venerdì 30 aprile 2010

Monza, operaio muore schiacciato da pressa

Una pressa ha schiacciato la vita di Massimo Cambiaghi, 44 anni, all'interno della Vsp, azienda metalmeccanica quotata in Borsa con sede in via Aristotele a Brugherio (MIlano). E' la ventesima vittima sul lavoro in Lombardia dall'inizio dell'anno.

L'uomo viveva con i genitori a poche centinaia di metri dal luogo della tragedia. Vicecapo reparto, una lunga esperienza alle spalle, Paleari era alla sua postazione. In piedi, davanti a una pressa che realizza bulloni, come ogni giorno stava controllando il processo produttivo. Un malore, forse un movimento brusco, e la vittima è stata risucchiata dall'ingranaggio.

Tutto si è consumato in pochi istanti davanti agli occhi dei colleghi che sotto hanno chiamato i soccorsi. Sul posto è arrivata un'ambulanza seguita da una pattuglia della polizia locale. Ma il cuore dell'operaio aveva smesso di battere ancora prima dell'arrivo dei medici. La Procura di Monza ha aperto un'inchiesta per stabilire la dinamica dei fatti. Al momento non sono emerse violazioni in materia di sicurezza all'interno della ditta.

giovedì 29 aprile 2010

Il boss torna a casa per un permesso, applausi dalla folla sotto l'abitazione

AGRIGENTO. Torna a casa per sole tre ore, grazie ad un permesso straordinario, e il mafioso ergastolano è accolto dall'applauso di una folla, di almeno una trentina di persone, che si è radunata sotto casa per attenderlo. E' successo a Porto Empedocle, nel popolare quartiere di Ciuccafa. Lui è Salvatore Messina, 45 anni, fratello maggiore del superlatitante di Cosa nostra Gerlandino Messina, che sta scontando il carcere a vita dopo la condanna definitiva per un omicidio e un tentato omicidio commessi nell'ambito della sanguinosa guerra di mafia che si è combattutta in provincia di Agrigento negli anni Ottanta. Salvatore Messina è in carcere dal 1998 nel carcere di Prato in Toscana e nelle scorse settimane è riuscito a avere un permesso straordinario per gravi motivi familiari e ha ottenuto di potere stare con la moglie e con il figlio per tre ore.
Al suo arrivo a bordo di un cellulare della polizia penitenziaria e con la scorta armata di polizia e carabinieri, è stato accolto con un rumoso applauso. Scena che si è ripetuta tre ore dopo, quando, poco prima dell'una, è sceso per rientrare in carcere. Giusto il tempo di fare un cenno agli amici e ai conoscenti e ad altri parenti e poi Salvatore Messina a bordo del cellulare della polizia penitenziaria è tornato a Prato dove trascorrerà il resto dei propri giorni.
Solo pochi giorni un caso simile si era registrato a Reggio Calabria dove un centinaio di persone aveva acclamato il boss Giovanni Tegano, arrestato dopo 17 anni di latitanza. Dalla folla anche il grido "E' un uomo di pace"

(Repubblica Palermo, 29 aprile 2010)

martedì 27 aprile 2010

Preso boss della 'ndrangheta, in centinaia gridano: "E' un uomo di pace"

REGGIO CALABRIA - La polizia ha arrestato ieri sera a Reggio Calabria il boss della 'ndrangheta Giovanni Tegano, di 70 anni, inserito nell'elenco dei 30 latitanti più pericolosi del ministero dell'interno. Tegano è stato preso nel corso di un'operazione eseguita dalla squadra mobile di Reggio Calabria, diretta da Renato Cortese, in località Terreti. Tegano era armato e in compagnia di altre cinque persone: il genero, un pregiudicato e i proprietari dell'appartamento nel quale si nascondeva,

Davanti alla Questura questa mattina centinaia di persone, fra cui molti esponenti della estesa famiglia di Tegano. Le donne gridavano: "Avete preso un uomo di pace". Per il boss anche molti applausi. Piu' tardi, in conferenza stampa, il questore ha denunciato: "E' una vergogna, noi aspettavamo gli applausi alla polizia, invece sono arrivati quelli al boss".

