martedì 28 dicembre 2010
"Ganzer si accordò con narcotrafficanti" - le accuse dei giudici al generale
Secondo i giudici dell'ottava sezione penale di Milano, presieduta da Luigi Caiazzo, il generale ''non ha minimamente esitato (...) a dar corso'' a operazioni antidroga ''basate su un metodo di lavoro assolutamente contrario alla legge, ripromettendosi dalle stesse risultati d'immagine straordinari per se stesso e per il suo reparto''. Il comandante dei Ros inoltre ''ha tradito, per interesse personale, tutti i suoi doveri, e fra gli altri quello di rispettare e far rispettare le leggi dello Stato''. I giudici oltre a Ganzer, avevano condannato altre 13 persone - a pene variabili dai 18 anni in giù - tra cui anche il generale Mauro Obinu e altri ex sottufficiali dell'Arma.
L'accusa aveva chiesto per Ganzer 27 anni di carcere, ma i giudici lo avevano assolto dall'accusa contestata dalla Procura di associazione per delinquere e lo avevano condannato per episodi singoli di traffico internazionale di stupefacenti.
Preoccupante personalità. Il generale Giampaolo Ganzer ha una ''preoccupante personalita''' capace ''di commettere anche gravissimi reati per raggiungere gli obiettivi ai quali è spinto dalla sua smisurata ambizione'', spiegano ancora i giudici. Nel motivare la mancata concessione a Ganzer delle attenuanti generiche, il collegio scrive che le stesse attenuanti non possono essere riconosciute ''non solo per l'estrema gravità dei fatti, avendo consentito che numerosi trafficanti (...) fossero messi in condizioni di vendere la droga in Italia con la collaborazione dei militari e intascarne i proventi, con la garanzia dell'assoluta impunità, ma anche per la preoccupante personalità dell'imputato, capace di commettere anche gravissimi reati''.
Nei panni di un distratto burocrate. Colpisce, si legge ancora nelle motivazioni, "nel comportamento processuale di Ganzer (...) che abbia preso le distanze da tutte le persone che, con il suo incoraggiamento, avevano commesso i fatti in contestazione". Il generale, secondo i giudici, si è trincerato "sempre dietro la non conoscenza e la mancata (e sleale) informazione da parte dei suoi sottoposti". Così, si legge ancora, per "sfuggire alle gravissime responsabilità" ha "preferito vestire i panni di un distratto burocrate che firmava gli atti che gli venivano sottoposti".
Non c'è reato di associazione. Non si ravvisa, secondo i giudici, il reato di associazione per delinquere: "Non si ravvisa negli imputati l'intento di partecipare in modo stabile e permanente ad un programma comprendente la realizzazione di una serie indeterminata di reati, ma soltanto l'intenzione di eseguire alcune operazioni" che, tra le altre cose, avrebbero consentito loro di dare "lustro, davanti ai propri superiori e all'opinione pubblica, al corpo di appartenenza", scrivono i giudici per i quali "l'esistenza di reiterate deviazioni nell'ambito del Ros, ad opera di appartenenti al suddetto Raggruppamento" non è "sufficiente ad integrare" il reato associativo "in mancanza di un vincolo stabile tra gli imputati e della creazione da parte degli stessi di una seppur minima struttura finalizzata al raggiungimento di fini illeciti e criminosi". Il fatto che, spiegano i giudici, "si siano utilizzate le strutture dell'Arma dei Carabinieri realizza certamente un gravissimo abuso dei poteri e una gravissima violazione dei doveri che incombevano sugli imputati (...), ma non consente in alcun modo di identificare la struttura di un lecito servizio (ossia la struttura stessa del Ros, ndr) nella struttura dell'associazione". Non vi è stata, si legge ancora,"neanche una suddivisione dei ruoli tra gli imputati, diversa da quella esistente nell'ambito militare e in qualche modo funzionale alla commissione dei delitti di cui trattasi, e pertanto neppure sotto questo aspetto può dirsi che gli imputati abbiano costituito una autonoma struttura funzionale all'attuazione di un programma criminoso".
Ganzer: "Non commento le sentenze". ''Non commento le sentenze, sono un uomo delle istituzioni e lo sono sempre stato. Il mio unico commento è quello fatto in sede processuale, con i motivi d'appello'', ha detto comandante del Reparto operativo dei carabinieri, rispondendo a chi gli chiedeva un commento sulle motivazioni della sentenza dei giudici di Milano.
martedì 21 dicembre 2010
Filmata e violentata a tredici anni nel branco anche tre minorenni
Filmavano le violenze sessuali con il telefonino e poi facevano girare i video tra i compagni di scuola. Il branco era composto da quattro ragazzini, due 14enni, un 15enne ed un 18enne. Vittima delle aggressioni continue invece una 13enne di Gravina in Puglia, in provincia di Bari, costretta ad avere rapporti sessuali con i suoi aguzzini. E guai a ribellarsi: in caso contrario i violentatori avrebbero diffuso i filmati.
La storia comincia nel pomeriggio di una domenica dell’ottobre scorso, la 13enne esce in compagnia dei suoi amici di comitiva, quando un gruppo di ragazzi si avvicina a lei. In tre, due 14enni ed un 15enne, la trascinano lontano da occhi indiscreti, con una spranga le colpiscono la spalla e la costringono ad avere rapporti sessuali con due di loro, mentre il terzo riprende la scena con il cellulare. Un amico della ragazza prova a fermarli, ma i tre gli “consigliano” di “farsi gli affari propri”. La tortura però non finisce qui: i tre costringono la 13enne a sorridere davanti alla microcamera. Il rito perverso viene ripetuto per altre tre volte.
Intanto però il filmato diventa un cult tra i ragazzi della stessa scuola media. Dopo venti giorni, un sabato sera, ai tre si aggiunge un 18enne, un cameriere senza nessun precedente penale. Uno dei minorenni costringe la ragazza a seguirli brandendo una mazza e minacciandola. Qui il maggiorenne le offre il suo aiuto: se avesse avuto un rapporto sessuale anche con lui avrebbe convinto i tre minori a cancellare il video dai loro telefonini. La ragazza così accetta e si sottopone all’ennesima tortura fisica e psicologica, con la speranza che dopo quella sera il suo incubo sarebbe finito. Una speranza vana. Tre settimane dopo, è ancora un sabato sera, l'adolescente viene accerchiata dal branco e costretta a un rapporto con uno dei minorenni. Ancora altre riprese.
Lei li implora: “Per favore cancellate quei filmini”. Ha paura di quello che potrebbe dire il padre e per questo una settimana dopo convince un’amica a marinare la scuola e ad andare a casa di uno dei minorenni per cercare di convincerlo a cancellare quelle immagini. Ma quando arriva a casa del ragazzo si ripete lo stesso copione, questa volta però davanti all’amica che assiste inerme, impossibilitata ad aiutarla.
A quel punto la 13enne capisce che il branco non l’avrebbe mai lasciata in pace e così racconta tutto ai suoi genitori che immediatamente denunciano le violenze alla polizia. Dopo un mese di indagini, questa mattina i quattro bulli sono stati fermati.
Su ordine di custodia cautelare emesso dal Gip del Tribunale di Bari, gli agenti della Squadra Mobile di Bari e del Commissariato di Gravina hanno arrestato G. P., 18 anni con l’accusa di violenza sessuale su minore e detenzione e cessione di materiale pedo-pornografico. Su provvedimenti emessi invece dal Gip del Tribunale per i Minorenni, un 15enne e un 14enne sono stati destinati a una comunità di recupero, con l’accusa di violenza sessuale e detenzione e cessione di materiale pedo-pornografico. A un terzo minore di 14 anni i poliziotti hanno notificato un obbligo di permanenza in casa con l’accusa di realizzazione e detenzione di materiale pedo-pornografico. I tre minori sono tutti incensurati.
lunedì 20 dicembre 2010
fascismo di governo
(Giusepppe d'Avanzo, 20 dicembre 2010)
venerdì 17 dicembre 2010
Thyssen, chiesti 16 anni per l'ad Herald Espenhahn
Il reato ipotizzato, per la prima volta in un caso di incidente sul lavoro, è omicidio volontario con dolo eventuale. Chiesti 13 anni e 6 mesi per gli altri quattro dirigenti. La madre di una delle vittime si è alzata in aula e ha detto: "Ergastolo, ci vuole l'ergastolo"
La condanna a 16 anni e mezzo di reclusione dell'amministratore delegato Herald Espenhahn è stata chiesta dall'accusa al processo Thyssenkrupp. Il reato ipotizzato, per la prima volta in un caso di incidente sul lavoro, è omicidio volontario con dolo eventuale. Il pm Raffaele Guariniello ha poi chiesto la condanna a 13 anni e 6 mesi per i quattro dirigenti (Marco Pucci, Gerald Priegnitz, Raffaele Salerno e Cosimo Cafueri), e a 9 anni per un quinto, Daniele Moroni. Questi rispondevano di omicidio colposo. "La richiesta di pena avanzata per Harald Espenhahn è esagerata e assurda perché frutto di una impostazione giuridica sbagliata": così Ezio Audisio legale dell'ad della Thyssen commenta la richiesta. "Noi riteniamo - ha aggiunto Audisio - che il fatto doloso non sia per nulla sussistente e che in ragione dell'organizzazione dell'azienda e delle deleghe conferite l'ad aveva attribuito alla gestione locale responsabilità attinenti alla gestione dello stabilimento e quindi anche con riferimento ad eventuali profili colposi non riteniamo sia lui destinatario di questi profili".
"La pena chiesta è troppo bassa. Spero che i giudici l'aumentino. Gli imputati devono pagare per sette vite". Lo ha detto Grazia Rodinò, la mamma di Rosario, uno dei sette operai uccisi nell'incendio alla Thyssenkrupp. In aula, dopo la richiesta del pm, la signora ha urlato "ergastolo, ci vuole l'ergastolo". "Sono tre anni che quei bastardi si fanno il Natale tranquilli. Noi no. Noi il 24 dicembre siamo al cimitero a piangere i nostri cari - ha detto in aula un'altra parente delle vittime del rogo - se le pene non possono che essere queste bisogna andare a Roma, bisogna rivolgersi a Roma, si devono alzare le pene per chi ammazza le persone".
