lunedì 27 luglio 2009
PD: la guerra interna del partito vergogna
Il sindaco è stato esaminato, valutato col massimo rigore e infine bocciato. Tessera del Partito democratico rifiutata a Vincenzo Greco, primo cittadino di Termoli.
La bocciatura, ma prima ancora la convocazione all'esame, un lungo tavolo, di qua lui e di là i dirigenti del partito, e l'avvertenza "comunque la sua iscrizione sarà con riserva", cambia il corso della cronaca che fino a qualche mese fa aveva raccontato la conquista delle adesioni alle diverse mozioni congressuali.
Pacchetti di tessere spostati o comprati, allusioni e veleni, traghettamenti operosi e notturni, innalzamento del numero delle adesioni (circa ottocentomila) avvenuto in zona Cesarini, sono temi e testimonianze che non tengono conto che l'Italia è lunga e varia anche il volto del Pd piuttosto cangiante.
Se dunque le cronache campane e laziali hanno dovuto occuparsi di alcune tumultuose e improvvise esplosioni di militanza di massa, gli abitanti della piccola città molisana sull'Adriatico hanno letto della severità alla quale il sindaco ha dovuto fare i conti. Al dottor Greco è capitato, purtroppo, che nella commissione esaminatrice - presieduta, secondo i resoconti giornalistici, dalla signora Antonella Occhionero - figurassero ex assessori proprio da lui rimossi. Chiaramente sono stati subito guai.
L'interrogazione (o interrogatorio, ma sono punti di vista) è iniziata subito a farsi dura. Le domande sono fioccate e quel foglio di adesione è stato lasciato in un cassetto. Prima rispondi e poi vediamo.
Non si è capito se il sindaco abbia replicato, e come. Si è solo saputo che a un certo punto si è arreso: "Rinuncio all'iscrizione". Però i toni evidentemente già concitati, hanno obbligato i carabinieri a bussare alla porta della sezione per limitare i danni e decretare concluso sia il confronto che la campagna di tesseramento.
(27 luglio 2009)
giovedì 23 luglio 2009
Arrestata assistente sociale: aveva rapporti con un ragazzino
la Volpe
Erano soli in casa, rilassati su un divano, in atteggiamenti intimi che non lasciavano dubbi e soprattutto confermavano i sospetti dei genitori. Lei, Elena, assistente sociale, 30 anni, carina e spigliata, da sette anni al lavoro per la Diapason, una onlus che si occupa di minori in difficoltà e lavora in convenzione con il Comune. Lui, studente alle medie, 14 anni a novembre, meno della metà degli anni della sua tutor, ragazzino di periferia con problemi relazionali, troppo vicino alla donna. L´assistente sociale, già licenziata dalla cooperativa, è accusata di aver consumato rapporti sessuali con lo studente delle medie e per questo è stata arrestata.
Quando i carabinieri della compagnia di Porta Monforte, guidati dal maggiore Michele Piras, entrano nella casa dell´adolescente, al quartiere Corvetto, periferia a sud-est di Milano, non possono far altro che fermare la donna e condurla in caserma, anche se il ragazzino cerca di difenderla. «Lo volevo anch´io... Non stavamo facendo nulla di male», dice ai militari. Ma per la donna scatta subito l´arresto per violenza sessuale, aggravata dall´età della vittima e dal ruolo di tutela che la trentenne aveva nei suoi confronti. L´arresto arriva dopo un paio di settimane d´indagine dei carabinieri, seguite alla denuncia della madre dello studente - con problemi relazionali e di rendimento scolastico - che aveva scoperto alcuni sms nel cellulare del figlio.
Messaggi troppo intimi ed espliciti, inequivocabili, che facevano riferimento a una vera e propria relazione sessuale tra minore e tutor. Così è scattato il blitz. L´educatrice - «ha lavorato con noi per sette anni, gli ultimi due a tempo indeterminato, avevamo in lei estrema fiducia», dicono alla Diapason - era responsabile del programma Azimut, un progetto socio-educativo rivolto proprio a famiglie con figli tra gli 11 e i 14 anni. Un´attività quotidiana - per cinque pomeriggi a settimana - con l´obiettivo di prevenire ed evitare che i bambini vengano allontanati dalle famiglie.
La onlus operava in appalto con l´assessorato ai Servizi sociali del Comune e il sindaco Letizia Moratti ha annunciato la sospensione della convenzione, in attesa che si chiariscano le responsabilità di ogni attore della vicenda. «Non vogliamo minimizzare quanto accaduto, siamo di fronte a un fatto terrificante - è la reazione di Paolo Cattaneo, presidente della Diapason - Ci sentiamo estranei a quanto accaduto, ma allo stesso tempo maledettamente in colpa». E fino a oggi, la cooperativa, fondata nel 1985, con 120 educatori e 250 minori affidati tra Milano e hinterland, non aveva vissuto una disavventura di questo tipo. «Nessun progetto - si difende la onlus - prevede che gli incontri avvengano in casa, né di mattina», quando i carabinieri hanno sorpreso insieme l´assistente sociale e il suo giovanissimo studente.
