giovedì 29 luglio 2010

Scritte pro Saviano allo stadio di Casal di Principe

(di Vincenzo Iurillo, da qui)

Dieci, cento, mille, diecimila Roberto Saviano per i casalesi del clan“. Un inno d’apprezzamento per lo scrittore e per il suo impegno contro la camorra, vergato sui muri dello stadio di Casal di Principe. Le scritte sono comparse ieri pomeriggio, nella città notoriamente più ostile per l’autore di Gomorra.

Fu qui, durante una manifestazione per la legalità nella piazza di Casal di Principe, che il 23 settembre 2006 Saviano sferrò il suo attacco frontale ai boss. Ed elencando a voce alta i nomi dei capiclan Iovine, Schiavone e Zagaria, lo scrittore esclamò: «Non valete niente, ve ne dovete andare da qui».

Da allora Saviano vive sotto scorta.

Da ragazze immagine a prostitute

(Emilio Randacio, da qui)

L'Hollywood italiana si chiama Milano. Ottenere un provino, entrare nel mondo della moda, magari nella televisione, l'obiettivo che per forza di cose passa per il capoluogo lombardo. Sono tutte giovani, spesso poco più che ventenni le aspiranti veline. Possono arrivare da l'Avana, da Cracovia, Praga, Parigi, ma anche da paesini sperduti dell'Italia. Poche riescono. E, allora, vanno a caccia di un ripiego.

Bufera corruzione su Milano

C'è chi inizia mettendo le proprie curve a disposizione dell'occhio dei clienti di locali di lap dance. E se i guadagni ancora non bastano, si decide a fare la "vita". Prostitute di lusso, in mezzo a manager, personaggi dello spettacolo nei locali più alla moda della città, tra coloro che, pagando, vanno in cerca di emozioni forti.

Il video della polizia

IMMUNI ALLA LEGGE

I privé non sono altro che aree escluse ai comuni mortali, che prevedono un lusso ostentato, tra tavoli molto ben frequentati e pieni zeppi di bottiglie di champagne. "Una sorta di zona franca", li descrive l'indagine della squadra mobile. Dove i vip "si ritengono immuni e affrancati dal rispetto delle leggi" e lontani "dallo sguardo dell'opinione pubblica che, per alcuni di loro, può determinare il successo o il fallimento professionale". Lo scenario lo hanno raccontato le stesse protagoniste, al pubblico ministero Frank Di Maio. Hanno il nome di Adriana, Sonia, Jessica, Karima, Yunexy e Annarita. Sono state le loro parole a tirare giù il velo su come funzionano le cose in locali di grido, finiti ora nel ciclone di un'inchiesta penale. Due giorni fa, le discoteche Hollywood e The Club, sono state chiuse per un presunto e vorticoso giro di droga. Ma è solo l'inizio. Nelle carte messe a disposizione degli avvocati degli indagati, ecco che emerge come, ancora aperto, rimane un filone, su più punti coperto da omissis, tanto oscuro quanto delicato. È il mondo delle escort, delle donne di vita, che ruota intorno ai locali notturni più esclusivi.

SESSO PER TIRARE AVANTI
Sonia, oggi 25enne, confessa di aver "iniziato ad avere rapporti a pagamento a 19 anni". Jessica, invece, "prima faceva la ballerina di lap dance". Annarita oggi ha 25 anni e proviene dalla provincia pugliese. "Mi è capitato qualche volta di prostituirmi, in particolare quando avevo bisogno del denaro per pagare l'affitto di casa". Yunexy, cubana, ammette "di aver iniziato da circa due anni, da quando mi sono separata". Sono state arruolate come "ragazze immagine", da personaggi che ruotano intorno ai locali più in voga, soprattutto pierre. Yunexy, descrive il meccanismo: "Vado in un locale come ragazza immagine insieme ad altre ragazze a fare compagnia ai clienti dei tavoli dei privé, in particolare al The Club.... l'accordo prevede che per il solo fatto di stare al tavolo io prenda a fine serata 70 euro oltre a 30 euro per ciascuna bottiglia consumata (dobbiamo indurre i clienti a bere il più possibile). Sempre a fine serata mi vengono indicati quali clienti intendono avere rapporti sessuali a pagamento. A questo punto io mi allontano e i soldi che percepisco alla fine li tengo per me ma rinuncio a percepire il guadagno da ragazza immagine".

FESTE E COCA CON LA STAR
Karima ricorda che ad alcune "feste", erano presenti anche personaggi dello spettacolo. "Mi è capitato - ha raccontato al pm di Milano - di fare uso di cocaina insieme ad altre persone tra cui Elisabetta Canalis e altre personaggi dello spettacolo normalmente nel cosiddetto giro del The Club". Sonia riusciva a ottenere "tra i 300 e i 400 euro a prestazione". Karima, 500 euro. Yunexy, "generalmente da 250 euro fino a 1000, a seconda delle condizioni economiche del cliente".

GIOVANISSIME ARRUOLATE
Annarita, al suo racconto, aggiunge che "le ragazze sono veramente tante, di varie nazionalità. Brasiliane, cubane, rumene e italiane e tutte giovani, talune giovanissime..... venivamo mandate al tavolo con il servizio di ragazza immagine. In realtà tutte noi sapevamo che la fine della serata era quasi sempre all'interno di qualche motel o abitazione con prestazioni sessuali a pagamento. Spesso, in queste abitazioni si fa uso e consumo di cocaina". Annarita è riuscita anche a "guadagnare dai 500 euro ai 700 fissi a settimana e talvolta anche 1500".

mercoledì 28 luglio 2010

Santa Giulia, i camion nella notte scaricavano rifiuti come a Gomorra

(da qui)

Scaricavano camion carichi di rifiuti e macerie nella notte. Non è una pagina di Gomorra, il best seller di Roberto Saviano, e non siamo nell'hinterland partenopeo: siamo nei cantieri di Santa Giulia, alle porte di Milano, ed è quanto emerge dal nuovo filone dell'inchiesta coordinata dai pm Laura Pedio e Gaetano Ruta, e condotta dalla guardia di finanza, che ha disposto il sequestro preventivo dell'intera area di proprietà di Risanamento per effetto di presunte irregolarità nelle opere di bonifica.

Secondo quanto si apprende, nel corso di un interrogatorio il direttore dei cantieri per la Sadi servizi industriali (società di Giuseppe Grossi), Gianfranco Abate, solo testimone in questa inchiesta, avrebbe detto che queste manovre di scarico in notturna venivano fatte per non recare disturbo ai residenti durante il giorno con il traffico dei camion. Ma presumibilmente, sospettano gli inquirenti, per non dare nell'occhio. Del resto anche nell'ordinanza di sequestro preventivo dell'area di Santa Giulia si legge che in alcune aree "venivano eseguiti scavi con successivo riempimento non autorizzato attraverso il deposito di macerie". E in un altro settore "venivano eseguite opere di escavazione e di riporto, utilizzando macerie e scorie di acciaieria alle quali non è nota la provenienza".

Sulla vicenda è intervenuto Gaetano Pecorella, presidente della commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti: "Almeno dai dati che abbiamo potuto acquisire, anche al di fuori delle audizioni, pare vi fossero anche infiltrazioni nelle grandi società" che operavano nell'area di Santa Giulia. La commissione era arrivata già Milano, dove ha svolto una serie di audizioni con magistrati, amministratori pubblici e forze dell'ordine e ha visitato un'altra area da bonificare, quella dell'ex Sisas a Pioltello.

