. La sorella minore è stata colpita al capo ed è morta sul colpo. Immediati i soccorsi per la 15enne, che è ricoverata in gravi condizioni in ospedale con ferite al torace e a una gamba.
Il maresciallo aveva anche un altro figlio, presente in casa al momento della tragedia. La moglie, un'insegnante, invece, era fuori. La ragazzina ferita si trova ora all'ospedale di Subiaco con due colpi d'arma da fuoco che l'hanno raggiunta al torace e a una gamba. La sorella, invece, è morta sul colpo dopo essere stata ferita alla testa. Anche il maresciallo, 40 anni, è morto all'istante dopo essersi sparato alla testa.
Secondo una prima ricostruzione effettuata dai carabinieri del nucleo investigativo di Frascati tra l'uomo e una delle ragazzine ieri sarebbe nata un'animata discussione al telefono, probabilmente proprio a causa del popolare social network molto amato dagli adolescenti. Lite che poi sarebbe proseguita oggi pomeriggio. L'uomo ha così impugnato la pistola d'ordinanza e in un impeto inspiegabile di follia ha sparato alla testa la figlia più piccola. Poi ha colpito anche l'altra ragazzina.
Il maresciallo viene descritto come un militare 'irreprensibile', un uomo tranquillo che non aveva mai dato segni di squilibrio o reazioni violente. L'uomo da un anno prestava servizio al nucleo operativo della compagnia di Subiaco. Ma prima, per diversi anni, era stato centro reclutamento nazionale dell'arma. Un ruolo affidatogli proprio per le sue capacità. Il maresciallo oggi, come tutti i giorni, aveva lavorato nel suo ufficio fino al tardo pomeriggio.
giovedì 4 novembre 2010
Bertrand Russell vs Casa Pound
Buona lettura! (Cliccate per allargare e poi cliccate ancora per zoomare)
Nigeriana stuprata dal branco: fermati 2 italiani, caccia ad altri 6
POTENZA - Sequestrata, picchiata e violentata da un branco. E' la notte da incubo vissuta tra sabato e domenica da una ballerina nigeriana a Melfi, in provincia di Potenza. Una storia di brutalità per la quale i carabinieri hanno già arrestato due 25enni del posto e indagano per identificare almeno altre sei persone. In via di accertamento anche eventuali responsabilità dei gestori del night, aperto da poche settimane. Il fermo dei due giovani, accusati di sequestro di persona, violenza sessuale di gruppo e lesioni personali, è stato disposto dal pm di Melfi, Renato Arminio.
I particolari dell'operazione sono stati illustrati stamani dai comandanti dell'Arma a Potenza e Melfi, che hanno sottolineato come il pronto intervento dei carabinieri sul luogo della violenza sia stato possibile grazie a una segnalazione. Secondo la ricostruzione, nella notte tra sabato e domenica scorsi, al termine di uno spettacolo in un night di Melfi, i due arrestati hanno convinto la donna, una 33enne nigeriana, a salire su un'auto.
I due si erano offerti di accompagnata in albergo, invece si sono diretti in una zona periferica di Melfi, in contrada Crocifisso. Intuito il pericolo, la donna ha cercato di avvertire una sua amica, ma i due le hanno strappato di mano il cellulare, a cui hanno tolto la batteria. Fermata l'auto in aperta campagna, i giovani hanno intimato alla donna di uscire all'aperto e hanno cominciato a picchiarla e a violentarla.
Sul posto sono poi giunti altri sei uomini, a bordo di due vetture, per partecipare alla violenza. La donna, raccontano i carabinieri, si è "difesa strenuamente" e uno degli otto aggressori, impietosito o forse molto più semplicemente spaventato dalla violenza che "avrebbe potuto portare a conseguenze molto più gravi", convince gli altri ad andar via. Forse è stato proprio lui a telefonare ai carabinieri per dare indicazioni sul luogo in cui si trovava la vittima dello stupro.
I militari hanno trovata la donna in lacrime, in evidente stato di shock e l'hanno accompagnata all'ospedale "San Giovanni di Dio" di Melfi. Diagnosticata una prognosi di sette giorni. Sulla base della descrizione degli aggressori fatta dalla nigeriana, i militari hanno poi acquisito e visionato i filmati del circuito di video-sorveglianza del night club e sono riusciti a identificare due degli aggressori, V.M. e B.V., entrambi 25enni di Melfi e noti agli inquirenti.
mercoledì 3 novembre 2010
I morti invisibili in carcere: cancellati perché stranieri
ROMA - Nelle prigioni italiane muoiono ogni anno 150 detenuti. Un terzo per "cause oscure". Ma l'elenco delle morti sospette è destinato a salire. Nel conteggio complessivo mancano gli "invisibili". Gli "invisibili" sono quei detenuti stranieri il cui decesso si riassume in un certificato e in una sommaria ricostruzione dei fatti destinata alla burocrazia. A Regina Coeli, il carcere romano già al centro di inchieste per i casi Cucchi e La Penna, gli "invisibili" finiti nel nulla sono tre. Due sono morti in cella, un terzo nel carcere di Augusta (Siracusa), ma la famiglia da tempo aveva chiesto un intervento alla procura di Roma per indagare sui ripetuti maltrattamenti che il giovane avrebbe subito ben prima del suo trasferimento in Sicilia.