(Milano, 23 luglio 2009)
Patto mafia-servizi, inchiesta riaperta
Adesso, l'indagine sarebbe molto più ampia di quella che nel 2004 era stata chiusa con un'archiviazione per Totò Riina, il suo medico Antonino Cinà e l'ex sindaco Vito Ciancimino. Erano accusati di aver "veicolato" un "papello" di richieste per far cessare le stragi. Ora, l'indagine cerca oltre, perché la trattativa sarebbe iniziata molti mesi prima della stagione degli eccidi Falcone e Borsellino, e sarebbe proseguita anche oltre. Secondo i pm di Palermo, uno degli "effetti" del presunto (e raggiunto) patto sarebbe stata la mancata cattura di Provenzano nel 1995 da parte del Ros di Mario Mori, che con Ciancimino aveva iniziato a dialogare. Ecco perché le risultanze dell'ultima inchiesta potrebbero finire presto anche al processo Mori.
Intanto, ci sarebbero già dei nuovi indagati per la trattativa, al vaglio della Procura diretta da Messineo. Il filone principale che viene approfondito è quello dei rapporti fra boss e uomini dei servizi. Dalla vecchia inchiesta i magistrati hanno poi ripreso il giallo della trattativa americana di Riina. A parlarne era stato Paolo Bellini, ex estremista di destra che ai processi per le stragi aveva svelato le confidenze di uno degli assassini di Falcone, Nino Gioè, morto suicida in carcere. "Riina aveva un ulteriore canale per cercare di ottenere benefici - questa la confidenza - era una trattativa triangolare, fra Italia e Usa, nel senso che Cosa nostra aveva dei tramiti oltreoceano per una trattativa da condurre in porto con ambienti italiani".
Chissà se il misterioso intermediario è l'avvocato americano arrivato in Sicilia poco prima delle stragi. Ne ha parlato il pentito Giuffrè. Lui sa poco, solo che qualche mafioso aveva il compito di andarlo a prendere nel lussuoso albergo di Villa Igea.
(Salvo Palazzolo, "la Repubblica Online", 22 luglio 2009)
mercoledì 22 luglio 2009
Pastore tedesco salva la padrona dallo stupro
(22 luglio 2009)
domenica 19 luglio 2009
Un basiji: "stupravo le vergini prima del patibolo"
(19 luglio 2009)
venerdì 17 luglio 2009
Milano: vietato l'alcool ai minori di 16 anni
Così ora per i ragazzi milanesi sarà più facile comprare la coca che bere una birra in un parco.
Queste sono le risposte della destra ai problemi della società: repressione, repressione, repressione. Prima o poi costruiranno un carcere alla "Fuga da New York" su Ischia.
MILANO - Milano dichiara guerra alla diffusione degli alcolici fra gli adolescenti: arriva il divieto tassativo, punito con una sanzione di 450 euro, al consumo di per i minori di 16 anni. Il sindaco Letizia Moratti ha firmato - primo Comune in Italia - un'ordinanza che colpisce non solo gli esercenti compiacenti, ma gli stessi ragazzini colti a consumare alcolici o a passarli agli amici. Il provvedimento, in vigore da lunedì prossimo per un periodo sperimentale di quattro mesi, parla chiaro: il divieto riguarda la vendita, la somministrazione, il consumo, la detenzione e anche la cessione gratuita. La multa di 450 euro elevata agli adolescenti (che diventerà di 500 euro se non sarà pagata entro i primi cinque giorni) sarà recapitata ai loro genitori.
L'ordinanza impone ai vigili, ma anche a polizia, carabinieri e Guardia di finanza il compito di far rispettare questa nuova norma. Per il sindaco di Milano il primo obiettivo del divieto è quello di tutelare la salute dei giovanissimi, visto che in città sta assumendo dimensioni preoccupanti il fenomeno di ragazzi minorenni che bevono con il solo scopo di ubriacarsi.
"E' un'ordinanza che abbiamo ritenuto necessaria - spiega Moratti - perché in Italia i minori che bevono sono oltre 750 mila ma purtroppo a Milano i ragazzi che bevono e hanno già avuto problemi sono giovanissimi di 11 anni, quindi c'è veramente un rischio molto forte". Il sindaco sui dice convinto che il provvedimento possa arginare il fenomeno, ma "ovviamente non basta: le politiche di sicurezza devono essere accompagnate da politiche sociali e strutturali, bisogna dare ai ragazzi la voglia di costruire il proprio futuro e di realizzare i propri sogni. Questa è la parte più difficile, la parte più facile sono le ordinanze".
Per la prima volta in Italia un'ordinanza interviene sulla vendita, sulla somministrazione, sul consumo, sulla detenzione e sulla cessione anche a titolo gratuito di alcol. "I ragazzi sono bravi ad aggirare gli ostacoli, siamo intervenuti con un'ordinanza completa. Siamo i primi in Italia e speriamo di essere i primi anche nei risultati positivi", ha concluso il sindaco.