Su Santa Giulia, ha detto ancora Pecorella "credo siano mancati soprattutto i controlli amministrativi: arrivare a un sequestro dopo tanti anni e con di fronte un evidente inquinamento della falda acquifera vuol dire che chi sarebbe dovuto intervenire non l'ha fatto". Pecorella ha aggiunto che a intervenire, secondo lui, sarebbero dovuti essere "le autorità amministrative e la stessa Arpa", l'Agenzia regionale per l'ambiente. "E credo che anche la magistratura abbia nel suo passato una carenza di intervento. Penso sarebbe stato possibile accorgersi anche prima che qualcosa non andava".

Non c'è alcun pericolo, infine, per l'acqua distribuita a Milano: l'assicurazione arriva, dopo il sequestro dell'area Santa Giulia per l'inquinamento della falda acquifera, dalla Metropolitana Milanese, la società che gestisce il servizio idrico integrato. "Metropolitana milanese - spiega l'azienda in un comunicato - assicura che l'acqua distribuita per il consumo umano in città è indenne da ogni contaminazione".

martedì 27 luglio 2010

Malmenava l'anziana malata di Alzheimer arrestata una badante a Massa Carrara

(da qui)

Una badante italiana, responsabile di maltrattamenti aggravati ai danni di una settantacinquenne malata di Alzheimer, presso cui svolgeva le proprie mansioni, è stata arrestata in flagranza dagli agenti della Polizia di Massa Carrara e della Sezione Polstrada di Massa.

L'operazione è iniziata dopo la segnalazione dei parenti dell'anziana donna agli agenti di Massa che hanno provveduto a svolgere le indagini. Per evidenziare il comportamento della badante, erano state installate anche alcune micro-telecamere presso l'abitazione della vittima.

IL VIDEO

Le immagini hanno mostrato diversi episodi di maltrattamenti ai danni dell'anziana signora, inflitti dalla giovane badante che non esitava a colpirla con schiaffi e colpi in varie parti del corpo, anche mentre mangiava e riposava. Particolarmente crude e toccanti le immagini riprese dall'impianto di registrazione, in cui si vede l'anziana donna percossa ripetutamente dalla badante.

La coca, Belen e le altre: chiusa la Milano da sniffare

(Michele Serra, da qui)

Trovare cocaina in una qualunque città italiana è come cercare paglia in un pagliaio. Se poi il pagliaio è la Milano notturna, niente stupisce di meno di una mezza retata nei locali più in voga. Con gestori in manette e dive televisive che si accusano a vicenda.

Si accusano di un vizio che nessuna di loro è più in grado di riconoscere tale, tanto ordinario è diventato il consumo di un alcaloide che serviva agli andini per reggere il freddo e la fame, e oggi serve agli occidentali per simulare giornate di quarantott'ore, senza sonno e senza requie.

La cocaina è diventata endemica in tutti quegli ambienti, quelle vite, che gonfiano a dismisura i loro obiettivi e il loro rendimento. Della vecchia cultura trasgressiva a cavallo della quale tutte le droghe o quasi fecero il loro trionfale ingresso in Occidente, non rimane più niente. Non serve più farneticare di "viaggi" o dilatazioni della coscienza o tigri nel cervello, sniffare è un consumo di massa come l'alcol, come il porno, come qualunque cosa che si possa comperare. Il fatto che la si vada a sniffare al cesso è il residuo strascico di un ordinamento proibizionista inapplicabile, come voler fermare il mare con una mano.

La movida milanese, a ridosso di negozi strafichi e di nuovi cantieri dai cento piani in su, con il riverbero della moda e del lusso che occhieggia da ogni androne e da ogni macchinone parcheggiato in tripla fila, è un vero e proprio classico di una società in fuori giri. I protagonisti sono di quel circo immobile che da una quindicina, forse una ventina d'anni, incarna lo status sociale più ambito anche da larghi strati popolari: calciatori, veline, indossatrici, attori, agenti di spettacolo, e giovani ambosessi smaniosi di entrare nel giro giusto, favoriti dallo smisurato abbassamento dei parametri necessari per essere promossi "vip". Ieri solo le star del cinema, i playboy, le ereditiere, pochi e irraggiungibili, dai vizi costosissimi, oggi quasi chiunque riesca ad allargare i gomiti per rubare uno spicchio di inquadratura, un quarto di pagina di rotocalco.

La distribuzione democratica e quasi di massa della speranza di diventare famosi non è senza prezzo. Diffonde ansia, rende insopportabili i tempi di attesa, crea tipi e tipe nervosi e disposti a qualunque scorciatoia. La cocaina è la benzina di questa umanità che si sente in ascesa anche se è in coda nel cesso di un locale, subito dietro un centravanti e davanti a una modella. Per imitazione, è poi la droga di chiunque cerchi di addentare lo status presunto brillante, presunto tosto, del giovane che vive intensamente. Fior di operai, impiegati, commesse, tutti bravi ragazzi e figli di famiglia, la prendono anche per non sentirsi da meno dei loro coetanei inseguiti dai paparazzi.

Uno degli antidoti possibili, forse il più potente, sarebbe registrare, con un improvviso sussulto della percezione, quanto tutto questo sia tragicamente conformista. Così, a occhio e croce, siamo ancora molto lontani da quel giorno. Nelle movide (non solo milanesi) il tempo per riflettere non è dato, e anzi: hanno un successo travolgente soprattutto perché aiutano a non farlo. Riempire il tempo, ogni nicchia di tempo, di stimoli, impulsi, godimenti, soffoca il tempo, gli impedisce di lievitare.

domenica 25 luglio 2010

Spresiano (TV): la gente protesta, via i gay dal Piave. Il sindaco: «Sono malati, si curino»

(Angela Pederiva, da qui)

Una crociata per ripulire il greto del Fiume sacro alla patria, ridotto a un’alcova per amplessi gay. Arrivando dalla Marca, si potrebbe pensare che l’iniziativa riguardi Giancarlo Gentilini, lo «sceriffo» che, invocando la «pulizia etnica» degli omosessuali, scatenò a Treviso un mega kiss-in. Invece è il sindaco di Spresiano, leader di una lista civica sostenuta dal Pd che vede all’opposizione i simboli ufficiali di Lega e Pdl, a comandare l’offensiva contro quello che definisce «un degrado morale inaccettabile» da combattere a colpi di pattuglie «tutta l’estate e tutte le notti». Per la verità gli agenti del consorzio di polizia locale «Piave» erano in azione anche ieri, come peraltro avviene già da tempo, nell’area golenale interessata dagli incontri clandestini. A ogni modo è un’operazione prettamente estiva quella messa a punto nel pomeriggio in municipio, nel corso di un vertice fra l’amministrazione comunale, gli agenti consortili e i carabinieri, d’intesa pure con la questura. «Controlli coordinati tra le varie forze dell’ordine per tutta la settimana, dal 22 luglio e fino al 22
settembre», riferisce l’assessore alla Sicurezza Giancarlo De Nardi, leghista della prima ora ancorché senza più tessera, al punto da far parte di una maggioranza «trasversale agli schieramenti e basata sui valori».