"Abbiamo chiesto ciò che è giusto in scienza e coscienza": ha detto il procuratore Raffaele Guariniello ai giornalisti dopo avere terminato la requisitoria al processo Thyssenkrupp. "Questa - ha spiegato il magistrato - non è una giurisprudenza nuova. Abbiamo applicato le norme della Cassazione su delle prove che, nei casi di infortuni mortali sul lavoro, in generale non sono mai emerse. La novità in effetti è che siamo davanti a una corte d'assise". Guariniello, a chi fa presente che i familiari delle vittime desideravano richieste di condanna più alte, risponde "abbiamo cercato di fare e di dare il massimo", riferendosi alla tempestività con cui sono state chiuse le indagini (meno di tre mesi) e alla velocità con cui è stato celebrato il dibattimento, che fino a oggi ha richiesto oltre ottanta udienze.
Anche per la società Thyssenkrupp, chiamata in causa come persona giuridica, ci sono state delle richieste di pena da parte del pm Raffaele Guariniello: il magistrato ha proposto una sanzione pecuniaria di un milione e mezzo di euro, l'esclusione da agevolazioni e sussidi nonché la revoca di quelli in corso e il divieto di pubblicizzare i propri prodotti per un anno. Un'altra sanzione è la pubblicazione per intero della sentenza su grandi giornali di risonanza internazionale.
giovedì 16 dicembre 2010
Uccide l'ex fidanzata, poi si spara e muore
Ha cercato di convincerla a tornare con lui, ma di fronte all'ennesimo rifiuto l'ha uccisa e poi si è tolto la vita con la stessa pistola. E' questa con ogni probabilità la dinamica dell'omicidio-suicidio avvenuto ieri pomeriggio a Borgo San Dalmazzo nel Cuneese. Sul delitto stanno indagando carabinieri e polizia e per ora si conoscono pochi particolari della vicenda. Lui, Franco Ruffinengo, 55 anni, commercialista di Carmagnola, avrebbe cercato per l'ennesima volta di convincere l'ex fidanzata a a rimettersi insieme. Lei, Vincenzina D'Amico, 53 anni, stava rientrando nella sua abitazione, in via Tevere 27, a Borgo.
Ruffinengo le ha chiesto di parlare. I due sono entrati in casa, ma poco dopo la discussione si è trasformata in un violento alterco. E' a questo punto che l'uomo avrebbe estratto la pistola, comprata solo nei giorni scorsi, minacciando la donna che ha anche cercato di scappare. Lui l'ha raggiunta e le ha scaricato addosso quasi tutto il caricatore. La donna è stata colpita da almeno una decina di proiettili, nonostante un ultimo disperato tentativo di fuggire dal balcone. Poi l'uomo si è sparato alla testa.
L'allarme è stato dato da vicini di casa che hanno sentito il rumore degli spari, ma quando forze dell'ordine e medici del 118 sono arrivati in via Tevere gli ex fidanzati erano entrambi già morti.
mercoledì 15 dicembre 2010
la violenza
Per quanto mettere su carta o su schermo delle idee tenda a dare loro un aspetto categorico, non sono una persona innamorata delle mie idee. Sì, ho alcune idee astratte, preconcetti ideologici e uno schema rigido su come relazionarmi analiticamente alla realtà - ma sul piano concreto mi ritengo capace di ammettere gli errori, di cambiare idea e di sapere guardare ai fatti da diverse prospettive, cercando di immedesimarmi con i punti di vista altrui. Cosa che non mi rende facile prendere una posizione definitiva, e quindi che mi costringe a ragionare sulle cose più di quanto in genere vorrei (leggi: a oltranza).
Per questo apro uno spazio di riflessione. A buttare una serie di impressioni mal digerite sulle quali vi invito a darmi le vostre opinioni e critiche.
Premessa. Lo stato della società italiana è a pezzi e la gente è frustrata. Come dicevano altri qui, "è più violento chi tira un sampietrino o chi distrugge le dignità di persona ad un lavoratore a Pomigliano"?
La data. Non so se sia stata scelta prima la data della manifestazione o quella del voto di fiducia, ma la coincidenza fra i due fatti è stata assai sfortunata. Se gli organizzatori speravano di porre una pressione politica agli "incerti", hanno fallito, e la cosa era prevedibile. Se speravano di festeggiare una eventuale caduta del governo, hanno sbagliato la previsione. La scelta della data è stata infelice anche per questo: era facile pensare che, in caso di tenuta del governo (una eventualità sempre più probabile col passare dei giorni), ci sarebbe stata frustrazione diffusa - terreno fertile per coglioni o provocatori dell'una e dell'altra parte.
Il servizio d'ordine. Dov'era il servizio d'ordine? C'era un servizio d'ordine? Parliamoci chiaro: la situazione degli ultimi anni, a partire dal G8 di Genova del 2001 in Italia, ma dal G8 di Seattle nel mondo, è diventata sempre più tesa. Al di là delle questioni socioeconomiche e del "complotto capitalista" contro lo stato sociale, il risultato di tutto questo è un altissimo livello di scontro in piazza, come non si vedeva dagli anni settanta. E quindi?
E quindi quello che manca dolorosamente a questa "classe manifestante" è un servizio d'ordine, un "cordone sanitario" che tenga tra la polizia e i manifestanti. Disciplinato e mirato a impedire qualsiasi provocazione che arrivi (fisicamente) "dall'interno", dai manifestanti veri o presunti. Peraltro, bisognerebbe anche invitare tutti i manifestanti, ripetutamente e con megafoni, a tenere tutti il volto scoperto. La sciarpa o la kefiah a coprire il volto fanno molto "intifada", ma alla fine servono solo a coprire gli eventuali provocatori.
Rivolta o rivoluzione? Ieri ci sono stati amici, conoscenti e blogger che hanno parlato di "rivoluzione". Ora, ci sono diversi livelli ai quali si può vedere la cosa. Intanto, per parlare di rivolta o rivoluzione serve una iniziativa dei manifestanti. Se in preda alla frustrazione hanno assalito la polizia, le banche, i chioschetti degli immigrati e le macchine di chi non c'entrava niente, hanno sbagliato. Se hanno risposto agli assalti della polizia, non ho nulla da eccepire - personalmente fantasticherei di mantenere un aplomb gandhiano, ma se picchiassero mio fratello o una mia amica non credo che starei lì con la faccia da santo a lasciarli fare. Così come non è facile, una volta che sia partito il casino, starsene con le mani in mano. Ovviamente bruciare una macchina o tirare sampietrini ai passanti (non ai poliziotti, una volta che sia cominciata la rissa e il caos) non credo mi verrebbe mai in mente.
Detto questo, c'è chi si augura che sia un segnale per una rivoluzione. Ma come dice il mio amico Grass, "sono contrario a ogni forma di violenza che non sia mirata e risolutiva". Sono pacifico ma non pacifista, ma sull'aspetto "rivoluzionario" mi domando: si può fare una rivoluzione di minoranza? In una democrazia (pur con tutti i limiti del caso), non lo trovo giusto. E se fossimo "maggioranza" probabilmente non ci sarebbe bisogno di rivoluzione. Infine, quante speranze di successo avrebbe una "rivoluzione"? Zero secco. In compenso si attirerebbe ostilità della popolazione e si facilita un inasprimento ulteriore della repressione e un rafforzamento del sistema che si vuole abbattere. Non credo che ci siano condizioni, non credo che ci sia neanche la cultura per una azione rivoluzionaria. Non riusciamo neanche a metterci d'accordo per votare un partito o fare una manifestazione senza scontri, figuriamoci ad abbattere un governo democraticamente eletto in un contesto storico come quello attuale.
Siamo realisti: anche solo parlarne è ridicolo. La rivoluzione di cui abbiamo bisogno è culturale, si combatte tutti i giorni col dialogo, la persuasione e la resistenza intellettuale; si combatte al supermercato, si combatte in libreria, si combatte nelle università e si combatte votando anche quando lo schifo e l'angoscia superano ogni livello di guardia. Si combatte andando alle manifestazioni, mandando giù le provocazioni, iscrivendosi ai sindacati, iscrivendosi ai partiti e facendo politica dall'interno. Si combatte facendo informazione e prendendo a schiaffi (virtuali) gli apatici e gli indifferenti, fino all'esaurimento delle proprie forze. E qui ho fatto un po' di retorica da quattro soldi.
Agenti provocatori. Ieri la massa dei blogger sinistronzi sono passati dall'esaltazione della violenza rivoluzionaria al "è tutta colpa dei black block". Io non c'ero e le dinamiche non le conosco; e non mi convincono le foto, la cui interpretazione è spesso condizionata dai pregiudizi ideologici (un tizio vestito da manifestante con un manganello sarà sempre un agente infiltrato per i sinistronzi ma sempre un manifestante che ha rubato il manganello ai poliziotti per i reazionari). Personalmente non ho bisogno di alcuna foto per credere che ci siano stati agenti provocatori infiltrati perché da questo governo (e dai vertici delle forze dell'ordine) mi aspetto di tutto.
E sono anche convinto che molti dei poliziotti che sono lì non lo sanno, o non ci credono, e credono alla favola del "cattivo no-global" che vuole solo spaccare tutto, così come noi sinistronzi crediamo che tutti i poliziotti siano fascisti che non aspettano altro che di spaccarci la testa. E intanto a godere sono i fascisti veri, quelli che stanno nelle istituzioni e che poi godono della violenza.