Finora si era arrivati a multare solo la somministrazione e, come nel caso del comune di Monza, la vendita di alcolici ai minori di 16 anni. Il provvedimento rafforza l'ordinanza, già in in vigore dal 4 novembre del 2008 nei luoghi di aggregazione della città, che pone il divieto di consumare e detenere bevande alcoliche in contenitori di vetro o di latta in luoghi pubblici o aperti al pubblico del Comune di Milano.
Il provvedimento sarà applicato in prevalenza nei quartieri della "movida" e, soprattutto in questo periodo estivo, nei parchi. Per come è stato formulato, il divieto tuttavia non colpirà il ragazzino che esce dal supermercato o dal negozio di generi alimentari con una bottiglia di alcolici nella busta della spesa.
(17 luglio 2009)
il tormentone Grillo per un partito ridicolo
Grillo iscritto al PD: via libera del circolo di Paternopoli
AVELLINO - Beppe Grillo è il tesserato numero 40 del circolo del Pd "Martin Luther King" di Paternopoli, in provincia di Avellino. Il tesseramento è stato autorizzato dal segretario del circolo locale, Andrea Forgione, che ha voluto così lanciare "una forte provocazione" alla dirigenza nazionale del partito: "Il caso Grillo costituisce un precedente molto grave - afferma Forgione - Chi ha infatti la legittimazione a decidere chi tesserare e chi no? Beppe Grillo non è iscritto a nessun altro partito e ha una fedina penale pulita, quindi perchè negargli la tessera? Non vogliamo che il Partito democratico si trasformi in un partito burocratico".
Iscrizione di Grillo priva di ogni valore?
"L'iscrizione al Partito democratico di Beppe Grillo e' da considerarsi priva di ogni valore". Lo dichiara in una nota Tino Iannuzzi, segretario regionale della Campania, ricordando che "infatti la Commissione nazionale di Garanzia del nostro partito, con una decisione che produce i suoi effetti sull'intero territorio nazionale, ha giustamente stabilito che Grillo con il suo movimento politico ha ispirato posizioni totalmente contrarie e ostili alla linea e all'azione politica del Pd". "Pertanto - conclude il dirigente Pd - la sua iscrizione e' del tutto incompatibile con l'adesione al Partito democratico. Sappiamo che le regole possono a volte apparire fredde, ma a Grillo ricordiamo che rappresentano, in democrazia, una garanzia per tutti".
(17 luglio 2009)
giovedì 16 luglio 2009
poi dicono che a sinistra si perde
Poi dicono che a sinistra si perde, poi dicono che dovremmo votare il PD.
Questo PD? Questa gente?
Ma andate a morì ammazzati, va.
E' tutta colpa VOSTRA.
dal Corriere della Sera, 15 luglio 2009
Veltroni su Craxi:
«Innovò più di Berlinguer»
Svolta dell’ex leader pd: "solo lui capì davvero la società, insufficienti gli sforzi di Enrico"
ROMA — Craxi? «Interpretò meglio di ogni altro uomo politico come la società italiana stava cambiando». La sua politica estera? «Fu grande. Ci fu l’episodio di Sigonella ma anche la scelta di tenere l’Italia nella sfera occidentale, senza intaccare autonomia e dignità del Paese». Parole di Walter Veltroni (dirigente per trent’anni di Pci, Pds, Ds, ex segretario pd) davanti a Stefania Craxi, la figlia del leader socialista che fu capo del governo dall’83 all’87. Occasione, il libro di Stefano Rolando, Una voce poco fa. Politica, comunicazione e media nella vicenda del Psi dal 1976 al 1994.
[...]
Craxi nel ritratto tutte luci e niente ombre che ne fa Veltroni, disegna un partito diverso, rispetto ai modelli del Novecento, Pci e Forza Italia, «un partito fluido, moderno, capace di raccogliere anche ciò che non è omogeneo a sé, ma che si unisce attorno a determinate idee». E sembra che rievochi il suo Pd.
[...]
Stefania Craxi dice che è «felice di sentire Walter parlare così». Ma non è indulgente come Walter. Afferma che il Psi di Craxi cadde anche per mano dei grandi giornali di proprietà dei «poteri forti», Fiat e De Benedetti, in disaccordo con Confindustria sul decreto che tagliava la scala mobile: «Quei grandi giornali si portarono dietro altri giornali, come l’Unità , diretta all’epoca da Veltroni, qui presente...»
mercoledì 15 luglio 2009
le ragioni dello "sciopero" dei blog
Un discreto "rumore" (almeno per quel che riguarda Internet) ha destato la chiamata ad uno "sciopero" dei blog per la giornata di martedì 14 luglio. I "blogger" protestano nello specifico contro alcune norme contenute nel disegno di legge comunemente noto come "legge Alfano" (che potete visualizzare sul sito del Senato). La legge si occupa prima di tutto dell'annoso problema delle intercettazioni, per poi effettuare delle modifiche alla legge sulla stampa (legge n.47 dell'8 febbraio 1948) là dove regola le rettifiche alle inesattezze e agli errori commessi dai quotidiani (articolo 8).