Un termine, «valori», che ripete spesso il primo cittadino Riccardo Missiato (unico precedente partitico: «Assessore della Dc a Maserada sul Piave, ma era il 1978»), nello spiegare il senso di una battaglia contro un fenomeno dettagliatamente illustrato sul web. Come si legge in numerosi siti, il punto di ritrovo è fissato nei pressi del viadotto dell’A27, vicino al monumento in onore dei Caduti. Dopodiché basta seguire la scia di preservativi usati, confezioni vuote di profilattici, guanti e salviettine, per arrivare agli anfratti dove si consumano i rapporti notturni. «Ma anche diurni - precisa l’assessore De Nardi - qualche ragazzino si è trovato circondato in pieno giorno da due o tre uomini che hanno eloquentemente manifestato le loro intenzioni. Vogliamo mettere fine a questo scempio.. La gente protesta». Ecco allora i pattugliamenti no-stop fino al termine dell’estate, mirati anche a contrastare il mercato del sesso che fiorisce ogni notte sulla Pontebbana, attraverso le offerte dei viados. «Non voglio giudicare nessuno - premette il sindaco Missiato, che pur non volendo «essere come Gentilini» ne ammira «tante qualità» - ma sono contro il malcostume. Può essere che qualcuno si offenda, allora io rispondo che rispetto tutti. Ma devo anche far rispettare la legge, per cui chi va fuori dalle regole e dal buon senso dev’essere allontanato ». Sui gay il primo cittadino ha idee destinate ad alimentare polemiche. «Sono delle persone ammalate - afferma - devono essere comprese e posso comprenderle. Però non possono offendere, andando ad occupare un territorio dove ci sono persone che non sono della loro stessa tendenza. Devono farsi curare, se sono curabili, altrimenti devono stare dentro le loro mura, perché non possono invadere la libertà altrui».

sabato 24 luglio 2010

Incredulità a Farra d'Isonzo, il paese dove abitava l'uomo che ha ucciso due escort

(Greta Sclaunich, da qui)

Dolce. Ramon Berloso, il serial killer delle prostitute, la sua prima fidanzatina se lo ricorda così: dolce, serio, tranquillo. Un ragazzo normale, non il mostro arrestato ieri che ha già ammesso l’omicidio di due escort nella campagna friulana. Lo descrivono allo stesso modo anche i suoi vicini e conoscenti di Gorizia, Farra d’Isonzo e Aiello. Una persona tranquilla, riservata. Uno che non dava nell’occhio, che si faceva gli affari propri e stava sempre per conto suo.

UNA VITA RISERVATA - «Ci siamo conosciuti quando, da Gorizia, si è trasferito a Farra - racconta ancora la donna -. Abitavamo vicini, siamo stati insieme per tre anni quando ne avevamo circa 16, nel 1990». Una coppia normale: lei - che dopo il clamore suscitato dalla vicenda vuole restare anonima - già lavorava; lui era stato prima assunto in un’officina meccanica e poi in una ditta che installava ascensori. Appassionato di moto e motorini, nel tempo libero trafficava con chiavi inglesi e carburatori. Usciva poco a Farra, non frequentava i bar del paese, non giocava a calcio nella squadra locale: i giovani lo conoscevano solo di vista. Di lui e del suo passato, però, si sapeva tutto: la mamma, Gloria, lo aveva avuto a vent’anni da padre sconosciuto. Cresciuto insieme alla mamma e al suo compagno, era molto legato al nonno materno. Una famiglia dignitosa e molto unita, anche se negli ultimi anni le strade si erano divise. Tanto che zio Walter ha scoperto solo ieri, dai giornali, che il suo serio e posato nipote si era confessato serial killer di prostitute.

IL PRECEDENTE - Non era la prima volta: Ramon era già stato condannato nel 1993 per la morte del 18enne Alessandro Paglavech. Sei anni e otto mesi con l’accusa di omicidio preterintenzionale e sequestro di persona. Lui prima accusò due amici, Massimiliano Spangher e Roberto Ventura, dicendo di aver solo assistito a quella che in origine doveva essere una spedizione punitiva ai danni di Alessandro. Poi si rimangiò tutto e confessò il delitto ottenendo uno sconto sulla pena. Chi aveva davvero ucciso Paglavech, morto per asfissia nel fango di una pozzanghera nei campi di Farra, Ramon ai suoi cari non volle dirlo mai. «Gliel’ho chiesto tanto volte, non ha mai voluto dire la verità. Né a me, né a sua madre», ricorda la sua prima fidanzata. Nessuno in paese, all’epoca, si era sentito di condannarlo del tutto: si pensava ad un errore, ad una bravata finita male. Ma ormai Ramon era cambiato: «Schivo, freddo, scorbutico. La nostra storia però continuava: andavo a trovarlo in carcere, ci scrivevamo lettere. Poi ho incontrato un altro, gliel’ho scritto, ha reagito bene: ci siamo lasciati di comune accordo, senza drammi né litigate». Lei, come tanti altri, si ripete che non è possibile, che quel crudele assassino capace di uccidere due ragazze a colpi di balestra dopo averle stordite a bastonate non può essere Ramon, il suo Ramon.

IL SILENZIO SOTTO IL VIADOTTO - Ma nel Goriziano la gente preferisce non farsi troppe domande e dimenticare in fretta. Sotto il viadotto sul torrente Torre, dove ha sepolto i corpi, tra i campi di soia e di granoturco dove i giovani si appartano e le famiglie vanno a pedalare la domenica, non c’è nessun curioso. Solo il silenzio e i rumori della vicina cava di ghiaia.

Arabo fa sesso consensuale con un'ebrea, colpevole di stupro

(Alice Castagneri, da qui)

Si erano conosciuti a Gerusalemme nel settembre del 2008. Lui, 30 anni, le aveva detto di volere una relazione seria. Lei si era fidata di quel ragazzo ebreo che forse le avevo promesso l'amore. La loro storia sarebbe potuta finire con un lieto fine e invece non è andata così. Sabbar Kashur, infatti, ha sempre mentito su tutto. Per prima cosa sulla sua identità. Non un ebreo, ma un arabo. Questa la menzogna più grande che le ha raccontato. La ragazza, però, ignara di ogni cosa ha fatto sesso con Sabbar. Ma, una volta scoperte le sue origini, ha deciso di sporgere denuncia per violenza sessuale. Conclusione: il giovane è stato condannato a 18 mesi di carcere per "stupro con inganno".

Come riporta il Guardian, Tzvi Segal, uno dei giudici che si sono occupati del caso, ha detto che il rapporto è stato "consensuale", ma ha aggiunto che, anche se non si è trattato della "classica violenza", la donna è stata stuprata. Se, infatti, avesse saputo la verità non avrebbe mai acconsentito alla relazione. Per il giudice il sesso c'è stato perchè ottenuto con le bugie: «Sapendo che aveva di fronte un arabo e non un ebreo alla ricerca di una storia d'amore, non avrebbe accettato». Il verdetto della Corte è stato severo: niente comunità, ma una pena più dura. «Siamo obbligati a proteggere i cittadini dai criminali che ingannano le loro vittime, corrompendone corpo e anima. Quando viene a mancare la fiducia tra le persone, la Corte deve schierarsi dalla parte degli innocenti. Dobbiamo salvaguardare il loro benessere ed evitare che siano manipolati ed ingannati», ha detto Segal.