Spot governativo. Perché poi tutto questo in fin dei conti serve ad accrescere la confusione e le divisioni fra le opposizioni, e a rafforzare il governo, specialmente nell'opinione pubblica "moderata", quella borghese, tendenzialmente superficiale e reazionaria, quella che ha paura che i comunisti le rubino tutto anche se non ci hanno un cazzo (Ugo Tognazzi in "Vogliamo i colonnelli", due post più sotto). "Di queste cose non ce n'è bisogno" (Roberto Vecchioni in "Calle mai più").
PS: Con questo non intendo né intenderò MAI che non si debba manifestare o fare scelte difficili per paura di "infastidire" il "popolino". Solo che se vogliamo arrivare da qualche parte, dobbiamo essere MEGLIO. Così non basta.
martedì 14 dicembre 2010
Madre e figlio massacrati: prima di morire l'intervista shock
E' come se nell´intervista radiofonica, rilasciata a «Radio studio 54» di Scandicci due settimane prima di essere massacrato in casa assieme a sua madre Bruna Boldi, Gianni Coli indichi agli investigatori la strada da battere per scoprire il suo assassino. Un´intervista scomoda. Che a qualcuno può aver dato noia. «Fa i nomi di due italiani quarantacinquenni che frequentava e di un giovane extracomunitario che aveva conosciuto una settimana prima» sostiene Guido Gheri, da sempre patron di «Radio studio 54», che promette di rimandare in onda il servizio stamani alle 11. E proprio stamani la polizia è andata negli studi dell'emittente fiorentina per acquisire i file della registrazione.
«Era nervoso, non riusciva a stare seduto, voleva fumare una sigaretta dietro l´altra». Così Guido Gheri ricorda l´incontro avuto con Gianni Coli negli studi della sua radio due settimane fa, un venerdì sera, quando va in onda la trasmissione «Donne su facebook» condotta da due ragazze, Alessandra e Silvia.
«Da sempre la mia è una radio attenta ai problemi dell´omosessualità - spiega Gheri - avevo invitato Coli che conosco da tempo per raccontarsi». Ma a quanto dice il fondatore dell´emittente radiofonica, Coli si sarebbe spinto molto oltre.
«In diretta ha fatto i nomi di due uomini che dormivano abitualmente a casa sua - sostiene Gheri - ha raccontato di dove erano e dove lavoravano, ha spiegato il suo diverso grado di coinvolgimento sentimentale con l´uno e con l´altro. Ha anche detto di essere piuttosto ‘preso´ da un ragazzo extracomunitario conosciuto per caso appena una settimana prima vicino al Tenax». Da quanto riferisce Gheri, a microfoni spenti Coli avrebbe anche confessato di aver avuto relazioni con due persone molto in vista della città. «Due ‘nomoni´, davvero» dice il leader storico di «Radio Studio 54», che promette di rimandare in onda stamani la trasmissione e che sarà adesso quasi certamente sentito dalla polizia come teste, soprattutto se la registrazione radiofonica confermerà questi contenuti.
Intanto, ieri, la polizia ha continuato a sentire parenti e conoscenti delle due vittime. Esclusa l´ipotesi che madre e figlio possano essere stati aggrediti e uccisi da un balordo che alle 2.30 della notte ha scampanellato a molti portoni del palazzo di via Baccio da Montelupo chiedendo aiuto e a cui - si era ipotizzato - Gianni e sua madre, che erano persone generose, potrebbero aver aperto il portone di casa. Quell´uomo sarebbe stato identificato. E´ un mendicante habitué della zona, non nuovo a scampanellate notturne, ma a quanto pare innocuo.
domenica 12 dicembre 2010
venerdì 10 dicembre 2010
Carotenuto sul caso Assange
Infatti, se un rompiscatole come il fondatore di Wikileaks va gettato in galera per un motivo qualsiasi né più né meno come gli sarebbe successo se fosse stato iraniano o cinese, allora cade la maschera. Il segreto di Stato vince sul diritto dei cittadini a sapere, anche in paesi come la Svezia o gli Stati Uniti. Ma se il segreto, la riservatezza, viene presentato addirittura come l’architrave della tenuta del sistema democratico, fino a trattare Wikileaks come un’organizzazione terrorista, allora è il modello stesso di “società aperta” a divenire un ferrovecchio. E’ difficile dire se Assange paghi per i cascami della guerra al terrorismo dell’era Bush o se una triste campana a morto stia disegnando il XXI come il secolo degli autoritarismi, ai quali neanche l’Occidente liberal-democratico, dall’ipocrisia rivelata ad Abu Ghraib a quella dei paradisi fiscali, è capace di sottrarsi. Davvero l’Occidente può sentirsi sollevato perseguitando e non perseguendo la trasparenza? Oppure il valore etico di tale trasparenza dato dalle rivelazioni di Wikileaks, ne ha scritto con autorevolezza Sabino Cassese, sulle torture in Iraq come sul golpe in Honduras, ne dovrebbe essere la principale fonte di legittimazione? Come può l’Occidente attaccare la Cina per l’imperdonabile condanna a Liu Xiaobao e per il ridicolo boicottaggio di questa e di suoi alleati (tra i quali alcuni latinoamericani) del Premio Nobel, se col caso Wikileaks non sa farsi carico di rilanciare la trasparenza come valore fondativo? Frattini o Assange?
E ancora:
La domanda indispensabile da porre allora è: il fango che sta inondando la politica internazionale è stato prodotto o solo rivelato da Wikileaks? La risposta è evidente a chiunque sia in buona fede. Il fango c’era anche prima ed ha ragione Noam Chomsky a sostenere che Wikileaks riveli soprattutto che una parte importante dell’attività dei governi (democratici) è oggi evidentemente dedicata a evitare che i cittadini sappiano cosa i governi fanno. Per noi, ed è alla base del sistema democratico che quegli stessi governi sostengono di incarnare, è meglio sapere.
martedì 7 dicembre 2010
Addio a Monicelli
Questo è un pezzo su Monicelli che è stato scartato da Bile, il nuovo sito gestito da quei pazzerelli di ScaricaBile. Non era in linea con la linea editoriale, mi hanno detto! Comunque non è un buon motivo per non andare sul nuovo sito e leggerci! Presto tornerò lì con la mia rubrica internazionale TrashaBile. Però non è neanche un buon motivo per non leggere e lasciarmi la vostra opinione sul pezzo!
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“Ma voi, voi almeno l'avete visto ridere?”
“Come?”
La domanda mi colse di sorpresa. Il vento gelido soffiava sulla strada battuta dalla pioggia. La chiesa, immensa, incombeva sul giornalista, dal viso scavato e dalle occhiaie profonde.
“Non capisce? L'ha mai visto ridere?”
La folla di persone si ammassava all'interno dell'edificio. Il Sommo di turno andava venerato. Dalla quantità e dalla qualità delle persone si capivano sempre molte cose. Quanti vecchi, quanti giovani, quanti ricchi. Se c'erano più giovani con le kefiah o con le sciarpe viola - complotto dei commercianti o rivoluzione colorata dei Soros e dei Segretari di Stato americani? Se c'erano più ragazzi coi tatuaggi o con i capelli lunghi; con le sigarette o con le canne. Il funerale di una persona importante è sempre un evento politico.
Vorrei vedere qualcuno ridere a un funerale. Bestemmiando, magari, a cielo aperto, dio e gli uomini. Ma non è così che si fanno le rivoluzioni; non è facendo casino, aveva detto lui. Lo scrivo con la minuscola in segno di rispetto.
“No, non l'ho mai visto ridere. Era sempre accigliato.”
“Eppure faceva film così divertenti! Scriveva cose così divertenti!”
“Lei dice?”, risposi, addentando il mio panino con la finocchiona, mezzo bagnato dalla pioggia, mezzo impiastricciato della carta stagnola che ci si era attaccata come a uno scoglio di farina nel mare di lacrime versato dalla folla adorante.
“Era così bravo, era così bello.”
Le voci della folla mi assordano. Sono sempre le stesse e si ripetono come un'onda tremolante, allargandosi sempre di più, fino a sparire.
“Lei non dice che ci fosse una certa luce nei suoi occhi, un certo sguardo?”
“Ma non lo so, io non lo conoscevo... Ci ho mangiato un panino una volta. C'era questa manifestazione immensa, e lui che veniva intervistato... E poi siamo finiti seduti su un muretto... E io non gli ho nemmeno rivolto la parola... Lo guardavo e lo ascoltavo. Ci hanno presentati, gli ho detto il mio nome, gli hanno detto quello che faccio e mi ha augurato di far bene. Come farebbe chiunque. Chi cazzo ero io per lui? E poi chi era lui per me? L'autore, lo scrittore, o solo un vecchio come tanti. Ma quei tanti non ce li presentano mai.”
Il giornalista mi guardò attonito, questa tirata non se l'aspettava. Perché alla fine quando muore uno sono tutti lì ad applaudire, e non c'è mai nessuno che sappia alzarsi in piedi e dire: questo sì, quest'uomo mi è piaciuto per questo, ma per questo no, fare i distinguo, fare le critiche; e se davanti al successo non le si è fatte in vita, per questi nomi che ormai bisogna toccare con attenzione, da morti sono tutti uguali, orrendamente uguali, all'occhio bovino del popolo, svegliato solo per poppare il latte avariato dell'ennesimo spettacolo.
“Ma insomma, lei che lo ha incontrato, com'era nel privato Enrico Vanzina?”
“Lei ha sbagliato persona, io non sono venuto a questo funerale. E' solo che ho un appuntamento qui vicino con un amico. Per il tributo a un regista, morto tanti anni fa.”
Mi allontano, lasciando il giornalista spiazzato. Chissà chi credeva che fossi. Percorro quanto più in fretta possibile il marciapiede e raggiungo il mio amico proiezionista. Sotto il braccio ha le bobine di “Brancaleone” e di “Un borghese piccolo piccolo”. “Amici miei” no, quello era un progetto di Germi.
Comunque penso che chi vuole davvero bene a Monicelli sia ora con gli studenti e i ricercatori che manifestano. Non sta linkando spezzoni di youtube, e non sta scrivendo necrologi su blog.