Il ministro dell'interno Roberto Maroni si è congratulato con il Capo della polizia Antonio Manganelli per l'arresto di Tegano che era latitante dal 1993 è accusato di diversi omicidi ed è stato condannato all'ergastolo. La cattura di Tegano, ha sottolineato Maroni "è il colpo più duro che si potesse infliggere oggi alla 'ndrangheta essendo il numero uno dei ricercati calabresi". [Sì, ogni boss della mafia catturato sembra il Padreterno, così come i leader di Al Qaeda presi in Iraq o Afghanistan... Pare che ci siano più leader e boss che militanti, mavaffanculova, ndVolpe] Messaggio di congratulazioni anche dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.

Nella serata di ieri è stato arrestato dai Ros a Melito Porto Salvo un altro latitante di peso, Rocco Morabito, 50 anni, figlio del boss Giuseppe, detto 'u Tiradrittu'.

(la Repubblica, 26 aprile 2010)

domenica 25 aprile 2010

venerdì 23 aprile 2010

l'autosatira del PD

Davanti alla crisi del PDL negli ultimi giorni, i vertici del PD sono riusciti a partorire due frasi leggendarie per commentarla.

Pierluigi Bersani, alla domanda: "vedete all'orizzonte elezioni anticipate"?, ha risposto qualcosa tipo "per l'amor di Dio, speriamo di no".

Enrico Letta sulla faccenda ha lamentato il fatto che i litigi interni al PDL rendono più difficile la strada delle riforme.

Continuiamo a farci del male.

lunedì 19 aprile 2010

Si uccide operaio, subito dopo un'offerta per un colloquio di lavoro

E' stata la paura di non riuscire più ad arrivare a fine mese a spingere Mario Farisano a farla finita. Da un anno era in cassa integrazione, come tutti i suoi colleghi della Nuova Renopress di Budrio, azienda che produce ricambi per auto, e il futuro lo spaventava. Due figlie da mantenere, una moglie anche lei disoccupata, Mario si arrangiava cantando la sera per i locali attorno a Molinella, ma la prospettiva di un altro anno senza un vero lavoro ieri mattina è diventata insopportabile.

Così, dopo aver accompagnato la sua bambina più piccola all' asilo, è sceso in garage, ha preso la corda per saltare della figlia e si è impiccato. A trovare l' operaio, 44 anni, arrivato dalla Basilicata nella ricca Emilia più di dieci anni fa proprio per lavorare, è stato il suo vicino di casa, altro dipendente in cassa integrazione della Renopress. Lui e il cognato di Mario sono saliti all' ultimo piano del piccolo condominio di via Fratelli Rosselli, a Marmorta, frazione di Molinella, ma non c' era nessuno.

«C' è sembrato subito strano perché la sua macchina e quella della moglie erano entrambe sotto casa. Ho suonato - racconta Gerardo - ma non rispondeva. Siamo scesi in strada e il cognato di Mario ha notato le chiavi attaccate alla serratura del garage. Ho sentito un urlo: "Si è impiccato". Quando mi sono avvicinato lui era lì». A Gerardo è toccato il compito più difficile, prendere in braccio il suo amico e stenderlo a terra. Poi quando è arrivata la moglie, Ida, che stava facendo le pulizie da una signora che abita nella stessa via, l' ha abbracc iata ed è scoppiato a piangere. «Il lavoro, solo il lavoro può aver spinto Mario a fare una cosa del genere. Certo, era preoccupato, come tutti noi, ma non avevo capito fino a questo punto».

Probabilmente, in attesa del via libera del ministero per il nuovo accordo con l' azienda, questo mese e il prossimo, Mario, come altri suoi colleghi, non avrebbe ricevuto nemmeno gli 800 euro della cassa integrazione. «Non capisco. La sua era una famiglia stupenda - continua Gerardo - la moglie lo amava e le figlie lo adoravano. Sabato era andatoa suonare qui vicino, alla "Taverna del Marchese", come fa spesso. Cantava sempre, rideva, scherzava con tutti. Insieme avremmo risolto anche questo problema, perché si è arreso?». Proprio ieri mattina, mentre i carabinieri e l' ambulanza del 118 erano già in via Rosselli, a casa dell' operaio quarantaquattrenne è arrivata una telefonata.