Prima di proseguire nel commento, vogliamo ricordare che la legge è attualmente al vaglio del Senato e verrà presentata non prima di settembre di quest'anno. Non è quindi ancora operativa ed è suscettibile di modifiche.
Passiamo a studiare le modifiche (potete vederle riportate in fondo a questo articolo). La prima cosa da notare è che la legge equipara un qualsiasi sito internet a giornali e riviste, come si veda dal comma 3. Questo significa che d'ora in poi, chiunque riterrà che in un sito internet vi sia qualcosa di lesivo della sua persona potrà imporre al sito di pubblicare una sua smentita o rettifica. Non solo, ma, a causa della modifica del comma 4, la rettifica sarà senza commento, ovvero sarà vietato al titolare del sito di contrapporre a tale rettifica un suo commento o una replica.
Per esempio, se Lucia scrive sul suo blog che il suo ex-ragazzo era noioso, volgare e razzista, o che il suo professore era un sessista che faceva commenti piccanti sulle studentesse e dava voti alti solo ai ragazzi, questi potranno imporle di pubblicare sul suo blog una loro smentita, in cui potranno dipingersi come meglio loro pare, e Lucia non potrà nemmeno dire che stanno mentendo né fare delle precisazioni a riguardo.
La norma per come è concepita non serve dunque a tutelare la verità, e soprattutto va a svantaggio della persona qualunque che possiede un blog, o un sito internet, e non ha alcuna intenzione di fare giornalismo, ma solo di condividere i propri pensieri.
Una norma del genere potrà avere solo tre risultati:
1) peggiorare ancora la qualità dell'informazione italiana, cosa di cui di certo non si sente la necessità; eppure, è proprio ciò che avverrà, perché diventerà ancora più difficile capire dove sia la verità; se la legge fosse applicata alla lettera, qualunque politico o potente interessato da una notizia non di suo gradimento potrà imporre alla stampa che lo critica di pubblicare il suo punto di vista privo di qualsiasi commento;
2) limitare la libertà delle persone su internet, incoraggiando all'autocensura: ogni volta che su internet ci troveremo a scrivere su Facebook, Twitter, sul nostro blog o su un forum, ci sentiremo incoraggiati a limitarci e ad autocensurarci, per non incorrere in alcun rischio che potrebbe derivarci da un vicino di casa, un ex-fidanzato, un professore, un compagno di scuola che potrebbe costringerci a dargli uno spazio nostro per scrivere quello che pensa lui e vietarci di replicargli;
3) rallentare ulteriormente la giustizia: immaginate a quante nuove cause ci saranno, tra persone che si rivolgeranno ai giudici per costringere blogger recalcitranti a pubblicare le loro smentite; o a quanti blogger che contesteranno le pretese delle persone di poter rettificare su questo o quello. E noi in Italia di certo non abbiamo bisogno di rallentare ancora di più il meccanismo della giustizia.
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FONTI: qui potete leggere tutte le modifiche apportate dalla legge Alfano. Le modifiche discusse in questo articolo sono a pagina 8-10 del corrispondente pdf.
Qui sotto potete leggere l'articolo 8 della legge n.47 come apparirebbe oggi se le modifiche Alfano (indicate in grassetto) diventassero operative:
Legge n.47, 8 febbraio 1948 - Art. 8 - (Risposte e rettifiche) - inclusivo delle modifiche Alfano
Comma 1. Il direttore o, comunque, il responsabile è tenuto a fare inserire gratuitamente nel quotidiano o nel periodico o nell'agenzia di stampa le dichiarazioni o le rettifiche dei soggetti di cui siano state pubblicate immagini od ai quali siano stati attribuiti atti o pensieri o affermazioni da essi ritenuti lesivi della loro dignità o contrari a verità, purché le dichiarazioni o le rettifiche non abbiano contenuto suscettibile di incriminazione penale.
2. Per i quotidiani, le dichiarazioni o le rettifiche di cui al comma precedente sono pubblicate, non oltre due giorni da quello in cui è avvenuta la richiesta, in testa di pagina e collocate nella stessa pagina del giornale che ha riportato la notizia cui si riferiscono.
3. Per i periodici, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate, non oltre il secondo numero successivo alla settimana in cui è pervenuta la richiesta, nella stessa pagina che ha riportato la notizia cui si riferisce.
3-bis. Per le trasmissioni radiofoniche o televisive, le dichiarazioni o le rettifiche sono effettuate ai sensi dell’articolo 32 del testo unico della radiotelevisione, di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177. Per i siti informatici, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate, entro quarantotto ore dalla richiesta, con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono.
4. Le rettifiche o dichiarazioni devono fare riferimento allo scritto che le ha determinate e devono essere pubblicate, senza commento, nella loro interezza, purché contenute entro il limite di trenta righe, con le medesime caratteristiche tipografiche, per la parte che si riferisce direttamente alle affermazioni contestate.
