sabato 5 giugno 2010

Gaza è sola

(Luigi de Magistris, 4 giugno 2010)

Quando i carro armati sovietici invasero la Cecoslovacchia, nel 1969, un bellissimo slogan affermava: “Praga è sola”. Nel 2010 è Gaza ad esserlo. Purtroppo da anni.

L’aggressione armata di Israele al convoglio di navi su cui viaggiavano pacifisti di tutto il mondo, animati dal solo intento di rompere l’embargo israeliano nella città della Striscia per portare aiuti umanitari, è una ferita profonda inferta al cammino della pace in Medioriente e in tutto il pianeta. Non solo perché ha provocato la morte di civili inermi (il fattore più grave), ma anche per il significato simbolico nefasto che essa porta in sé.

L’azione militare di Tel Aviv richiama un sentimento di impunità e tracotanza che non può essere tollerato dalla comunità internazionale da parte di nessun paese. Ci si aspettava, per questo, un atteggiamento di condanna più netto da parte dell’Onu, dell’Europa e della Nato. Invece la risoluzione approvata dalle Nazioni Unite appare debole, mancando una condanna esplicita forte verso il Governo israeliano.
Risulta poi inaccettabile che il Consiglio dei diritti umani dell’Onu abbia votato contro la risoluzione che istituiva una commissione di inchiesta internazionale su quanto accaduto. Fa male registrare che al momento del voto l’Europa si sia divisa e che il nostro Paese abbia votato, insieme agli Usa, per affossare questa unica possibilità di accertare la dinamica dei fatti, ristabilendo almeno la giustizia della verità. Molto resta infatti da capire, diciamo tutto.
Soprattutto alla luce delle denunce degli stessi pacifisti che erano sulla Freedom Flottilla, i quali hanno raccontato di aver subito violenza anche nella fase di arresto scattata dopo il blitz. Purtroppo la paura di spiacere al grande alleato americano e ad Israele (al massimo disponibile ad accettare una commissione interna, magari con la presenza di qualche osservatore internazionale) hanno spinto in direzione di una debolezza che non farà che accrescere la tensione mediorientale, creando un precedente negativo per la stabilità mondiale.
La Palestina è da anni abbandonata a se stessa e la comunità internazionale –vigliaccamente - non ha mai imposto a Tel Aviv il rispetto delle risoluzioni approvate dall’Onu nel tentativo di procedere sul sentiero tortuoso della pace. Risoluzioni che miravano anche a garantire il diritto all’esistenza e alla sicurezza dello stesso popolo israeliano, da sempre esposto alla minaccia terroristica. La Palestina deve riconoscere questo diritto, ovviamente, così come Israele deve rispettare le norme internazionali e procedere alla fine dell’occupazione del territorio palestinese e della colonizzazione delle terre nella Striscia e in Cisgiordania (rientro nei confini del ’67), favorire il ritorno dei profughi, accettare la divisione di Gerusalemme, porre fine all’embargo che da troppo tempo strangola la città di Gaza mortificando un intero popolo e acuendo il sentimento di ostilità che, purtroppo, offre asilo alle spinte terroristiche e alla degenerazione estremistica.
I palestinesi erano un popolo laico, oggi sono una comunità spostata su posizioni estreme proporzionali alla loro estrema condizione materiale e sociale di vita (negazione di una nazione, disoccupazione, penuria alimentare, impossibilità di accedere ai servizi essenziali, militarizzazione del territorio da parte di un altro stato, mancanza di strutture sanitarie e di beni primari). Nessuno vuole giustificare la violenza terroristica, ma trovare e risolvere le cause politiche e sociali da cui essa scaturisce è l’unica possibilità per stroncarla.
Per questo se oggi “Gaza è sola”, abbandonata e dimenticata, anche Israele lo è. Dal destino della prima dipende il futuro del secondo. Non c’è soluzione alternativa infatti “a due popoli, due stati”.

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