Marko Hadzovic, Paolo Iovanovic, Mija Diordevic. Cittadini originari della ex-Jugoslavia, abituati a sopravvivere ai margini. Pregiudicati, tossici, malviventi di mezza tacca. Tre "clienti" abituali delle prigioni italiane. Erano considerati scarti della società. Adesso sono morti e nessuno, a parte le famiglie e qualche amico, si impegna per sapere come. E perché. E se ci sono responsabilità nel comportamento di chi, in funzione del proprio ruolo, e nel rispetto delle leggi, avrebbe dovuto sorvegliarli ma anche proteggerli.
Eppure i loro casi, proprio perché opachi e facili da archiviare, sembrano gettare nuove ombre sul nostro sistema carcerario, e nel caso specifico su Regina Coeli. Sembrano dire che le vicende ben più note di Stefano Cucchi e di Simone La Penna non sono eventi eccezionali. Questo sembrano dire le storie degli "invisibili". Storie delle quali nessuno finora ha mai parlato ma che Repubblica è in grado di ricostruire.
Marko Hadzovic, 32 anni, è morto in prigione ad Augusta (Siracusa) il primo marzo scorso. Vi era arrivato da Regina Coeli passando per Viterbo e Rossano Calabro. Un tour carcerario non usuale per un piccolo rapinatore che doveva scontare pene cumulative per nove anni. Era stato arrestato a Roma perché insieme al suo complice minorenne, armati di taglierino, aggredivano le donne sole in macchina, le picchiavano e le derubavano. Un reato odioso il cui effetto sulla generale sensazione di insicurezza era devastante.
Quando Hadzovic fu arrestato, il tam-tam carcerario diffuse la voce che tra le vittime dei suoi colpi vi fosse stata anche la congiunta di un uomo delle forze dell'ordine. Questo, all'interno dell'istituto di pena, avrebbe aggravato - e non poco - la sua situazione.
Alex H., ladro di rame, era a Regina Coeli nello stesso periodo. Racconta a Repubblica: "Ho incontrato Marko Hadzovic nel settimo braccio. Gli facevano portare il vitto. Non si doveva parlare con lui, era considerato peggio di un "infame". Mi sembrò un po' malconcio. Per noi stranieri è sempre più dura che per gli altri. Con qualcuno esagerano proprio. Di Marko mi dissero che era caduto dalle scale".
La famiglia di Hadzovic, attraverso i suoi legali, si era rivolta al Garante dei detenuti e cercò di interessare la magistratura. "E' stato legato, bastonato, gettato per terra" scriverà in una memoria. Queste, e molte altre accuse, non trovarono però uno sbocco d'indagine. Nel frattempo Hadzovic venne trasferito nelle altre carceri. Ad Augusta il primo marzo scorso è morto. La procura di Siracusa ha aperto un'inchiesta per omicidio.
Paolo Jovanovic viene fermato dai carabinieri il 17 marzo del 2007 e portato a Regina Coeli. Ha 27 anni. È accusato di ricettazione, è un tossicodipendente frequentemente in crisi. Uscirà dal carcere il 22, ormai privo di vita. Nei cinque giorni di detenzione è stato curato con il metadone per astinenza da eroina. Lo psichiatra consiglia la sorveglianza in cella di isolamento con prescrizione di psicofarmaci.
La sera del 22 marzo, intorno alle 20,30, il personale carcerario va da Jovanovic per somministrargli la terapia. Secondo quanto dichiarato nei documenti ufficiali, lui non risponde e nessuno lo sveglia. Alle 22,50 il personale procede alla conta numerica dei detenuti. Jovanovic continua a non rispondere. Non può, perché sta morendo.
Si tenta un soccorso estremo con rianimazione e defibrillazione. Gli amici di Jovanovic, che sul caso hanno costruito un dossier, ritengono che l'intervento fu tardivo e inutile. "A quel punto era già morto", dicono. Il detenuto viene trasportato in ospedale e lì risulterà essere deceduto alle 23,46. Nel dossier, che sostiene la necessità di un'indagine, sono elencate le numerose perplessità legate ai farmaci utilizzati e alle modalità di detenzione.
Mija Diordevic viene arrestato nel 2008. Ha quarant'anni. È un pluripregiudicato, un soggetto difficile che fa uso di droga. In cella viene "gestito" con il valium. Secondo la famiglia, Mija si sente male di stomaco, il valium lo ha talmente stordito che non riesce a respirare. Muore in cella soffocato dal vomito. Nessuno ne parla. È un altro "invisibile" da archiviare al più presto. La procura apre un fascicolo per gli accertamenti di rito. Il risultato a cui si approda è che non si ravvisa alcun reato. La famiglia, difesa dall'avvocato Luca Santini, dà il via a una causa civile contro il ministero della Giustizia e l'Asl. La tesi è che ci sia stata negligenza e che il cittadino-recluso Mija Diordevic sia stato abbandonato a se stesso.