4-bis. Per la stampa non periodica l’autore dello scritto, ovvero i soggetti di cui all’articolo 57-bis del codice penale, provvedono, su richiesta della persona offesa, alla pubblicazione, a proprie cura e spese su non più di due quotidiani a tiratura nazionale indicati dalla stessa, delle dichiarazioni o delle rettifiche dei soggetti di cui siano state pubblicate immagini o ai quali siano stati attribuiti atti o pensieri o affermazioni da essi ritenuti lesivi della loro reputazione o contrari a verità, purché le dichiarazioni o le rettifiche non abbiano contenuto di rilievo penale. La pubblicazione in rettifica deve essere effettuata, entro sette giorni dalla richiesta, con idonea collocazione e caratteristica grafica e deve inoltre fare chiaro riferimento allo scritto che l’ha determinata.
5. Qualora, trascorso il termine di cui al secondo, terzo, quarto, per quanto riguarda i siti informatici, e sesto comma, la rettifica o dichiarazione non sia stata pubblicata o lo sia stata in violazione di quanto disposto dal secondo, terzo, quarto, per quanto riguarda i siti informatici, quinto e sesto comma, l'autore della richiesta di rettifica, se non intende procedere a norma del decimo comma dell'articolo 21, può chiedere al pretore, ai sensi dell'articolo 700 del codice di procedura civile, che sia ordinata la pubblicazione.
5-bis. Della stessa procedura può avvalersi l’autore dell’offesa, qualora il direttore responsabile del giornale o del periodico, il responsabile della trasmissione radiofonica, televisiva o delle trasmissioni informatiche o telematiche non pubblichino la smentita o la rettifica richiesta.
6. La mancata o incompleta ottemperanza all'obbligo di cui al presente articolo è punita con la sanzione amministrativa da lire 15.000.000 a lire 25.000.000.
7. La sentenza di condanna deve essere pubblicata per estratto nel quotidiano o nel periodico o nell'agenzia. Essa, ove ne sia il caso, ordina che la pubblicazione omessa sia effettuata.
martedì 14 luglio 2009
Ciancimino jr: "Patto Mafia-Stato, ecco la prova"
È forse l'epilogo della più intricata vicenda siciliana di questi ultimi anni: la trattativa fra Stato e Mafia. Se il più piccolo dei cinque figli di quello che fu il sindaco mafioso di Palermo manterrà la sua promessa, fra qualche giorno - proprio alla vigilia dell'anniversario della morte di Borsellino, il 19 luglio - il famigerato documento del patto fra boss e misteriosi apparati di sicurezza finirà nelle mani dei magistrati di Palermo e poi quelli di Caltanissetta e Firenze, tutte le procure che indagano direttamente o indirettamente sugli attentati mafiosi fra il 1992 e il 1993. "Questa volta ve lo porterò davvero, questa volta non faccio bluff", ha assicurato Ciancimino junior nel suo ultimo interrogatorio dopo un tira e molla durato un anno.
La sua "collaborazione" è cominciata nel giugno del 2008. In decine di verbali ha raccontato la sua verità su incontri fra mafiosi e uomini dei servizi segreti, ha parlato dei fatti accaduti fra la strage di Capaci e le bombe dei Georgofili, ha ricordato i faccia a faccia fra suo padre e l'allora vicecomandante dei Ros Mario Mori, ha svelato alcuni segreti che don Vito si era portato nella tomba. Come certi appuntamenti che l'ex sindaco agli arresti domiciliari aveva - sia a Palermo che a Roma - con "l'ingegnere Lo Verde", cioè Bernardo Provenzano.
Ma fino ad ora "Massimuccio" non aveva mai voluto dire nulla sul "papello". Alle insistenze dei procuratori, la sua risposta è sempre stata una sola: "Mi avvalgo della facoltà di non rispondere". All'improvviso, la settimana scorsa e dopo un ultimatum della procura di Palermo, Massimo Ciancimino però ha ceduto: "Garantito: adesso il papello ve lo do".
Nessuno sa dove sia stato custodito in tutti questi anni, molti pensavano e ancora pensano in una cassetta di sicurezza di una banca da qualche parte in Europa. Un sospetto, un mese fa, aveva portato gli investigatori in Francia. Una mossa di Massimo Ciancimino e una contromossa degli inquirenti. Ma non quelli di Palermo, gli altri di Caltanissetta. Tutti erano e sono ancora a caccia del "papello".
Massimo Ciancimino, a giugno - appena gli hanno revocato il divieto di espatrio - ha lasciato Bologna dove vive da qualche mese e con la sua auto ha raggiunto Parigi insieme alla moglie Carlotta. È stato pedinato. Al ritorno da Parigi, fermato al posto di frontiera e invitato a entrare in un ufficio di polizia, ha trovato un paio di magistrati della procura della repubblica di Caltanissetta e alcuni ufficiali di polizia giudiziaria. Erano sicuri di trovarlo con il "papello" addosso. Perquisito lui e perquisita anche la moglie, ma il "papello" non l'hanno trovato. Interrogato al posto di frontiera, Ciancimino junior ha spiegato: "Mi ero accorto che mi seguivate, voi non vi fidate di me e io non mi fido di voi e non ho portato con me quel documento che non è a Parigi...".