Dopo il verdetto in Israele è scoppiata la polemica. Gli arabi costituiscono il 20 per cento della popolazione, ma le relazioni sentimentali con gli ebrei sono davvero rare. C'è ancora poca integrazione e gli arabi vengono discriminati. Qualcuno insinua che se fosse successo il contrario non sarebbe andata a finire così: «Se un ragazzo ebreo avesse mentito e fatto sesso con una musulmana cosa sarebbe accaduto?». Intanto a Gerusalmme è stata fatta una proposta di legge che richiede ai cittadini israeliani di giurare fedeltà allo Stato di Israele e alla sua natura ebraica. Molti musulmani avrebbero serie difficoltà a dichiarare lealtà ad uno Stato che li esclude. La norma sta ricevendo numerose critiche. Dan Meridor, deputato del governo Netanyahu, è fortemente contrario: «La maggioranza non deve ricordare alla minoranza che è una minoranza».

venerdì 23 luglio 2010

La denuncia del procuratore di Pavia: "La mafia è anche qui"

(intervista de "la Provincia Pavese", da qui)

«La mafia a Pavia esiste, ma il fenomeno non si manifesta come in altre Regioni. Le infiltrazioni della "piovra" qui avvengono a livello del tessuto sociale, con aspetti meno evidenti, e questo rende più difficile anche il lavoro degli inquirenti». Il procuratore di Pavia, Gustavo Cioppa, smentisce, comunque, che in Procura siano arrivate segnalazioni sulla presenza di organizzazioni criminali sul territorio e non siano state prese in considerazione.

Il procuratore Cioppa risponde alle notizie circolate in questi giorni su un presunto dossier della commissione antimafia del Comune che sarebbe stato inviato in Procura. «Un equivoco», chiarito dallo stesso Sergio Maggi, consigliere comunale e componente della commissione. E Cioppa aggiunge: «Nessuna segnalazione è arrivata dalla commissione negli ultimi due anni. Va anche precisato che tutte le notizie riguardanti la presenza della criminalità organizzata sono di competenza della Procura distrettuale antimafia. La stessa legge ci impedisce di fare indagini sui reati di stampo mafioso».

Cioppa, questo significa che in Procura a Pavia non sono mai arrivate denunce su vicende legate alla presenza della criminalità organizzata?
«Sono stati aperti dei procedimenti, ma sono stati subito inviati alla Procura distrettuale antimafia».

Può fare un esempio?
«Quando ci fu l'arresto di Francesco Pelle, ricoverato alla Maugeri sotto falso nome, la Procura di Pavia iscrisse un procedimento per favoreggiamento a carico di ignoti. Il fascicolo fu aperto d'ufficio, quindi su iniziativa dei nostri magistrati».

Che fine ha fatto quell'indagine?
«Poiché era configurabile l'aggravante mafiosa, cioè il reato poteva essere stato commesso per agevolare un'associazione di tipo mafioso, il fascicolo è passato alla Procura distrettuale antimafia».

L'indagine della Dda di Milano ha creato molta agitazione a Pavia. Da quello che scrivono i magistrati la 'ndrangheta sembra avere messo le mani sul nostro territorio..
«La mafia esiste, il fenomeno non si può ignorare, ma non c'è un controllo "militare", come in altre regioni d'Italia. Le manifestazioni del fenomeno, nella nostra città, appaiono diverse da altre zone, meno eclatanti».

A cosa si riferisce esattamente?
«Ci sono dei reati per così dire "tipici" del fenomeno mafioso, come gli episodi di usura, le estorsioni, i danneggiamenti alle auto, che vengono incendiate per ritorsione, ma anche le richieste di pizzo ai commercianti. A Pavia questo non c'è. Le infiltrazioni sono, piuttosto, nel tessuto sociale cittadino».

Però episodi di usura vengono segnalati anche da noi..
«Ma non sono necessariamente legati alle organizzazioni criminali. Lo dimostra anche il fatto che le vittime denunciano. L'omertà, invece, è tipica della mafia».

Questo vuol dire che possiamo stare più tranquilli che in altre città?
«Affatto. Questa modalità di infiltrazione è altrettanto pericolosa, perché più difficile da ricercare in assenza di manifestazioni evidenti. La Procura distrettuale antimafia, che è dotata di strumenti e personale investigativo specializzato, può con più efficacia interpretare questi fenomeni e attribuire ad associazioni di stampo mafioso condotte che, se prese singolarmente, potrebbero apparire di criminalità comune».

Gheddafi chiude i centri di permanenza. Liberi migliaia di immigrati

(Corrado Giustiniani, da qui)

Adesso è tana libera tutti. Gheddafi ha deciso non soltanto di porre fine alla detenzione dei 205 eritrei rinchiusi nel carcere di Braq, ma di tutti gli stranieri trattenuti nei 18 centri di permanenza temporanea del paese: circa 3 mila persone, fra i quali altri 200 eritrei, e poi somali, sudanesi, nigeriani e nigerini. Tutti avranno un documento per circolare all’interno della Libia, della validità di tre mesi: non saranno le ambasciate a fornire i dati, ma gli immigrati stessi, con una loro dichiarazione.

La conferma data in Italia
Le voci di una imminente liberazione complessiva si erano già diffuse nel pomeriggio del 13 luglio: Laurence Hart, reponsabile dell’ufficio di Tripoli dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) aveva rivelato che l’ordine era stato appena emesso dal ministero degli Interni libico. Ma la notizia era forse troppo grossa, per essere “creduta” dai media. Ieri, però, è giunta la conferma di Hafed Gaddur, ambasciatore della Libia a Roma. Dal 16 luglio, ha dichiarato all’Ansa, “non ci sono più in Libia centri di accoglienza per immigrati, e tutti coloro che vi erano ospitati sono liberi, avranno documenti temporanei di riconoscimento e potranno reinserirsi nel tessuto sociale, trovando lavoro e alloggio”. Come si spiega l’improvvisa decisione? Con il fatto che queste migliaia di persone sono oggi “un peso”, e la Libia “non si farà più carico di dar loro da mangiare a da dormire”. Libero di lavorare chi vuole, mentre “chi non vuole può tornarsene nel suo paese”. Ma tutti “devono rispettare le leggi della Libia” che, su 5 milioni di abitanti, dà già lavoro a 2 milioni di immigrati: “Una situazione non semplice da sostenere”.

Rischio emergenza umanitaria
La notizia ha aspetti positivi ed altri ancora oscuri e inquietanti. Da oggi Italia ed Europa hanno tre mesi di tempo per assumere un’iniziativa concreta a favore di chi invoca l’asilo politico. Dei 205 eritrei rinchiusi per 17 giorni nel carcere di Braq, in particolare, almeno la metà erano stati respinti in mare l’anno scorso dalle nostre motovedette, mentre cercavano di raggiungere l’Italia per ottenere lo status di rifugiati. Lo rivelano alcune testimonianze di eritrei raggiunti al cellulare, tra i quali uno che si fa chiamare Daniel, e un filmato di cui è entrato in possesso Il Manifesto. Altro dato di rilievo: Gheddafi sembra aver rinunciato al progetto, annunciato in pompa magna soltanto dieci giorni fa, di identificare i migranti attraverso l’ambasciata eritrea a Tripoli, col rischio di esporli a rischi mortali, essendo quasi tutti disertori fuggiti dal fronte di una guerra ufficialmente cessata da dieci anni, quella con l’Etiopia, e di scatenare rappresaglie contro le loro famiglie. Del resto i ragazzi di Braq erano stati imprigionati proprio per essersi ribellati il 29 giugno alla firma di un consenso all’identificazione.