E questo vale anche per te che mi leggi.
mercoledì 1 dicembre 2010
inchiesta sulla spazzatura in Sicilia
Tale commissione ha avviato una indagine sullo stato dei rifiuti in Sicilia, indagine conclusa da un rapporto approvato all'unanimità il 20 ottobre del 2010.
Rapporto impietoso, tra le altre cose, con figure quali il sindaco di Palermo e il sindaco di Trapani.
Il rapporto sta venendo ora esaminato in tutte le sue 135 pagine da Alla-Fonte, il sito di informazione a cui mi pregio di collaborare.
Per ora sono uscite 4 puntate che studiano e riassumono i contenuti del documento:
Palermo: la situazione e i problemi
Palermo: le cause
Trapani: i problemi e gli illeciti
Trapani: le infiltrazioni mafiose
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venerdì 26 novembre 2010
Luigi de Magistris rinviato a giudizio
Luigi de Magistris è stato rinviato a giudizio per omissione di atti d'ufficio al Tribunale di Salerno.
Il codice etico dell'IDV prevede che chi sia rinviato a giudizio debba autosospendersi dal partito.
Eppure De Magistris non si autosospenderà, adducendo il fatto che si tratterebbe dell'ennesima parte del complotto teso ai suoi danni e iniziato con la revoca delle indagini nell'inchiesta Why Not che hanno portato al suo abbandono della magistratura e ingresso in politica.
Su questo, un duro scontro si è tenuto nel partito: Antonio Borghesi ha chiesto a De Magistris di sospendersi. Sonia Alfano e Antonio Di Pietro sostengono che egli ne sia dispensato.
Potete leggere tutto l'articolo andando qui.
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giovedì 25 novembre 2010
un elenco per Saviano: le donne uccise da luglio a oggi
Abbiamo un elenco da proporre alla lettura per Saviano nella trasmissione Vieni via con me (pagina fb evento). Chi è d’accordo con noi (grazie a chi lo sta condividendo!) può inviarlo, o inviare il link di questo post, a i...@robertosaviano.it e tramite il form sul sito della trasmissione (non troviamo l’indirizzo mail – c’è però un altro form per “i tuoi elenchi“). Eventualmente potete lasciare un messaggio tra i commenti anche sulla bacheca della loro pagina facebook.
Il nostro elenco omette le donne che sono sopravvissute a gravi tentati omicidi. Ci sono quelle che sono state ustionate, bruciate vive, accoltellate, colpite con armi di vario genere, picchiate a sangue e tuttavia sono sopravvissute, sebbene con gravissime disabilità e mille vite distrutte. Sono in numero altissimo e l’elenco sarebbe infinito. Perciò ci dedichiamo all’elenco composto da tante donne anonime, di quelle che nessuno chiamerà mai eroine, morte ammazzate in Italia per mano di uomini violenti negli ultimi quattro mesi e mezzo (a partire dal presente andando a ritroso fino a Luglio). Quelle che non ce l’hanno fatta. Nonostante abbiano lottato, si siano opposte, abbiano spesso denunciato. Sono circa 65 vittime soltanto negli ultimi quattro mesi. E scusate se è poco…
Novembre/Ottobre
Eliana Femiano, 25 anni, uccisa dal suo ex convivente, aveva trascorso anni d’inferno per uscire da una storia con un uomo violento. Lui, italianissimo, aveva già tentato di ucciderla colpendola più volte con un coltello. Lei era sopravvissuta e lui ha fatto un annetto di carcere. Poi è stato rimandato dopo pochi mesi ai domiciliari e l’ha ammazzata.
Napoli: Sofia Spinelli ha due mesi di età. Lo zio la sente piangere e l’accoltella.
Adelina Ciavatta e Maria Giagnacovo, madre e cugina dell’assassino, di 82 e 74 anni, vengono uccise da un uomo (figlio e cugino) forse per motivi economici.
Tiziana Falbo, 37 anni, uccisa a Cosenza dal convivente.
Natalina Rognoni, 91 anni, a Novara, è stata uccisa dal figlio.
Angelica Cappelli, 15 anni, a Subiaco (Roma), morta ammazzata dal padre, carabiniere, che ha sparato alle figlie di 13 e 15 anni. Angelica muore.
Lucia Lambertini, 60 anni, uccisa a Livorno dal marito.
Rosa Reiterer, 75 anni, a Sarentino (Bolzano) ammazzata a martellate dal genero che poi se ne torna a casa a dormire.
A Bologna è morta Caterina Tugnoli, 42 anni, ammazzata da un uomo con il quale aveva avuto una relazione lunga tre anni, al termine della quale lei aveva cambiato la serratura della porta. Lui, un agente di custodia, quindi dotato di arma, come tanti tra gli autori di delitti in famiglia, ha insistito molto per incontrarla, lei non si è fidata e lui allora l’ha aspettata sotto la porta di casa e lì ha messo in atto la sua guerra personale. Morta lei, suicida lui.
Si chiamava Eleonora Liberatore e anche lei, a Cesena, alla giovane età di 37 anni, è stata uccisa a coltellate, sul petto e sulla schiena, dal suo ex compagno che ancora non si rassegnava alla fine del loro rapporto. Per lui c’era un provvedimento cautelativo. Cosa significa concretamente non saprei perchè di sicuro non ha tutelato la donna che lo aveva denunciato per stalking e che è stata aggredita in un bar, mentre stava con gli amici, senza che evidentemente qualcuno abbia potuto fare qualcosa per lei.
Allinca Elenea Rosu, 48 anni, l’ennesima vittima di femminicidio in italia, accoltellata a morte dal marito.
Lea Garofalo è stata sequestrata un anno fa. Oggi sappiamo che fu torturata e sciolta nell’acido. Lei si era schierata contro la ‘ndrangheta e della ‘ndrangheta faceva parte il suo ex convivente e padre di sua figlia.
Albissola (Savona): Kamila Lysadorska è stata uccisa a coltellate dall’ex fidanzato, italiano. Lui aveva ancora le chiavi. A ritrovare il suo corpo in un lago di sangue i due figli di 4 e 6 anni che sono andati a chiamare la vicina per chiedere aiuto.
San Nicandro Garganico (Foggia): Anna de Pilla, è stata picchiata a morte dal marito. Della coppia si dice che viveva un rapporto molto violento e che lei non aveva mai denunciato per paura delle ritorsioni.
Sonico (Brescia): Anna Maria Riva, è stata accoltellata dal figlio il quale dopo avrebbe tentato di uccidersi.
Firenze: Anna Maria Lotti e Eva Bigalli, rispettivamente madre e figlia, sono state accoltellate da un vicino di casa. Il vicino era stato denunciato da loro per stalking perchè manifestava comportamenti minacciosi e aggressivi chè non tollerava il cagnolino delle due donne. Era stato condannato. Questa la vendetta. La madre, Anna Maria Lotti, è morta. La figlia è stata ferita gravemente ma per fortuna è sopravvissuta.
Alessandria: Paola Carlevaro viene strangolata nel sonno dal marito. Di lui ovviamente dicono che era tanto depresso.
Treviglio (Bergamo): Silvia Betti viene accoltellata dal marito. Lei voleva separarsi.
Roma: una donna di nazionalità rumena, Maricica Hahaianu, viene colpita dal pugno di un italiano. Lei finisce in coma e subisce una delicata operazione per i danni al cranio, poi muore.
Como: Maria Luigia Pozzoli viene accoltellata a morte da un uomo. Pare avessero dei “banali dissidi”.
Pontecorvo (Frosinone): Anna Spiridigliozzi viene uccisa dal suocero.
Garbagnate Milanese: Petronilla Sanfilippo viene accoltellata e poi finita con un ferro da stiro. Viene arrestato il suo compagno che dopo averla uccisa pare l’abbia anche rapinata.
Avetrana: Sarah Scazzi viene uccisa, secondo una prima confessione, dallo zio molesto. La cugina viene arrestata come complice del delitto. Attualmente le versioni di avvocati, consulenti e media, ancora prima della conclusione o dell’inizio di un processo, sgravano l’uomo da qualunque responsabilità e addebitano il delitto alla cugina.
Como: si tratta di Beatrice Sulmoni, il cui corpo è stato ritrovato nel lago in zona Ticinese, uccisa dal marito che prima di gettarla in acqua aveva tentato di decapitarla. Lei era incinta di tre mesi.
Novi: Shahnaz Begum viene uccisa a sassate dal marito mentre il figlio tenta di far fare la stessa fine alla sorella. Nosheen, questo il suo nome, non accettava nozze combinate e la madre ha tentato di difenderla.
Settembre:
Livorno: Lui spara alla moglie, Elisabetta C., 46 anni, uccidendola, e poi si suicida. E’ il figlio a trovare i corpi.
Torino: Spirita Regis, 68 anni, a Bussoleno, viene uccisa a colpi di pistola dal figlio che poi si suicida. Di lui scrivono che avesse disagi psichici.
Brescia: lui uccide con un fucile la figlia di tre anni, Nicol Fogari, che ha avuto dall’ex compagna, fa fuori anche il cane e poi si suicida.
Portici (Napoli): Teresa Buonocore viene ammazzata nella sua auto. Secondo gli inquirenti sarebbe una esecuzione per la quale sono stati arrestati due uomini e sono attualmente indagati come mandanti il fratello e la moglie di un uomo, anche lui indagato, condannato a 15 anni di prigione per abusi su minori inclusa la bambina di otto anni di Teresa Buonocore.
Poggioreale: Emma Durante viene ammazzata a coltellate davanti al figlio dal marito. Costui tenta il suicidio senza riuscirvi. Secondo i vicini era una coppia che litigava spesso.
Genova: Artichiana Mazzucchelli viene bastonata e poi gettata dalla finestra del quarto piano. Viene arrestato il nipote.