Messo alle strette dai procuratori di Palermo subito dopo ha promesso di far avere quel foglio di carta, quell'atto con il quale Totò Riina e i suoi Corleonesi chiedevano ad alcuni emissari dei servizi segreti di "trattare" con loro. Fine della violenza e delle stragi in cambio dell'abolizione del carcere duro, basta bombe in cambio di una sorta di salvezza per i familiari dei boss, armistizio con lo Stato in cambio di un colpo di spugna della legge sui pentiti e sui patrimoni aggrediti dalla legge Rognoni-la Torre.
Ma quanto è attendibile nei suoi racconti il rampollo di don Vito? Quanto i magistrati possono credere alle sue parole? "Come qualsiasi imputato di reato connesso, le sue dichiarazioni possono essere attendibili solo se supportate da riscontri obbiettivi ed esterni", risponde il procuratore aggiunto Antonio Ingroia, che con il sostituto Nino Di Matteo indaga sui misteri palermitani dei Ciancimino. Aggiunge Ingroia: "Alcuni elementi di riscontro alle sue dichiarazioni li abbiamo già avuti, però abbiamo bisogno ancora di qualcosa per avere un quadro completo".
Sarà il "papello" a certificare una volta per tutte l'attendibilità del figlio di don Vito. Tutto un impasto, fra i più pericolosi mafiosi latitanti e alti funzionari degli apparati. Tutto un impasto che ora fa molta paura al giovane figlio di don Vito, condannato in primo grado a 5 anni e 8 mesi per avere riciclato il "tesoro" di suo padre. Dal novembre scorso è stato costretto a lasciare la sua casa di Palermo e vivere 24 ore su 24 con auto blindata e "tutela". Dopo un paio di episodi inquietanti accaduti in Sicilia, Massimo Ciancimino è stato contattato da falsi carabinieri e poi ha ricevuto una lettera di minacce. Dentro la busta tre proiettili. Uno era destinato a lui, il secondo al procuratore Ingroia, il terzo al sostituto Di Matteo.
Tutti i verbali di Ciancimino junior sono finiti alla procura di Caltanissetta che è titolare delle indagini sulla strage di via Mariano D'Amelio. Gli stessi procuratori di Caltanissetta l'hanno interrogato più volte. C'è un'ipotesi investigativa: il procuratore Paolo Borsellino, subito dopo la morte del suo amico Giovanni Falcone, avrebbe scoperto la vicenda del "papello" e quella trattativa fra Stato e Mafia. L'avrebbero ucciso perché qualcuno lo considerava un ostacolo al patto con la mafia.
(Attilio Bolzoni & Francesco Viviano, 14 luglio 2009)
Cinepadania
Federico Fellini da Rimini
Ermanno Olmi da Treviglio (Bergamo)
Mario Soldati da Torino
Luchino Visconti da Milano
Il resto sono chiacchiere per gli sciocchi
Non aderisco allo sciopero
I blogger oggi dovrebbero astenersi dal postare in segno di protesta per le norme liberticide contenute nel decreto Alfano. Io penso invece che dovrebbero scrivere sempre: solo così, esprimendo il proprio pensiero e non temendo la censura, si può combattere chi vuol mettere il bavaglio alla libertà di informazione e di espressione ed opporsi al ritorno del fascismo.
Ogni tanto occorre rinfrescarci la memoria. La lettura della nostra Costituzione, per esempio. L’articolo 21, in particolare: quello che sancisce e tutela il diritto di manifestare il pensiero. Così recita testualmente:
“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescrive per l’indicazione dei responsabili.
In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre le ventiquattro ore, fare denunzia all’autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s’intende revocato e privo d’ogni effetto.
La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica.
Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.”
lunedì 13 luglio 2009
sicurezza e insicurezza
In questi giorni è stato approvato il pacchetto-sicurezza (PDF), ancora una volta dopo la richiesta della fiducia al Senato. Poiché si trattava di un provvedimento urgente, o forse poiché poteva sollevare dei dubbi non tanto l'eticità o la costituzionalità di alcune parti della legge quanto proprio la sua sensatezza, ai parlamentari è stato chiesto ancora una volta di "fidarsi" del governo in carica. La cosa che più colpisce è che non si tratta di provvedimenti casuali, generati da un sentimento xenofobo e/o razzista e da un giustizialismo rivolto ai più deboli (ricordiamo che è giusto evadere le tasse ma non entrare in casa senza permesso) che altro non è che bullismo. Quello che colpisce è che ci sia un vero e proprio quadro generale, che per non scatenare polemiche eccessive è stato "diluito" nel corso di due differenti legislature per ottenere uno scopo specifico: il ripristino della schiavitù. Siccome però gli schiavi hanno diritto ad un minimo di dignità - ce l'hanno dai tempi dei faraoni - è molto meglio produrre dei clandestini. L'unico modo per privare una persona di tutti i suoi diritti, inclusi quelli di essere umano, è cancellarla dal diritto. Finalmente milioni di persone sono INVISIBILI al diritto. Questo consente all'arbitrio di ciascuno di lavorare con esseri senzienti la cui volontà e la cui dignità è annullata. Più efficenti dei lager, dove avevano dei numeri per distinguersi gli uni dagli altri. Ora sono "Bingo Bongo" un'entità collettiva. Senza distinzioni di razza, di religione o di censo. Sono "clandestini" o presunti tali, trattenuti per sei mesi senza alcun diritto civile - quelli che vengono fermati. Ma sto divagando, torniamo al progetto complessivo, che si è finalmente dispiegato.