Destinati allo sfruttamento
Ma che accadrà una volta scaduto il documento temporaneo? Se non avranno trovato una sistemazione lavorativa adeguata, ottenendo così un permesso di soggiorno in sanatoria, verranno arrestati o espulsi. Fin da ora, dunque, saranno disposti ad accettare lo sfruttamento lavorativo più feroce. Probabilmente già nelle prossime settimane si rimetteranno in mano ai mercanti di vite umane, per tentare di raggiungere l’Europa, attraversando un Mediterraneo che, secondo i dati di Fortresse Europe, dal 1988 ad oggi ha già mietuto 15 mila vittime.
D’altra parte l’Europa non ha molte carte da giocare. La Libia non aderisce alla convenzione di Ginevra del 1951. Aveva ammesso per anni il personale dell’Onu per i rifugiati ma ai primi di giugno ha imposto la chiusura dell’ufficio, per riaprirlo a mezzo servizio adesso, a condizione che l’Onu affronti soltanto i casi del passato e non i nuovi. “Non siamo nemmeno in grado di confermare se la notizia della liberazione sia vera” ammette Laura Boldrini, portavoce italiana dell’Unhcr. E l’ambasciatore a Roma Hafed Gaddur avvisa: “Non permettiamo a nessun Paese, amico o no, di intervenire nei nostri affar interni ”. Ma Fortresse Europe lancia lo stesso un appello: “Basterebbe che ogni paese europeo si dichiarasse disponibile ad accogliere dieci eritrei, e già sarebbero 270 persone alle quali eviteremmo di rischiare la vita in mare”.

Neanche uno spicciolo in tasca
I ragazzi di Braq, intanto, sono stati trasportati alla mezzanotte del 15 luglio dal carcere al centro di detenzione di Sebha, 800 chilometri a sud di Tripoli, dove venerdì mattina sono stati rilasciati con quel documento di identità valido per tre mesi su tutto il territorio libico. Ma nessun taxista accettava di caricarli. I pochi che si sono lasciati convincere, hanno dovuto poi fare marcia indietro una volta giunti ai posti di blocco della polizia, che non era stata ancora informata delle novità. La maggior parte non ha uno spicciolo in tasca, e per mangiare si affida al buon cuore dei cittadini. La nuova vita da liberi è cominciata in salita.

giovedì 22 luglio 2010

I debiti di Bertolaso prosciugano L'Aquila

(Eleonora Martini, da qui)

«Non ci sono più soldi per coprire i debiti contratti durante il periodo dell'emergenza terremoto». Proprio così. Il capolavoro di efficienza che ha reso il capo della Protezione civile Guido Bertolaso famoso nel mondo a rischio di esportabilità, il primo e più consacrato dei miracoli aquilani, ha lasciato in eredità agli abruzzesi un mare di debiti. E un problema non da poco nelle mani del commissario straordinario Gianni Chiodi, presidente della regione Abruzzo e fedele berlusconiano succeduto al sottosegretario più potente d'Italia, che ieri - dopo l'ennesimo Sos lanciato dal sindaco Massimo Cialente che minaccia lo sciopero della fame e anche le dimissioni «perché la situazione è insostenibile» -ha dovuto scaricare la patata bollente. E ammettere: «Non ci sono più fondi, per questo ho chiesto per venerdì al ministro Tremonti un incontro sui debito contratti nella fase emergenziale» gestita dal Dipartimento di Protezione civile.
Albergatori infuriati sul litorale abruzzese che minacciano di buttare fuori entro la fine del mese i 3.127 sfollati aquilani (secondo i dati ufficiali diffusi ieri dalla struttura commissariale) ospitati finora, come è successo ad Alba Adriatica dove un operatore che ha accumulato debiti per oltre 500 mila euro chiede ora l'immediato saldo pena lo sfratto dei terremotati (ma non ha ottenuto l'appoggio della Federalberghi). Piccole ditte edili in bancarotta, alle prese con i pignoramenti per i mancati pagamenti dei puntellamenti e delle opere di messa in sicurezza; migliaia e migliaia di persone (29.179) a rischio di un secondo esodo perché da più di sette mesi non ricevono il contributo statale per l'autonoma sistemazione. Un buco di ameno 350 milioni di euro che Chiodi rischia di dover coprire prelevando dai fondi destinati alla ricostruzione (stanziati due milioni di euro, ma ancora non disponibili). Un disastro. Ma non per tutti: i soldi non mancano per le imprese che hanno lavorato al progetto C.a.s.e., nei villaggi di Map (Moduli abitativi provvisori), e nell'assemblamento dei Musp (gli equivalenti moduli in legno adibiti ad aule scolastiche). «Al loro pagamento pensa direttamente il Dipartimento di Protezione civile», spiegano i funzionari della Regione. Un osso - uno dei più grossi giri d'appalti senza gara degli ultimi anni in Italia - che ovviamente Bertolaso non molla, dopo le inaugurazioni in pompa magna, le passerelle, gli applausi, la gratitudine.
Ma per l'albergatore "ribelle" di Alba Adriatica la colpa è degli enti locali perché «fin quando c'era la Protezione civile i soldi arrivavano». «Non è vero - ribatte Cialente - la realtà è che gli stanziamenti sono fermi: dal mese di novembre non è arrivata più una lira, poi solo una tranche da 122 milioni di euro con cui abbiamo dovuto pagare una marea di debiti pregressi, perciò oggi con gli albergatori abbiamo ancora un buco di 70 milioni di euro».
Il sindaco Pd, sull'orlo di una crisi di nervi per «un consiglio comunale tenuto sotto scacco da un'opposizione fatta di guerriglia e trabocchetti» - accusa - minaccia le dimissioni perché «una città in una condizione così drammatica ha bisogno di un sindaco ma anche di un governo consiliare. Che non c'è». La sua giunta ha subito numerosi rimpasti, per ultimo l'ingresso dell'ex presidente della provincia Stefania Pezzopane che si è aggiudicata ben 12 deleghe. Mentre nelle fila dell'opposizione si è trasferita anche Rifondazione comunista che abbandonò la giunta dopo il terremoto, quando Cialente mostrava tutta la sua debolezza e subalternità alle imposizioni disastrose della coppia B&B.
Eppure il primo dei segretari di partito che ha risposto all'invito del sindaco è stato proprio Paolo Ferrero che ieri si è recato all'Aquila per fare il punto della situazione e incontrare Cialente e i comitati cittadini. Domenica, invece, sarà la volta di Francesco Storace. «Siamo stati a fianco dei terremotati fin dal primo giorno, con le Brigate di solidarietà e offrendo sempre la nostra massima collaborazione nel proporre soluzioni giuste, ma anche nel denunciare gli errori che oggi purtroppo appaiono in tutta la loro evidenza», racconta Ferrero a fine giornata. Di politica, il sindaco Pd e il segretario comunista, non hanno parlato. Solo di come far ripartire la città, «visto che il governo non ha alcuna intenzione di ricostruirla», attacca Ferrero. «Con Cialente e i comitati - continua - è partita l'idea di una legge di iniziativa popolare da portare in parlamento; abbiamo dato la massima disponibilità a collaborare per stendere il testo e per raccogliere le firme in tutta Italia. È l'unico modo di aiutare un processo di partecipazione dal basso». L'opposizione? «Il problema non siamo noi - ribatte Ferrero - ma un Pd spaccato, che a metà è rimasto subalterno ai diktat del governo. È successo anche a livello nazionale: Pd e Idv non hanno avuto il coraggio di contrastare scelte nefaste come il piano C.a.s.e., in piena santificazione di Bertolaso. Ora bisogna avere il coraggio di andare oltre. E la cartina di tornasole sarà questa legge di iniziativa popolare. Vediamo chi la appoggerà».