Rimini: Monica Anelli viene uccisa con un colpo di balestra. Aveva tentato la fuga senza riuscirvi. E’ stata colpita da una freccia. L’ha ammazzata lo zio che ha anche staccato i tubi del gas per fare esplodere la casa. In seguito si è suicidato.
Cavenago: Zabina Kazanxhiu, viene uccisa a coltellate dopo essersi separata dal marito. Lui non ha permesso che lei vivesse una più serena esistenza lontana dalle violenze che il marito le infliggeva.
Milano: Teresa Patanìa viene ammazzata a colpi di pistola dall’ex marito. Una vera e propria esecuzione sotto gli occhi atterriti di vicini, figli, parenti. Prima di morire Teresa Patanìa pare avesse chiesto più volte di salvare i bambini.
Agosto:
Cinisello: Mariangela Corna muore strangolata dal marito.
Cerignola (Bari): Anna Parrucci viene uccisa per strada a colpi di pistola. Viene ferita anche la figlia di un anno e mezzo. L’ipotesi è di un delitto compiuto da qualcuno di famiglia per banali contrasti.
Partanna (Trapani): Carmela Scimeca viene uccisa a coltellate dal marito il quale poi si suicida. Stavano per separarsi.
Roma: una donna, Catia Carbini, 47 anni, viene uccisa con una pistola dal marito che poi si è suicidato. Avevano due figli quasi maggiorenni. Stavano per separarsi.
Brescia: Cesarina Boniotti muore di percosse violente inflitte dal suo convivente. Avevano dei problemi economici e vivevano una vita abbastanza grama. Lui è stato arrestato per omicidio.
Genova: Mara Basso uccisa con varie coltellate dal marito, un carabiniere. Erano in corso le pratiche per il divorzio.
Milano: Emlou Aresu viene uccisa a pugni da un uomo che dopo aver litigato con la fidanzata è uscito di casa con l’intenzione di uccidere una donna qualsiasi.
Canicattì (Caltanissetta): Costanta Paduraru viene uccisa a coltellate dal marito. Erano separati, lui aveva chiesto un “chiarimento” e ha chiarito perfettamente il suo punto di vista.
Milano: Jolanda Ripamonti viene soffocata con un cuscino dal marito. Pare volesse mettere fine alle sue sofferenze. Lui è stato arrestato per omicidio volontario.
Luglio:
Parma: Argia Lazzari viene trovata morta 10 mesi prima alla fine di una scarpata con l’auto. Ora si indaga il marito dopo che l’autopsia avrebbe rilevato un colpo alla testa non compatibile con l’incidente.
Ancona: Rita Pulvirenti e Silvana Mannino, rispettivamente madre e figlia, muoiono ammazzate a colpi di arma da fuoco. Si salva solo Vincenza Mannino, sorella e figlia delle due vittime. Della strage viene accusato l’ex fidanzato di Vincenza Mannino.
Milano: una donna di origini ecuadoriane, Karina Labezzaris Munoz, 35 anni, viene trovata morta ammazzata da ferite inferte all’addome da un coltello da cucina. Gli inquirenti cercavano come responsabile del delitto uno che certamente conosceva.
Udine: Ileana Vecchiato, Diana Alexiu, sono due delle escort scomparse e uccise da un uomo italiano, un serial kiler, che ammazzava le donne con una balestra.
Brescia: Carla Ruffatto e Franca Dolcetti, rispettivamente zia e cugina del femminicida, vengono prese a sprangate dal nipote. Muore la zia e la cugina sopravvive. Lui viene arrestato per omicidio.
Predosa (Alessandria): Franca Pisano viene colpita con un coltello da cucina e ucciso. Accusato è il figlio.
Roma: una donna romena, Angela Mihalova Nijinic, viene accoltellata e uccisa in un sottopasso della stazione di Civitavecchia. Viene accusato il suo ex.
Cuneo: Katerina Marcovic viene uccisa a coltellate. La stessa fine fa il suo amico. Autore dei delitti è l’ex di lei che poi si suicida.
Mestre: Eleonora Noventa, appena sedicenne, viene uccisa dal suo ex trentunenne. Lei lo aveva lasciato. Dopo averle sparato lui si suicida.
Bari: Chiara Brandonisio conosce un tale sul web. Lo incontra, lo rifiuta e lui la uccide a sprangate.
Roma: Anna Maria Tarantino viene picchiata, strangolata e uccisa da un uomo che non accettava un suo rifiuto. L’ha uccisa perchè lei ha detto di No. Lo stesso è avvenuto per tante altre.
Biella: Rosangela de Donà viene trovata uccisa e bruciata dentro il bagagliaio dell’auto. E’ stato arrestato un pregiudicato per motivi annessi ad affari economici di non si sa quale genere.
Venezia: Roberta Vanin muore di coltellate per mano dell’ex convivente. Continuavano a frequentarsi per motivi di lavoro nonostante la separazione. Avevano avuto dei contrasti aggravati dal fatto che lei aveva intrecciato una nuova relazione. Lui ha tentato il suicidio. Senza riuscirci.
Torino: Simona Melchionda viene uccisa e gettata nel fiume. Dopo molti giorni il suo ex, un carabiniere, confessa di averla uccisa con la sua pistola d’ordinanza.
Cremona: Debora Palazzo viene uccisa a colpi di arma da fuoco dall’uomo con cui viveva una relazione oramai agli sgoccioli. Lui poi si suicida.
Villa Raspa di Spoltore: Angela Mihaloeva, ammazzata per strangolamento dal suo compagno. Secondo la stampa avevano problemi di miseria. E si sa che tutti i poveri per placare i disagi derivanti dalla povertà ammazzano le donne.
Torino: una donna di origini filippine viene trovata morta nel suo appartamento, strangolata e senza slip. Si presume sia stato un conoscente.
Cremona: Maria Montanaro e Livia Balcone, entrambe ex dell’assassino, vengono uccise con un arma da fuoco da un uomo che decide in un solo giorno di fare i conti con le sue ex fidanzate, una delle quali per nulla recente, e poi suicidarsi.
Potete continuare da sole. Alla voce femminicidio e tentato omicidio o strage familiare del blog Bollettino di Guerra.
Segregata in un tugurio e costretta a prostituirsi
Un nordafricano è stato arrestato dai carabinieri della compagnia di Portoria per aver sequestrato e costretto a prostituirsi per quasi due anni una ragazza italiana, soggiogata dalla dipendenza droga.
La giovane era tenuta prigioniera all'interno di un appartamento-tugurio nel centro storico ed era costretta a consumare i rapporti sessuali con i clienti su un materasso di fortuna in mezzo all'immondizia.
Traffico di rifiuti a Pavia, sette arresti
Si chiama 'Dirty energy', cioè energia sporca, l'operazione che ha portato a Pavia al sequestro dell'impianto della Riso Scotti Energia spa, un'azienda del gruppo Riso Scotti costituita per produrre energia pulita dagli scarti di produzione del riso e da fonti rinnovabili. Ma dove in realtà venivano bruciati anche rifiuti come legno, plastiche, imballaggi e pure fanghi di depurazione delle acque reflue urbane e industriali con livelli troppo alti di concentrazione di metalli pesanti, fra cui cadmio, piombo, mercurio e nichel. Sono in tutto 12 le persone indagate, sette (incluso il presidente dell'azienda Giorgio Radice) quelle finite agli arresti domiciliari, 60 le perquisizioni effettuate e 46 i mezzi sequestrati. Le accuse sono di traffico illecito di rifiuti, falso ideologico, frode nelle forniture pubbliche e truffa ai danni dello Stato, perché l'energia prodotta da fonti pulite viene pagata di più. In questo caso la stima è di 30 milioni di euro di profitto ingiusto dal 2007 al 2009.
Le indagine coordinate dalla Procura di Pavia - sviluppate dal Corpo forestale di Pavia in collaborazione con la polizia scientifica - hanno preso il via nel 2007 da una segnalazione della Procura di Grosseto. Quello che è stato appurato è che nessuno dei carichi che arrivavano da impianti di trattamento dei rifiuti di Puglia, Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna e Toscana (circa 40mila tonnellate) è mai stato respinto, anche se non conforme alle norme. Anzi, si è scoperto che i certificati di analisi erano falsificati grazie a laboratori compiacenti e che alla Riso Scotti Energia alla lolla (cioè la parte del riso che racchiude i chicchi) venivano mischiati anche questi rifiuti e le scorie di combustione. Così si è posto anche un problema di sicurezza alimentare: questa lolla inquinata non solo è stata bruciata nell'impianto, ma 5.400 tonnellate sono state vendute per fare le lettiere ad allevamenti zootecnici in Lombardia, Veneto e Piemonte e per costruire pannelli, oltre che ad altri impianti di termovalorizzazione. "Non ci sono atti di indagine sugli impianti di produzione del riso", precisano comunque i vertici del Corpo forestale lombardo.
Resta ancora da valutare l'inquinamento dell'aria. Nel controllo effettuato a ottobre del 2009, ha spiegato il comandande provinciale di Pavia, Paolo Moizi, si è scoperto che l'impianto di misurazione dei fumi era malfunzionante e segnava valori talmente bassi da essere praticamente impossibili. Agli arresti domiciliari sono così finiti - nell'operazione che ha coinvolto in questi giorni 250 forestali - oltre a Radice, il direttore tecnico e il responsabile dell'impianto Massimo Magnani e Giorgio Francescone, e una impiegata, Cinzia Bevilacqua. Ma anche il responsabile del laboratorio Analytica di Genzone (Pavia), Marco Baldi, il tecnico responsabile del laboratorio Silvia Canepari e Alessandro Mancini, pisano, che ha fatto da intermediario.