Passo numero 1: non puoi entrare se non hai un lavoro. Sensato. Certo non sarà facile trovare un lavoro a distanza, visto che è molto difficile per gli italiani e che nessuno mette su internet un annuncio per raccogliere le pere, badare a mia nonna o fare l'operaio in fonderia. Quindi la soluzione "all'italiana", ovvero "aggiro la legge per poterla rispettare", è entrare clandestini, trovare un lavoro, dichiararsi in quanto si ha un lavoro. Entrare come turisti non è possibile, perché contemporaneamente il tuo paese, dal quale stai fuggendo, non ti dà il permesso di uscire. Ma, per quanto "all'italiana", questa soluzione aveva ancora mezzo significato.
Passo numero 2: il decreto flussi. Questo non ha alcun senso, o meglio non lo aveva fino ad oggi. Il governo decide quanta gente può entrare. Perché? Per preservare il territorio e impedire che arrivi gente che utilizza le nostre risorse. Ma se la gente viene per lavorare, non utilizza le nostre risorse, produce ricchezza. Quindi il decreto flussi è, nella migliore delle ipotesi, ridondante rispetto al passo numero 1. Inoltre non deve essere il governo a pianificare il lavoro degli imprenditori ed il loro accesso alle risorse, ma se qualcuno ha la disponibilità di lavoro e i soldi per pagarlo, per quale motivo lo Stato glielo deve impedire? E' bizzarro che non sia stato un governo presieduto da Lenin a limitare in questo modo la libera iniziativa, ma uno presieduto da Silvio Berlusconi, liberista che si definisce liberale (tanto la maggior parte delle persone non conosce la differenza...). Ad ogni modo anche qui si risolve il problema "all'italiana", ovvero chi rientra nel decreto flussi bene, gli altri in nero che costano meno (anche se non è vero del tutto, perché poi non puoi mettere il loro stipendio fra le spese, quindi stai ulteriormente aggravando le imprese).
Passo numero 3: l'obbligo di denuncia. Un medico deve denunciare un clandestino che si fa curare, intendendo per cura chiunque abbia bisogno di un medico, anche una partoriente. Non solo si mette a repentaglio il medico che denuncia un potenziale criminale - perché se sei clandestino devi essere per forza criminale, dimenticando quanto detto ai passi numero 1 e 2 - per cui si scarica sull'individuo la responsabilità dello Stato, ma si mette a repentaglio la vita e la salute di persone la cui unica colpa è essere entrate clandestinamente, e almeno in teoria in Italia non esistono né la pena di morte né la tortura. Fra l'altro si mette a repentaglio la salute degli italiani, perché ci sono delle persone che, pur essendo al di fuori di ogni diritto, esistono e se sono malate possono contagiarne delle altre. I fatti dimostrano queste cose, episodi accaduti e riportati dai giornali (come l'epidemia di tubercolosi a Bari, causata da una prostituta peraltro morta perché non si è recata in ospedale per paura dell'arresto). La soluzione all'italiana in questo caso è trovare un medico compiacente che per carità cristiana o per arrotondare lo stipendio curi i clandestini, commettendo in entrambi i casi reato. Anche questa è una bella cosa, mettere sullo stesso piano di colpevolezza un ricattatore ("se non mi paghi ti denuncio") con un buon samaritano ("non ti denuncio perché hai diritto ad essere curato"). Ad ogni modo il passo 3, al pari del passo 2, se preso da solo oscilla fra il nonsense e la stupidità.
Passiamo ad esaminare il pacchetto sicurezza appena approvato.
Passo 4: le ronde. Le ronde sono una soluzione ai problemi di bilancio dello Stato. Perché pagare gente addestrata per fare un lavoro necessario quando posso dare l'autorizzazione a chiunque di fare lo stesso lavoro gratis? In generale, perché lo Stato deve investire dei soldi nei servizi quando li può sprecare e contemporaneamente aspettare che dei volontari sotto-qualificati facciano il lavoro necessario? E' già così in altri settori-chiave, come la protezione civile, la ricerca e alcuni aspetti della salute dei cittadini... Anche questo sembra meschino e insensato, se preso da solo.
Passo 5: il reato di "immigrazione clandestina". Questo è superlativo. Perché sei in Italia? Non mi interessa. Sei clandestino, ovvero non hai compiuto l'iter burocratico necessario ad entrare legalmente. Ricordiamo che il falso in bilancio, ovvero i crac della Parmalat, della Cirio e via dicendo non sono più penali, per cui lo Stato ti chiede il pizzo su quanto hai rubato a degli incoscienti e via, sei libero di ricominciare. Ma non avere un timbro su un documento può costarti fino a 3 anni di galera. Ancora una volta, per non far sentire discriminati i cittadini stranieri a scapito degli italiani, vengono colpiti a caso anche gli italiani stessi, quelli che dovrebbero essere "difesi" dal pacchetto sicurezza. Si chiama favoreggiamento. Hai affittato la casa ad un clandestino? Vai in galera anche tu. Dai un lavoro ad un clandestino? Vai in galera anche tu. Da notare che viene punito tanto il lavoratore quanto il datore di lavoro, perché se proprio devi essere clandestino, almeno diventa un criminale, altrimenti il rischio di finire in galera aumenta.