Si può dir male di Emergency?

(Riccardo Chiaberge, da qui)


Di Afghanistan, qui da noi, si parla soltanto quando ci lascia (o rischia di lasciarci) la pelle qualcuno dei “nostri ragazzi
”, come è accaduto ancora in questi giorni, o quando qualche reporter o medico italiano viene arrestato dalle forze governative o rapito dai talebani. Per il resto, sulla intricata matassa di quel lontano paese regna l’ignoranza più assoluta, e i media non fanno molto per colmare il gap. Ragione di più per leggere il bel libro di Emanuele Giordana, Diario da Kabul. Appunti da una città sulla linea del fronte (ObarraO edizioni, pagg. 118, euro 10,00): non tanto un’inchiesta sulla genesi di una guerra senza fine, quanto un tentativo di sfatare miti e luoghi comuni sulla realtà di un popolo e di raccontare in presa diretta la tormentata convivenza tra afghani e occidentali.

Giordana conosce l’Afghanistan come le sue tasche, ne ha seguito le drammatiche vicende politiche da trentacinque anni, e il suo stile di reportage, asciutto, rigoroso, a tratti ironico, sempre alieno da ogni retorica, aiuta a comprendere risvolti poco noti del cosiddetto intervento “umanitario”. Apprendiamo per esempio che il rapporto tra cooperazione e missione militare mostra per tutti i paesi dell’alleanza un’enorme disparità. Nel caso dell’Italia, se nel 2006 per l’azione civile sono stati stanziati 49,5 milioni di euro, alle truppe ne sono andati 321. La forbice è cresciuta negli anni successivi, toccando 65,3 contro 455 milioni nel 2009, e nel 2010 è destinata ad aumentare ancora. Stiamo parlando di fondi pubblici, di soldi dei contribuenti, e forse invece di suonare le fanfare di un patriottismo di maniera e di raccontare la favola degli “italiani brava gente” sarebbe il caso di discutere come è meglio impiegare questi denari, soprattutto nell’ottica di una ricostruzione del paese.

Ma Giordana è un giornalista onesto, e non risparmia neppure le Ong, a cominciare da quella di Gino Strada. “Se non ci fosse Emergency bisognerebbe inventarla – scrive Giordana – ma non è tutto oro ciò che luccica”. Malgrado la sua immensa popolarità presso il grande pubblico, Strada non è esente dalle critiche dei suoi colleghi. “Due sono i punti oscuri del lavoro pur prezioso di Emergency. Il primo è che è una Ong molto schierata. Troppo. Dalla parte delle vittime, d’accordo, ma col rischio di venir meno ad alcuni imperativi umanitari: l’imparzialità e la neutralità…”. “L’altro neo – continua Giordana – è che almeno in Afghanistan Emergency opera fuori dal sistema sanitario nazionale in nome di un’autonomia dai governi che è il suo cavallo di battaglia. Gestisce insomma degli ospedali privati, contravvenendo un principio sacrosanto di cooperazione che dovrebbe mirare a non sostituirsi mai al sistema di sanità pubblica del paese”. Sono critiche giuste, o dettate solo dall’invidia? Sta di fatto che il malumore cresce tra i medici afghani e occidentali a Kabul. Il problema esiste, è inutile nasconderlo dietro le magliette con la scritta “Sto con Emergency”. Giordana non è certo sospettabile di simpatie per Frattini o per La Russa, è da sempre amico e sostenitore delle organizzazioni umanitarie, ha perfino lavorato nelle loro file in vari paesi del terzo mondo. Proprio per questo, vale la pena di ascoltarlo anche quando osa parlar male di Garibaldi.

mercoledì 21 luglio 2010

La salute dei cittadini, lo sporco della politica

(Peter Gomez, da qui)

La storia della falsa bonifica di Santa Giulia a Milano è emblematica dei rischi che corrono i cittadini quando la politica si trasforma in un comitato di affari.

Se davvero saranno dimostrate le accuse che hanno portato al sequestro di parte dell’area dove la società Risanamento (sic!) dell’immobiliarista Luigi Zunino ha costruito – anche con soldi pubblici – un intero quartiere, si arriverà alla plastica e terrificante rappresentazione di come i reati non convengano alla collettività.

Oggi l’Arpa, l’agenzia regionale per l’ambiente, che pure invita i residenti a non farsi prendere dal panico, ci dice che molti metalli pesanti, potenzialmente cancerogeni, sono finiti nella falda. E i magistrati ci spiegano che da lì arriva l’acqua che finisce nei rubinetti dei milanesi.

Non è un caso. Perché a bonificare la zona, che un tempo ospitava gli stabilimenti della Montedison, sono state le aziende di Giuseppe Grossi, un imprenditore diventato multimiliardario nel giro di una ventina d’anni, in ottimi rapporti di amicizia con tutti i vertici della politica lombarda.

Sulla sua agenda figuravano i nomi di Paolo e Silvio Berlusconi, quello del ministro dell’Istruzione Maria Stella Gelmini e di Roberto Formigoni, quello di Mario Resca – il super consulente del ministro dei Beni Culturali Sandro Bondi – e quelli di alcuni amministratori pubblici del centrosinistra. Tutta gente che Grossi frequentava abitualmente e che, a volte, portava con sé in memorabili battute di caccia o faceva salire sul suo elicottero per volare con loro sino ad esclusive piste di sci.

Grossi è stato arrestato per la prima volta nell’ottobre del 2009. Grazie agli appalti per la bonifica di Santa Giulia aveva accumulato all’estero molti milioni di euro di fondi neri. E, seguendo le tracce del denaro, gli investigatori hanno fatto due scoperte.

La prima: il re delle bonifiche ha acquistato orologi per 6 milioni di euro poi regalati a politici di cui non ha mai voluto rivelare il nome.

La seconda: parte del tesoro di Grossi è stato riciclata a Montecarlo su un conto di Rosanna Gariboldi, la moglie del potente deputato pavese, Giancarlo Abelli. L’onorevole Abelli è uno dei candidati sostenuti dalla ‘ndrangheta (lui dice a sua insaputa) alle ultime elezioni regionali. E sul deposito (non dichiarato al fisco) aperto dalla moglie a Montecarlo, aveva pure lui la firma.

Nonostante tutto questo, nessuno nel suo partito lo ha chiamato a rapporto o ha avviato la procedura per la sua espulsione.

Da oggi però gli elettori possono rendersi conto a quali rischi per la loro salute questa mala-politica li abbia sottoposti.

È evidente, infatti, che se gli amministratori pubblici vanno a braccetto con chi fa affari sul territorio, e accettano favori o regali, molto difficilmente sapranno esercitare fino in fondo i loro poteri di controllo. È così i tipi come Grossi avranno mani libere. Sempre.

Perchè a dover essere bonificati non sono solo i terreni. A Milano, ma non solo, c’è un’intera classe politica da ripulire. Prima che sia troppo tardi.

domenica 18 luglio 2010

Borsellino, in pochi partecipano alla marcia delle agende rosse

Meno di un centinaio di persone ha partecipato al corteo organizzato, alla vigilia dell'anniversario della strage di via D'Amelio, dal "Popolo delle Agende Rosse", il Movimento che fa capo a Salvatore Borsellino, fratello del giudice assassinato insieme alla scorta 18 anni fa.