Si tratta della prima inchiesta di questo tipo su un impianto a energia da biomasse, ha spiegato il comandante regionale della Forestale, Ugo Mereu, rimarcando che "ci sarebbe necessità di controlli, ma il nostro è uno dei corpi più piccoli: siamo meno dei vigili urbani di Roma".
mercoledì 24 novembre 2010
Cassino: operaio muore schiacciato sotto la pressa della Cartiera
Lascia moglie e due figli l'operaio di 52 anni, Bruno D'Alessandro, morto ieri notte in un incidente sul lavoro, nella Cartiera di Cassino, in provincia di Frosinone. D'Alessandro, originario di Pignataro Interamna, è rimasto schiacciato da una pressa, che si è riavviata mentre l'operaio stava cercando di capire l'origine del guasto. Gli ingranaggi lo hanno travolto. La tragedia è avvenuta dopo le ore 23.30.
Sull'episodio stanno indagando i carabinieri della compagnia di Cassino e gli ispettori della Asl che dovranno stabilire cosa realmente sia accaduto. Nonostante i tempestivi soccorsi, D'Alessandro è arrivato all'ospedale di Cassino quando ormai non c'era più nulla da fare. La procura della Repubblica ha disposto il sequestro del macchinario e i carabinieri stanno ascoltando ora i colleghi e il responsabile di turno.
martedì 23 novembre 2010
Brescia, giustizia impossibile
Strage di Brescia: sentenza di assoluzione per insufficienza di prove. “La sentenza mortifica i parenti delle vittime”; “Niente giustizia per mio padre, oggi mi manca ancora di più”; “Me l’aspettavo. Come si fa a fidarsi delle istituzioni?”; “La vergogna di Roy Hagen” (Delfo Zorzi, uno degli imputati); “La nuova ferita”. Questi alcuni dei titoli di giornale.
Capisco il dolore dei parenti: la condanna dei colpevoli non restituirebbe la vita ma realizzerebbe una specie di equilibrio; resterebbe il dolore, non la frustrazione, l’ira, l’impotenza. Ma è possibile – pensano – che, dopo 36 anni, questo equilibrio non sia stato realizzato? Si, è possibile, soprattutto dopo 36 anni. Provo a spiegare perché.
Il processo non si fa solo ai colpevoli, non serve per ratificare una sentenza di condanna già emessa. Se così fosse, sarebbe inutile: c’è un delitto, la polizia scopre il colpevole, il pm lo condanna all’ergastolo. Il processo si fa nei confronti di persone che non si sa se sono colpevoli o no; serve per accertarne la colpevolezza; e, ma è la stessa cosa, per accertarne l’innocenza. La rabbia della vittima per una sentenza di assoluzione è l’altra faccia della medaglia della rabbia dell’imputato per una sentenza di condanna: ognuno dei due ha già deciso, prima ancora che il processo finisca, che la sentenza “giusta” è quella che corrisponde alla sua aspirazione. Ma questa convinzione è dissennata. La sentenza “giusta” è solo quella emessa dal giudice nel rispetto delle regole. Solo se si prova che il giudice è stato corrotto o ha trascurato prove decisive in un senso o nell’altro, solo in questo caso la sentenza può essere definita “ingiusta”. E allora si farà un altro processo e ci sarà una nuova sentenza. Insomma nessuno è “colpevole” se una sentenza non lo qualifica tale.
Una sentenza è cosa diversa dal giudizio del privato cittadino. Una sentenza deve essere motivata solo sulla base delle prove acquisite nel processo, non può fondarsi su convincimenti personali, sensazioni, intuizioni, nemmeno sull’accertata responsabilità dell’imputato in altri casi analoghi.
Ecco perché non c’è necessaria coincidenza tra la decisione del giudice e la verità storica. Può non piacere, può deludere, ma è così. La sentenza è il tentativo degli uomini per garantire una civile convivenza, la soluzione dei rapporti tra i cittadini; ma non può essere considerata un oracolo, il giudizio divino, la Verità.
È normale che non si arrivi a una decisione certa dopo 36 anni; è quasi impossibile. Si scopre un documento dopo 15 anni; a quando risale, chi lo ha conservato, perché non è stato trovato prima? E se è falso, come dice Tizio, smentito da Caio ma confermato da Sempronio? Arriva un testimone, dopo 10 anni, rivela alcune cose, ne smentisce altre, poi ritratta. Quando ha detto la verità, prima, dopo? E perché si è fatto vivo dopo 10 anni? Chi lo ha mandato? Il problema è che il giudice non può dire, come chiunque, “boh, non ci capisco niente, non ho elementi per decidere, chiedete a qualcun altro”. Lui deve emettere una sentenza; e, quando gli elementi a sua disposizione non sono sufficienti per decidere, non gli resta che dirlo: insufficienza di prove. Non c’è da stupirsene. La Corte Suprema degli Stati Uniti giudicò irragionevole la tesi in base alla quale l’assassino di John Kennedy era Lee Oswald, poi ammazzato da Jack Ruby in un impeto d’ira e di vendetta. Ma non fu possibile trovare le prove su chi fosse il mandante del primo e del secondo omicidio. Supposizioni, convincimenti, pregiudizi: la Cia, i terroristi, gruppi di potere di varia natura. Ma a chi fare il processo? Chi mandare sulla sedia elettrica?
E qui, nel nostro Paese, a Brescia: sì, strage nata negli ambienti neofascisti, così hanno detto alcune sentenze; ma chi piazzò l’ordigno, chi dette gli ordini, chi progettò? Non si è accertato; in 36 anni decine di giudici, centinaia di poliziotti, hanno fatto quello che potevano per accertare la verità; certamente altri, molto potenti, hanno fatto anche loro quello che potevano per impedire le indagini. Ci sono riusciti; in Italia, come negli Usa, come in qualsiasi altro Paese, quando il Potere decide di sottrarsi al controllo di legalità. È la constatazione di una verità che, presto o tardi, tutti debbono capire: la storia non si fa con le sentenze, si fa con le elezioni; e, qualche volta, con le rivoluzioni.
I baroni Rothschild tra carbone e eco-chic
I banchieri Rothschild, di origine ebrea aschenazita, sono oggi tra le dinastie del business più prestigiose al mondo, con un potere enorme. Controllano società bancarie, industriali, commerciali, minerarie turistiche, ma anche agenzie di stampa e testate giornalistiche, come il quotidiano Libération, punto di riferimento della sinistra francese.
Gelosi custodi delle loro ricchezze, i Rothschild sono sempre stati amanti dell’anonimato. Pochissime società portano il loro nome: nella maggior parte dei casi agiscono dietro le quinte, investono capitali tramite banche o fondi di cui sono azionisti e intascano rendite miliardarie.
L’ultimo movimento dei rampolli Rothschild di cui si abbia notizia risale a un paio di giorni fa ed è significativo per le lezioni di politica energetica che porta con sé. Vallar, la cassaforte finanziaria creata dal trentanovenne Nathaniel (Nat) Rothschild, ha deciso di investire 3 miliardi di dollari per creare una società mineraria che permetterà alla potente famiglia indonesiana dei Bakrie di quotarsi in borsa a Londra. Bumi Plc., questo il nome della società, metterà insieme gli asset di due gruppi minerari indonesiani e il capitale di Vallar, per diventare il più grande fornitore estero di carbone per le centrali termoelettriche cinesi. Il carbone – di cui la Cina è il maggior produttore e consumatore al mondo – soddisfa oggi il 75% del fabbisogno energetico cinese. Ma non basta mai e ne servirà sempre di più per sostenere l’inarrestabile crescita economica di Pechino.
Rothschild l’ha capito al volo e si è buttato a pesce su quella che non ha esitato a definire “un’opportunità che può capitare solo una volta nella vita“. L’accordo, che sarà completato entro aprile, consegnerà a Nat il 37% della nuova impresa. Il ruolo del banchiere barone sarà – come sempre nella storia dei Rothschild – quello di finanziatore di famiglie fortemente indebitate. I Bakrie, infatti, conferiranno in Bumi Plc. asset minerari gravati da 4,4 miliardi di dollari di debito. “Senza il nostro intervento la famiglia Bakrie non avrebbe mai potuto entrare in borsa“, ha dichiarato Nat Rothschild.
“La nostra politica è quella di fomentare le guerre (…) dirette in modo tale che entrambi gli schieramenti sprofondino sempre più nel loro debito e, quindi, sempre di più sotto il nostro potere“, aveva dichiarato il capostipite della famiglia Amschel Mayer Rothschild nel 1773. Oggi sembra che le cose per gli eredi non funzionino in modo molto diverso.
Per fortuna a salvare la reputazione dei baroni ci pensa il più giovane tra gli eredi: David Mayer De Rothschild. Nato nel 1978 a Londra, è oggi uno dei più famosi ambientalisti britannici e leader di Adventure Ecology, un gruppo che organizza spedizioni tra le bellezze naturali del pianeta per aumentare la consapevolezza sugli effetti dei cambiamenti climatici. Compresi quelli che produrrà presto la nuova joint venture del suo amato cugino Nat.
lunedì 22 novembre 2010
Perché vi arrabbiate se Grillo attacca Saviano?
Gli oltre 2800 commenti al mio articolo sulle critiche di Beppe Grillo a Roberto Saviano, molti dei quali critici, mi spingono a chiarire un paio di punti.
“Cara Beatrice Borromeo, i danni che hai fatto con questo articolo sono incalcolabili. Hai solo animato un indegno tutti contro tutti. Che è l’ultima cosa che serve”. Ho scelto questo commento, ma ce ne sono molti altri simili: quando un lettore scrive che non bisognerebbe parlare di un fatto per non provocare certe reazioni, fraintende profondamente quello che dovrebbe essere il nostro mestiere. Chiedere a noi giornalisti di omettere delle notizie non è accettabile, a prescindere dalle conseguenze che implicano (in questo caso poi non mi pare una faccenda così delicata).
Sono andata a teatro a vedere lo spettacolo di Grillo senza alcuna intenzione di scrivere un articolo in proposito. Quando però ho sentito le sue critiche a Saviano, vista anche la reazione perplessa del pubblico presente, ho valutato che fossero una notizia. E la polemica che si è scatenata sul sito del Fatto lo conferma. Non credo però di aver scritto un pezzo né contro Grillo, né contro Saviano: ho semplicemente raccontato i fatti e, visto che ero curiosa delle reazioni della gente, sono andata a spulciare tra i commenti del blog beppegrillo.it notando che in molti stavano dalla parte dello scrittore di Gomorra.