Ora passiamo a considerare tutte le cose insieme. Poiché lo stato decide quante persone possono entrare, tutte quelle che non possono sono immediatamente carcerabili perché "clandestine" (passo 2 + passo 5). Quindi il governo decide quanta gente va incarcerata semplicemente con un decreto che regola artificialmente il mercato del lavoro. Ma non solo. Siccome sappiamo qual è la soluzione "all'italiana" del passo 1, sempre con lo stesso decreto lo Stato produce un enorme numero di carcerati già presenti sul suolo italiano. E la soluzione all'italiana sarà non provarci nemmeno a chiedere di regolarizzare qualcuno, per non correre il rischio di favoreggiamento (passo 1 + passo 5). Quindi più gente che lavorerà in nero, che non avrà né garanzie di lavoro né incentivi all'onestà, visto che è reato il semplice fatto che il Governo lo decida (passo 1+ passo 2+ passo 5). Questa gente poi non ha diritto alla salute come prima, ma ora non rischia il rimpatrio o l'espulsione: rischia la galera (passo 3 + passo 5). Per cui non si curerà e diffonderà tutte le malattie possibili in Italia, favorito anche dal fatto che non ha diritto, quando anche avesse il reddito, a una casa, sempre in virtù del passo 5. Non solo: ma si autorizzano delle persone a caso (non forze dell'ordine o altro) a girare per strada e denunciare, fra le altre cose, i clandestini, i quali ora avranno altre persone da corrompere per non finire in galera, ovvero coloro che fanno le ronde (passo 4 + passo 5). In più, siccome le ronde non hanno diritto a distintivi, divise o altro (e ci mancherebbe che lo Stato debba pure pagare dei volontari), chiunque può andare a chiedere dei soldi a un clandestino e minacciare denuncia spacciandosi per ronda. Per cui è da presumere che i clandestini, quando possibile, minaccino rappresaglie e si difendano con la violenza da uno Stato che non li vuole, non li vuole far lavorare e non ha il coraggio di cacciarli per via dell'opinione internazionale. Oppure, nel migliore degli scenari possibili, grazie al decreto flussi dobbiamo tenere in galera e mantenute delle persone che potrebbero lavorare e pagare le tasse (passo 1 + passo 5).
Si noti infine che è stata messa in dubbio l'efficacia del provvedimento dato che, non potendo una legge essere retroattiva, i clandestini entrati in Italia illegalmente sarebbero immuni dagli effetti della legge. Ciò non è esatto, dato che nel testo si dice che la norma si applica non solo a chi entri illegalmente ma anche a chi si trattenga illegalmente sul territorio italiano (come riportiamo qui sotto):
Al testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) dopo l’articolo 10 è inserito il seguente:
«Art. 10-bis. - (Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato). – 1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene nel territorio dello Stato [...]»
domenica 12 luglio 2009
ex-direttore della Nazione sospeso per 1 anno dall'ordine dei giornalisti
Il procedimento era stato aperto lo scorso 26 febbraio, dopo la pubblicazione sulla stampa di brani di intercettazioni telefoniche della Procura fiorentina che sta indagando sulla trasformazione urbanistica dell’area di Castello, di proprietà Fondiaria-Sai.
Carrassi era accusato nella sua qualità di direttore del quotidiano ‘La Nazione’, di avere violato i doveri di cui all’art. 2 della legge n. 69/1963, così come individuati dalla ‘Carta dei doveri del giornalista’ dell’8 luglio 1993, condizionando la propria attività direzionale e la funzione giornalistica agli interessi personali e a quelli del gruppo imprenditoriale con il quale era in contatto (Sai-Fondiaria), in quanto redigeva e pubblicava sul quotidiano un editoriale ispirato ai voleri e agli interessi del predetto gruppo e dimostrando disponibilità ad assecondare gli interessi di quest’ultimo, ottenendo in cambio il beneficio di un soggiorno vacanza in un villaggio turistico della Sardegna o la promessa di un soggiorno vacanza dello stesso tipo per la stagione a venire; e sollecitando un esponente del gruppo a far sì che al più presto gli venisse dato l’incarico di direttore delle relazioni esterne del gruppo imprenditoriale medesimo, così compromettendo il rapporto fiduciario tra il giornale e i lettori, il prestigio e la credibilità del quotidiano La Nazione, quella, più in generale, della stampa nonché la dirittura professionale dei giornalisti de La Nazione"
(Comunicato Stampa diffuso dal Consiglio dell'Ordine dei giornalisti della Toscana il 9 luglio 2009).