La manifestazione è partita da via D'Amelio per raggiungere il castello Utveggio, luogo che, secondo una tesi investigativa, avrebbe ospitato la sede del Sisde e da cui sarebbe partito l'ordine di far esplodere l'autobomba usata nella strage. E' uno degli appuntamenti organizzati per commemorare la figura del giudice ucciso. I partecipanti hanno marciato sventolando un'agenda rossa, per ricordare il diario del giudice Borsellino, sparito dopo l'eccidio, diventato simbolo della verità negata sulla strage di via D'Amelio.

Nell'agenda il giudice potrebbe avere appuntato, secondo gli inquirenti, idee e riflessioni importanti sulla strage di Capaci, in cui venne ucciso il giudice Giovanni Falcone, e sulla cosiddetta trattativa tra lo Stato e la mafia. E proprio per questo il diario, dopo l'esplosione di via D'Amelio, sarebbe stato fatto sparire. I manifestanti hanno raggiunto Castel Utveggio intonando "Bella ciao".

Strage di Stato. "Quella di via D'Amelio fu una strage di Stato, alcuni esponenti delle istituzioni hanno ritenuto di potere trattare con la criminalità organizzata. Una trattativa che è poi la madre del baratro in cui continuiamo a precipitare, in un momento in cui c'è qualcuno che vuole realizzare leggi che sovvertono la Costituzione. E mio fratello è stato ucciso perché si è opposto in maniera totale a quella trattativa". Ad affermarlo è Salvatore Borsellino, fratello di Paolo.

Animatore dei movimenti delle Agende rosse e del comitato di scorta civica, Salvatore Borsellino ieri è stato tra i promotori della manifestazione di solidarietà ai magistrati delle procure impegnate in indagini di mafia, che si è tenuta davanti al Palazzo di giustizia di Palermo. "In questo momento - ha detto - ho una grande paura, mi sembra di vivere in un clima simile a quello che precedette le stragi del '92. Stiamo andando sempre più vicino alla verità su via D'Amelio e sulla morte di mio fratello Paolo, e più i magistrati si avvicinano a questa verità più sono in pericolo. Per questo, chiedo la 'scorta civica' di quei giovani che hanno deciso di stare accanto ai magistrati che vogliono togliere il velo sulla strage di via D'Amelio". Poi, in riferimento alla legge sulle intercettazioni, ha detto: "Deve essere chiaro che questa legge va respinta in toto, non si può assolutamente pensare di trattare sui singoli articoli. La magistratura rimane oggi l'unico baluardo per continuare a vivere in un paese civile".

Di Matteo. "Oggi non percepiamo più indifferenza o sarcasmo. Ma temo che stia iniziando ad emergere una nuova azione volta a bloccare possibili sviluppi di indagini". Lo ha detto il sostituto procuratore e presidente dell'Anm di Palermo Antonino Di Matteo, durante il convegno alla facoltà di Giurisprudenza per il 18esimo anniversario della strage di via D'Amelio. "Mi sembra di assistere - ha aggiunto - a una serie di eventi che temo siano collegati gli uni agli altri: i tentativi di screditare pregiudizialmente i contenuti delle dichiarazioni di Spatuzza e di Ciancimino. Il problema sembra che sia capire perché hanno parlato e perché proprio ora. Le polemiche sui collaboratori di giustizia si verificano solo quando parlano di qualcosa di diverso rispetto alla manovalanza dell'attack, alla manovalanza di Cosa nostra".

Scarpinato. "Sono tantissimi quelli che sanno, in tutto o in parte, cosa si cela dietro le stragi. Un esercito di persone che non parlano". Lo ha dichiarato il neoprocuratore generale di Caltanissetta Roberto Scarpinato al convegno di Giurisprudenza. "C'è un sigillo che cuce le bocche di tutti, le bocche restano cucite perché la lezione della storia dimostra che non c'è salvezza fisica fino a quando il potere che ha ordinato e coperto le stragi resta in sella. Un potere talmente forte da raggiungerti in qualsiasi carcere, tanto forte da poter condizionare la polizia che indaga o taluni magistrati". Infatti "basta ricordare che tutti i conoscitori dei mandanti esterni della strage di Portella della Ginestra sono stati assassinati" ha aggiunto il procuratore generale.

("la Repubblica", 18 luglio 2010, link)

giovedì 15 luglio 2010

Uccide la fidanzata di 16 anni e si suicida

VENEZIA - Omicidio-suicidio ad Asseggiano, vicino Mestre. Un ragazzo, Fabio Riccato di 30 anni, ha ucciso con tre colpi di pistola, sparati con una Smith & Wenson 357 Magnum, la fidanzata, Eleonora Noventa di 16 anni, e poi si è sparato al petto. Un quinto colpo, inesploso, era ancora nel caricatore. La giovane è stata colpita le prime due volte al torace e l'ultima alla testa. Sul posto è intervenuta la polizia. La ragazzina è l'ottava donna uccisa nelle ultime tre settimane in Italia da uomini lasciati o rifiutati.

LA LITE - Riccato si era laureato la scorsa settimana in biologia con 110 e lode. Secondo le prime ricostruzioni della vicenda, sembra che i due si frequentassero da circa un anno ma si erano lasciati proprio sabato sera al termine di una lite. Questa mattina, a bordo di una Vespa, lui si è avvicinato alla sua ex, che era in bicicletta. Forse si erano dati appuntamento per chiarire. Prima hanno parlato, ma le parole sono diventate presto discussione. Lui ha tirato fuori la pistola e le ha sparato tre colpi. Quindi, ha rivolto l'arma verso se stesso e si è sparato in petto. L'uomo aveva un porto d’armi sportivo e deteneva regolarmente la pistola con cui ha sparato. Entrambi vivevano poco lontano da via Alfani, dove è avvenuta la tragedia.

LA SEDICENNE UCCISA - Eleonora baciata dall'amica del cuore, Eleonora che commenta l'Italia fuori dai Mondiali, Eleonora e il suo video al mare. E poi l'odio per la matematica, il regalo da comprare al fidanzato che si laurea e la profezia Maya dell'apocalisse. Nel diario online di Eleonora Noventa ci sono emozioni in tumulto. Ci sono entusiasmo, delusioni, passioni e inquietudini dei suoi 16 anni. E da domenica mattina anche i messaggi d'addio dei suoi 114 amici: «Ele», quella che «mi mancherai», che «sei un angelo», che «ti vorrò bene per sempre». Mille frasi spesso uguali, parole in fotocopia digitate da mani diverse della stessa generazione sulla tastiera di un computer.