Non conosco personalmente Grillo ma lo seguo e mi piace. Con Saviano siamo amici dai tempi di Annozero, e stimo molto il suo lavoro. Il punto è un altro: perché non ci si rende conto di quanto sia assurdo pretendere che persone così diverse tra loro la pensino allo stesso modo?
I vari Di Pietro, Grillo, Travaglio, Santoro, Vauro, De Magistris, Saviano, Vendola, Gabanelli, cioè quelli che una larga parte di pubblico (tra cui molti lettori del Fatto) considerano “i buoni”, sono diversissimi tra loro. E l’appiattimento che li ha resi quasi interscambiabili nella percezione di molte persone dipende a mio avviso dal fatto che sono l’unica opposizione che questo Paese conosce.
Ma tutti loro in comune hanno solo due aspetti: sono dei professionisti e sono onesti. Nulla di più. E in un contesto normale, con più libertà, questo non sarebbe sufficiente ad omologarli e a pretendere che stiano sempre tutti dalla stessa parte. Capisco la frustrazione di molti lettori perché è evidente che attraversiamo un momento in cui i punti di riferimento, per chi crede in certi valori, sono pochi. E sarebbe più semplice se facessero squadra. Ma non penso sia giusto. Quando Grillo incita Saviano a fare i nomi, a mio parere gli fa un favore: Roberto è diventato un simbolo della lotta alla mafia proprio perché è stato capace di farci conoscere i volti e le storie dei camorristi. E continuerà ad essere un esempio solo se non smetterà di lavorare in questo modo. Lo stesso discorso vale per tutti quelli che ho citato. E credo che il giorno in cui potranno criticarsi a vicenda senza che il loro pubblico si senta tradito, vorrà dire che siamo fuori pericolo.
Detenuto si uccide a Foggia: era in cella per oltraggio
FOGGIA - Un uomo di 41 anni di Foggia, Francesco R., detenuto per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale, si è suicidato la scorsa notte nel carcere di Foggia utilizzando la sua cinta dei pantaloni. Lo rende noto il vicesegretario nazionale del sindacato di poliziotti penitenziari Osapp, Domenico Mastrulli, secondo il quale l'uomo era sorvegliato strettamente perchè pare avesse problemi psicologici. Qualche giorno fa aveva tentato di dare fuoco alla cella, ma l'intervento della polizia penitenziaria aveva evitato conseguenze più gravi. Per evitare - dice Mastrulli - che potesse farsi male, il detenuto era stato spostato in un'altra cella priva di suppellettili.
Nel carcere di Foggia, un altro detenuto si era ucciso solo una ventina di giorni fa. "Quello di Foggia - ha dichiarato Mastrulli - è un carcere con 800 detenuti, mentre ne potrebbe contenere solo 350, e non ha neppure un direttore titolare. Ne servirebbe uno di lunga esperienza. A Foggia c'è, inoltre, carenza di personale, infatti ci sono solo 60 agenti di polizia penitenziaria e sono ovviamente insufficienti. In Puglia ci sono circa 5.000 detenuti in 12 strutture, otto delle quali malridotte, con scarsa igiene e con scarsa sicurezza: i posti disponibili sarebbero 2.300".
giovedì 18 novembre 2010
Grillo, dai vaffa alle bugie
Le primarie, che schifo. I partecipanti al voto? Nemmeno un quartiere semiperiferico. I candidati a Milano? Tutti coi capelli bianchi, solo slogan e manifesti. ”I milanesi hanno potuto scegliere solo i loro faccioni, e non il programma”. Insomma, “elezioni posticcie”
Puntuale, arriva il Grillo-pensiero sulle consultazioni del centrosinistra nel capoluogo lombardo. Con il quale il comico-blogger compie un deciso e importante salto di qualità: dal vaffanculo alle bugie.
Dice il sito ufficiale grillino che gli elettori hanno votato solo facce e slogan. “Questa non è democrazia”, si scandalizza la home page dei nuovi rivoluzionari. E ancora: ”Prendono solo per i fondelli gli elettori”.
Eppure basta cliccare un paio di volte su Google (Grillo ne dovrebbe essere capace) per scoprire che sul sito web di Boeri c’è un programma completo suddiviso in quindici schede tematiche. Magari è un programma orrendo, ma è online da settimane. Lo stesso sul sito di Giuliano Pisapia. Anche lì si tratterà certamente di proposte vecchie e da sfanculare seduta stante, ma basta cliccare e si trovano schede tematiche dagli anziani alle periferie, dalla casa alla cultura.
Evidentemente, dalle parti del Movimento Cinque stelle, si pensa ormai in grande. Prima si crea una schiera di fan con il mix ”buone idee più antipolitica”. Poi, creata la platea, gli si dà in pasto la pura propaganda.
Un bravo comico, dal palcoscenico di un teatro tenda, direbbe che questo sistema somiglia sinistramente a quello dello psiconano. E che il passo dall’antipolitica alla politica, quella peggiore, qualche volta è proprio breve.
martedì 16 novembre 2010
Piazza della Loggia 1974-2010
a favore del finanziamento pubblico ai giornali
Da un lato, giustamente, Travaglio punta il dito sulla assoluta mancanza di razionalità nella questione dei finanziamenti: i rimborsi dipendono infatti dal numero di copie stampate, e non da quelle effettivamente vendute, consentendo a giornali "ridicoli" di stampare copie in più solo allo scopo di ottenere finanziamenti e rimborsi, e in passato (ma forse anche attualmente) regalando in particolare contributi ai giornali cosiddetti di partito (Libero per anni li ha ottenuti per essere l'organo del Partito Monarchico).
Però c'è un altro lato della faccenda: i giornali sono uno dei poteri dello stato, sono simbolo di pluralismo e sono un organismo culturale, dovrebbero sopravvivere solo quelli più letti?
Il caso de "il Manifesto" è sotto gli occhi di tutti: uno dei migliori giornali italiani e certamente schierato ma sicuramente il più indipendente (i legami de Il Fatto Quotidiano con la macchina economica rappresentata da Beppe Grillo e dalla casa editrice Aliberti sono probabilmente poco noti, ma non per questo differenti nella sostanza da quelli del gruppo Repubblica-l'Espresso con De Benedetti).
Regolamentare e razionalizzare la distribuzione dei finanziamenti è assolutamente necessario (nella stampa come nei fondi per il cinema o nel bilancio della RAI). Ma piegare la stampa al puro dettame economico è sbagliato perché livella l'informazione, incoraggia la parzialità e il sensazionalismo e rende la stampa peggiore. Come ci ricorda Noam Chomsky (via occhioclinico):
IL SECONDO FILTRO DEL MODELLO DI PROPAGANDA
“Ruolo primario della pubblicità come fonte di finanziamento [ovvero] la pubblicità come licenza per stare sul mercato […]: il mercato favorisce il mezzo a cui vanno le preferenze degli inserzionisti. Di fatto la pubblicità è un potente meccanismo di indebolimento della stampa della classe lavoratrice” assimilabile all’azione dell’aumento dei costi di capitale.
I giornali che dipendono per la maggior parte dagli introiti delle vendite saranno espulsi, marginalizzati dal mercato: “il libero mercato non produce più un sistema neutrale in cui a decidere sia la scelta dell’acquirente finale. Sono le scelte degli inserzionisti a decidere a incidere sulla sopravvivenza e sulla prosperità dei media”.
La naturale conseguenza è che gli inserzionisti non investiranno nei media che offrono visioni alternative della società, in contrasto con l’ideologia dominante del profitto e gli interessi della classe dirigente. Questo meccanismo determinò, ad esempio, la scomparsa dalla grande distribuzione della stampa socialdemocratica inglese fra il 1960 ed il 1967: il movimento di massa popolare fu privo del sostegno di testate di rilievo, costantemente attaccato dalla stampa e compromesso, quindi, nelle sue possibilità di incidere sulla società.
Coi finanziamenti ben ponderati si fa sopravvivere il pluralismo. Volerli cancellare del tutto ha lo stesso senso e la stessa funzione dei discorsi sul fatto di eliminare quanto più Stato e tasse possibile e lasciare tutto in mano ai privati perché lo Stato sarebbe irrimediabilmente corrotto, sprecone e/o incompetente. E poi si sa, la massa lasciata a se stessa, in un mondo capitalista, va sempre nella solita direzione: tette e culi, Striscia la Notizia e Fox News.
il ministro impugnatore
Il 15 settembre Alfano ha scritto alla Corte d’Appello di Milano spiegando come doveva essere deciso il processo Abu Omar. Si trattava dell’imam di Milano, rapito da agenti Cia con la complicità dei servizi segreti italiani, portato in Egitto, incarcerato e torturato. I vertici del Sismi furono salvati dal governo italiano con il segreto di Stato; gli agenti Cia furono condannati. Il difensore di uno di questi disse che il suo assistito doveva essere giudicato in Usa secondo la Convenzione Nato del 1951. Alfano inviò una lettera al Tribunale: “Questo avvocato ha proprio ragione”. Il giudice gli dette torto e lo spione fu condannato. Naturalmente fu proposto appello. E adesso Alfano ci riprova.