«Ha risposto un familiare di Mario. Era un' azienda della zona che lo contattava per un colloquio di lavoro. Lui, ovviamente aveva spedito diversi curriculum, si stava guardando intorno. E' assurdo, penso che se fosse arrivata prima quella chiamata magari Mario sarebbe ancora qui».

("la Repubblica - Bologna, 17 aprile 2010)

domenica 18 aprile 2010

Suicida dopo due stupri

VITERBO - "In meno di cinque minuti mi sono travata a casa sua, a Rignano Flaminio, sul letto. Lui mi ha strappato la manica destra del maglione, i jeans e le calze. Ho cercato di difendermi. Ricordo solo il mio malessere". E' quanto ha scritto nel suo diario, il 17 gennaio 2006, la ragazza di 19 anni, sudamericana, residente a Montefiascone, in provincia di Viterbo, morta suicida nel novembre 2009 in un istituto di accoglienza dove si era rifugiata dopo l'ennesima lite con i genitori. Il suicidio era stato archiviato come un gesto scaturito dalla fine di una storia d'amore con un coetaneo. Invece dietro quel gesto disperato potrebbe nascondersi una storia di violenze sessuali, almeno due, e mai denunciate per vergogna o, forse, per paura.

A gettare una nuova, inquietante, luce sul caso è stato il diario della giovane, riprodotto allo scanner su un Cd, che pochi giorni fa, una mano ignota, ha fatto recapitare per posta ai genitori. Diario che dopo il suicidio era stato cercato invano sia dai familiari che dagli agenti della squadra mobile di Viterbo per tentare di dare una motivazione al suo gesto. In due pagine, la ragazza descrive minuziosamente due stupri che ha subito da parte di un suo conoscente, residente a Rignano Flaminio, a nord di Roma, paese nel quale viveva anche lei prima di trasferirsi a Montefiascone con i familiari. Il primo stupro era avvenuto in casa dello stesso conoscente e il secondo in un bagno pubblico a Viterbo.

"Mi sentivo male e mi sono recata in un bagno pubblico di Viterbo - scrive qualche settimana dopo la prima violenza subita - Ho vomitato. Poi è entrato lui (lo stesso giovane residente a Rignano Flaminio, ndr) ed è successo come la prima volta, ma è stato più brutale e doloroso. Ero terrorizzata al pensiero di essere rimasta incinta di quell'essere e mi sono rivolta all'assistente sociale di Villa Buon Respiro (una casa di cura di Viterbo), la quale mi ha fatto comprare un test di gravidanza che abbiamo fatto insieme. E' comparsa solo una riga rossa. Quindi era negativo. Non le ho detto quanto era accaduto. Non l'ho detto a nessuno. Anche a mia madre ho solo detto che mi ero sentita male".

Più avanti, la diciannovenne, definita bellissima dai suoi amici, descrive le difficoltà che non le hanno permesso di vivere con serenità la storia d'amore con il ragazzo che successivamente aveva conosciuto e di cui si era innamorata. Annota di essere in preda a un vero e proprio blocco psicologico dovuto alle violenze subite.

Secondo i genitori, che non hanno alcun dubbio sulla calligrafia della figlia e sull'autenticità del diario, tra gli stupri patiti e il suicidio ci sarebbe un nesso di causa-effetto. Per questo motivo hanno dato incarico al loro legale, l'avvocato Angelo di Silvio, di presentare un esposto alla procura della Repubblica di Tivoli, nella cui circoscrizione ricade Rignano Flaminio. Proprio a Tivoli, infatti, è stata incardinata l'inchiesta, in quanto la prima violenza sarebbe avvenuto appunto a Rignano Flaminio.

Nella denuncia, depositata una settimana fa, tra l'altro, sono state indicate alcune circostanze concomitanti con quanto scritto dalla ragazza. In particolare, nella tarda serata del 17 gennaio 2006, non vedendola rincasare a notte fonda, i genitori avevano dato l'allarme ai carabinieri. Il fatto è stato verbalizzato. La madre, inoltre, ricorda che la figlia tornò a casa con il maglione rotto e pallidissima. Alle sue domande rispose solo di essersi sentita male. Secondo l'avvocato Di Silvio sarebbe essenziale per l'inchiesta che venisse individuato colui o coloro che sono in possesso del diario della ragazza.

(la Repubblica - Roma, 17 aprile 2010)
 
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