La cosa è scandalosa sotto tanti punti di vista. Cominciamo dal merito. La convenzione Nato in effetti prevede che, in caso di giurisdizione concorrente, le autorità militari Usa hanno il diritto di processare uno dei loro per “i reati compiuti nell’esecuzione del servizio”. Dunque, se un militare Usa commette in Italia un reato; se questo è considerato reato anche negli Usa; se è stato commesso durante un servizio per conto degli Usa; allora sarà giudicato dai giudici Usa. È ciò che avvenne con la tragedia del Cermis: un aereo Usa per un errore di manovra troncò il cavo di una teleferica; la cabina cadde e morirono 20 persone; processo ai piloti in Usa. Ma il rapimento di Abu Omar è tutta un’altra cosa. Prima di tutto è reato solo per la legge italiana (art. 605 codice penale). Negli Usa si chiama extraordinay rendition ed è considerato legittimo. Sicché niente giurisdizione concorrente. Se l’Italia non li processasse, gli spioni non sarebbero processati in Usa perché lì non è reato. Ma allora, se non c’è giurisdizione concorrente, se si tratta di un reato solo per la legge italiana (e per quella di – quasi – tutti gli Stati civili della terra), la convenzione Nato non c’entra niente. E poi, quale persona sana di mente può pensare che un pubblico servizio consista nel rapire e torturare una persona? In questo caso, il pubblico servizio Usa era un reato in sé, non un’attività lecita nel corso della quale (come espressamente dice la Convenzione Nato) sono stati commessi reati. E si può sostenere che l’Italia debba accettare che delitti gravissimi siano commessi impunemente nel suo territorio solo perché chi li commette è cittadino di un altro Stato le cui leggi (che non ci riguardano, siamo – ancora – uno Stato sovrano) dicono che non si tratta di attività illecita? E se gli Usa decidessero che è lecito per la Cia appostare, dietro la madonnina del Duomo di Milano, un tiratore scelto e fare secco qualcuno perché, secondo loro, è un terrorista, a noi ci dovrebbe star bene? Ma dai!
venerdì 12 novembre 2010
giovedì 11 novembre 2010
l'alluvione non ha colore politico
E’ da quando ho 3 anni che sento parlare di alluvioni, essere nato nel delta del Po significa sapere cosa vuol dire l’acqua in casa. I miei si sono sposati nel ’58 all’asilo, perché la chiesa era sott’acqua. Il collegio di Feltre in cui ho iniziato le elementari aveva diviso i bimbi in tre categorie: permanenti, estivi e alluvionati. L’acqua invade da sempre case e strade. Si può evitare? Forse no, anche se a volte sì. Si può prevedere? Forse sì. Alcune delle vie inondate a Padova dall’esondazione del Bacchiglione si erano già allagate a maggio e amici mi dicono che era già successo altre volte con piogge abbondanti.
Qualcuno ha sbagliato qualcosa. Sicuramente la gestione del territorio è disastrosa anche in una regione governata da gente che del territorio si riempie la bocca fino a divenire stomachevole. La cosa più interessante di questo dramma, perché di dramma si tratta, di attività chiuse, di case abbandonate, di gente che avrà problemi per mesi se non per anni, è che i giornali e i telegiornali non l’hanno trovata una notizia interessante. Al punto che gli stessi veneti che non erano toccati direttamente dalla cosa hanno continuato a non preoccuparsene finché qualcuno (per lo più testate locali) non ha aperto loro gli occhi. E’ triste renderci conto una volta di più che viviamo in un paese nel quale se una cosa non la dice la tv non esiste. Certo, non ci sono stati i morti che rendono così succulente le nostre serate di news, e nemmeno quel gusto pecoreccio che è ormai caratteristica fissa dei nostri programmi di approfondimento politico riempiendoli di bagasce e magnaccia. Forse qualche amministratore leghista ha anche sovieticamente pensato che non era il caso di diffondere l’immagine un po’ retrò di un Veneto sommerso e piangente. Ora, persino chi ha votato Lega credendo alla balla dei politici fuori dal coro, tocca con mano cosa significa essere parte debole del paese, avere bisogno dei soldi degli altri.
Devo dire che non è comunque edificante il coro di quelli che, anche a sinistra, dicono “Volete tenervi tutto? Tenetevi l’alluvione e non rompete le balle”. Non c’è in queste dichiarazioni niente di diverso da chi, a destra, dice che l’immondizia a Napoli se la meritano perché hanno votato la Jervolino. E’ come se l’idea della punizione del cielo sopravvivesse anche fuori dalle chiese di stampo medievale. Nessuno si merita l’alluvione, nessuno si merita di finire nel fango, nemmeno se ci sta antipatico, nemmeno se lo riteniamo un nemico.
Ora che il governatore ultralocalista di questa regione ha deciso di sospendere la propria vocazione federalista finché non arrivano i soldi da Roma, soldi intendiamoci, che vengono anche dalle tasse dei siciliani, dei calabresi, dei campani perché persino in quelle regioni c’è gente che paga le tasse, abbiamo alcune cose da imparare da questo disastro:
1) Il territorio non ha colore politico, esige rispetto e va gestito da persone che lo amano veramente e non da affaristi pronti a cementificare anche la nonna. Sarebbe anche il caso di non cambiare criteri di protezione del territorio a seconda di come cambiano le amministrazioni.
2) I telegiornali come mezzi di diffusione delle notizie sono sempre più inutili. Ci sono molte più informazioni in una paginetta di facebook che in mezz’ora di telegiornale. Inoltre sarebbe bene ripristinare una regoletta utilissima: a tavola e a letto non si guarda la tv.
3) Nessuno può pensare di tenere alla porta i problemi. Sentirsi parte di una comunità, di una nazione, significa poter contare sugli altri in caso di bisogno, ma anche essere pronti a capire e aiutare persone e territori che, per colpa o per disgrazia, si trovano in difficoltà.
opposizione e FLI chiedono conto della Libia al governo
Per chi non è un addetto ai lavori, orientarsi nell’universo degli emendamenti e delle mozioni che si discutono in Parlamento non è cosa semplice. Ieri sera è stato il turno delle mozioni riguardanti la revisione del trattato di amicizia Italia-Libia ed è stato particolarmente complicato seguirne gli sviluppi.
Che il governo sia stato battuto tre volte è un dato politico su cui si sono pronunciati in tanti e non ritengo spetti a me aggiungere altro. Vorrei invece soffermarmi sui contenuti. Il fatto che sia stato espresso un voto favorevole anche alla tutela dei diritti dei richiedenti asilo in Libia è per me e per la mia Organizzazione – l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) – un dato positivo come lo è chiedere al governo l’impegno a che l’ufficio dell’UNHCR a Tripoli torni a lavorare senza le attuali limitazioni, così come che la Libia sia sollecitata a firmare la Convenzione di Ginevra sui Rifugiati del 1951.
Quello che mi ha veramente colpito è come oggi alcuni giornali abbiano interpretato tutto questo. C’è chi ha titolato “Fini vota con la sinistra a favore dei clandestini”; “Più immigrati per tutti”; “Fini ci regala i clandestini”. Ma che c’entra? Qual è il nesso? Una tale rappresentazione non solo non restituisce ai lettori il merito di quanto è stato votato ma volutamente utilizza lo spauracchio dell’invasione per oscurare l’importante tema dei diritti dei richiedenti asilo e degli obblighi internazionali, troppo spesso negli ultimi tempi sacrificati sull’altare della demagogia politica.
sabato 6 novembre 2010
Tre fermi per l'omicidio di Marina: in manette l'ex amante del marito
Svolta nelle indagini su Marina Patriti, la donna scomparsa a Bruino otto mesi fa. La pista del delitto trova conferma nei tre fermi eseguiti oggi con l'accusa di sequestro di persona, omicidio e occultamento di cadavere. A emettere l'ordine di custodia cautelare in carcere è stato il procuratore di Pinerolo (Torino), Giuseppe Amato. Si tratta dell'ex amante del marito della donna, Maria Teresa Crivellari, sulla quale fin dall'inizio gravavano pesanti sospetti, e di altre due persone, Andrea Chiappetta e Calogero Pasqualino, probabilmente assoldati dalla donna per uccidere la rivale in amore. Gli investigatori hanno individuato i tre sospettati attraverso i tabulati telefonici e ora li stanno interrogando nella caserma del Comando Provinciale dei Carabinieri di Torino. "Purtroppo abbiamo sospettato di lei fin dal primo momento - ha detto Giacomo Bellorio, il marito di Marina Patriti - evidentemente i nostri timori si sono rivelati fondati. E' una persona diabolica, capace di tutto". Più sms, partiti dal cellulare di Marina Patriti nel giorno della sua scomparsa, e le intercettazioni telefoniche e ambientali scattate nei mesi successivi, avrebbero funzionato da trappola per i tre arrestati.
Marina, madre di tre figli, non aveva dato più notizie di se' dal 18 febbraio scorso, dopo aver mandato un sms al marito per dirgli di andare lui a prendere il figlio più piccolo all'asilo. La sera stessa Giacomo Bellorio aveva trovato la sua auto a Villarbasse. Fin dall'inizio inquirenti e familiari hanno creduto che non si trattasse di una fuga volontaria, soprattutto per alcuni particolari contenuti nei messaggi lasciati dalla donna prima di andarsene. Si tratta del messaggio sms inviato al marito, nel quale Marina sbaglia il sesso del figlio più piccolo dicendo bambino e non bambina. "Un particolare che lei non avrebbe mai sbagliato - sosteneva il marito - quindi non può essere stata lei a inviare il messaggio".
Sempre dalle poche indiscrezioni trapelate finora, risulta che almeno due dei tre arrestati siano già stati sentiti dai carabinieri nell'estate scorsa. Sembra anche che abbiano rilasciato testimonianze discordanti. Ma l'attenzione degli investigatori si sarebbe concentrata proprio sui messaggi telefonici inviati da Marina Patriti al marito la mattina stessa della sua scomparsa. I primi due, su temi d'ordinaria amministrazione casalinga, sarebbero partiti dal ponte di Bruino, il terzo, in cui lei dice al marito di andare a prendere il bambino (anziché bambina) a scuola perchè lei ha intenzione d'andarsene per sempre, dal ponte di Alpignano, dove abita Maria Teresa Crivellari. Secondo quanto si è appreso, inoltre, i due uomini avrebbero avuto un ruolo importante, prima nel sequestro, poi nell'omicidio volontario e quindi nell'occultamento del cadavere.