Eccolo il profilo Facebook della ragazzina di Mestre che aveva osato sognare l'amore con il ragazzo che l'ha uccisa. Entri nella pagina della sua vita e la prima cosa che vedi è la faccia di Bossi che mostra, vai a sapere a chi, il dito medio della mano destra. Eleonora chiarisce accanto alla richiesta «orientamento politico»: Lega Nord. I punti di partenza che ha usato quando ha deciso di entrare nella comunità di Facebook (a marzo) sono: donna, nata il 22 marzo 1994, fidanzata ufficialmente; attività: amare il mio moroso. Poi Benito Mussolini, Xena; scuola superiore: «La mia famiglia e il mio fidanzato sono più importanti»; interessi: Michael Jackson; università: «Ahhahahahahaha me vien da rider». Lo scambio di messaggi con gli amici era più o meno quotidiano e a vederli oggi, quegli appunti di vita, si possono ricostruire giornate nere e altre entusiasmanti. Sullo sfondo l'amore per Fabio Riccato, il trentenne che domenica mattina ha fermato il cuore di Eleonora con una 357 magnum, che le ha sparato il colpo mortale quando lei era ormai a terra, nel sangue, e che poi si è ammazzato con la stessa pistola. È il 26 giugno, ore 8.52. Eleonora scrive: «Vado a comprare il regalo di mio moroso :) ?... e oggi pomeriggio grandeeee festa a casa di mio moroso». È il regalo per il 110 e lode in Scienze naturali che lui si è guadagnato all'Università di Ferrara. Lei gli comprerà una penna e una maglietta.

Il giorno prima, alle 13.12, un altro pensiero per lui «alle due e mezza mi trovo con mio moroso ? ? Fabio ti amo da morire sei tutta la mia vita ? ? ? ? senza di te non so cosa farei ....». Tre giorni dopo, alle 13,24, «Ele» manda in rete il suo «Nel 2012 moriremo tutti». Ci mette dei puntini, sembra pensarci su un po' e forse le pare troppo cupo, quel messaggio. Così aggiunge «Me l'ha detto l'ape Maja». Si occupa di musica e di vacanze, di scuola di calcio, Eleonora. Sono tanti i messaggi di commento per le partite che la deludono o per quelle che la esaltano. «Onore a Fabio Quagliarella grande giocatore e uomo vero!!!! Lippi vergogna» è la sua preoccupazione del mattino del 25 giugno, mentre «adotta un secchione x i compiti di matematica» (la sua materia nera) è il chiodo fisso del 30 giugno. Quel venerdì 25 giugno Eleonora aveva passato molte ore davanti al computer, aveva visto video «meravigliosi» di Michael Jackson e aveva cambiato umore più volte nel giro di mezza giornata. Alle 10.15 scriveva: «Bastaaa sono davvero stanca di tante cose :( troppi segreti, troppe bugie ... non ce la faccio davvero più: (lasciatemi stare, lasciatemi vivere... vi prego ... basta basta basta... ve lo chiedo col cuore..».

Quali segreti? Quali bugie? Il giorno prima l'umore era anche peggiore: «Sono nata piangendo mentre tutti ridevano, morirò ridendo mentre tutti piangeranno», e poi: «Non c'è più cattivo di un buono quando diventa cattivo». Era Fabio quel cattivo? - viene da chiedersi oggi. Delusa, Eleonora: «Tutti vedono quello che sembro pochi capiscono quello che sono». Era una ragazzina fragile, questo si capiva dalle sue pagine Facebook, una «che ha paura di fare casini», come diceva lei. Il «casino» più grande l'ha fatto sabato, senza saperlo: ha lasciato Fabio. E lui l'ha uccisa.

http://www.corriere.it/cronache/10_luglio_11/omicidio-suidicio-mestre_2ac76302-8cd6-11df-bfcf-00144f02aabe.shtml?fr=correlati

http://www.corriere.it/cronache/10_luglio_13/mestre-diario-ele-assassino_34e4ff7e-8e44-11df-864f-00144f02aabe.shtml

mercoledì 14 luglio 2010

Uccide la sua ex e l'amico e poi si toglie la vita

Ha ucciso a coltellate una ragazza e l'amico di lei, probabilmente per gelosia. Subito dopo ha utilizzato quello stesso coltello per uccidersi, tagliandosi la gola. Il duplice omicidio ed il suicidio si sono consumati nel giro di poche ore a Ceva, nel Cuneese: la prima a morire è stata Katerina Marcovic, 24 anni, caduta per strada sotto i fendenti. Poi è toccato a Salvatore Ciantia, detto Totò, 28 anni, l'amico siciliano della giovane originaria della ex Jugoslavia: ricoverato all'ospedale di Ceva, è morto poco dopo.

Entrambi sarebbero stato accoltellati nel centro del paese, ieri sera, da Zoran Yoksimovic, 28 anni, croato. E' lui che dopo circa tre ore è stato trovato in un alloggio di Ceva, non lontano dal luogo del duplice omicidio, con la gola squarciata dallo stesso coltello usato per uccidere i due giovani. E' stato ricoverato in gravissime condizioni ed è morto poco dopo.

I carabinieri stanno adesso cercando di ricostruire i rapporti fra i tre, ma l'ipotesi che si profila è quella del delitto passionale. La coppia è stata colpita sotto casa di Ciantia, in via Moretti, davanti ad un distributore Agip, a pochi passi da un ristorante. L'assassino avrebbe suonato il campanello di casa. I due sarebbero scesi e lui non avrebbe esitato un attimo prima di colpirli.

La giovane è stata aggredita sui gradini del portone, il ragazzo un pò più in là: dopo aver capito le intenzioni dell'assassino, aveva cercato, probabilmente, di scappare.

L'aggressore è quindi fuggito a piedi. Sarebbe stato un testimone a dare le indicazioni per identificarlo e quindi rintracciarlo poco dopo, nell'alloggio dove si è ucciso.

Katerina era in Italia da regolare, disoccupata. Aveva lavorato, per parecchi anni, come badante presso una famiglia titolare di una ditta di distribuzione bibite gassate. Ora stava cercando lavoro e da un pò di tempo frequentava Salvatore Ciantia.

("la Repubblica - Torino", http://torino.repubblica.it/cronaca/2010/07/13/news/uccide_la_sua_ex_e_l_amico_e_poi_si_ammazza-5549672/)

Donna barese uccisa a sprangate arrestato a Piacenza il presunto killer

E’ stato fermato questa notte alle 22.50 dagli uomini della squadra mobile di Piacenza, Domenico Iania, 52 anni di origine calabrese accusato dell’omicidio di Chiara Brandonisio, operaia 34enne massacrata a colpi di spranga giovedì mattina alla periferia di Bari.

L’uomo, secondo le ricostruzioni fatte dalla polizia di Bari e Piacenza, si era messo in viaggio martedì notte, all’1.30 aveva imboccato l’autostrada dal casello di Fiorenzuola ed era arrivato a Bari intorno alle 7 del mattino di mercoledì 7 luglio. Un viaggio lungo 800 chilometri a bordo della sua Fiat Panda di colore blu con il solo intento di uccidere la donna barese, con cui aveva intrattenuto per cinque mesi una relazione puramente virtuale. Domenico Iania avrebbe poi seguito, pedinato e osservato per tutto il giorno i movimenti della sua vittima e il giovedì mattina l’avrebbe bloccata mentre si recava a lavoro in bicicletta e uccisa, colpendola ripetutamente in testa con una spranga di ferro lunga un metro. Da allora la fuga disperata per fuggire alla polizia. L’uomo ha abbandonato la sua automobile sull’orlo di un precipizio nelle campagne di Carbonara e raggiunto a piedi la stazione ferroviaria dove ha preso venerdì il primo treno per tornare a Piacenza. Solo un uomo, un cittadino albanese, lo aveva visto vagare per Bari e aveva segnalato il caso alla polizia.

Una volta arrivato in Emilia Romagna, Iania avrebbe raggiunto la Val d’Arda attraverso l’autostop per fare ritorno a Morfasso, paese di montagna dove risiedeva in una vecchia scuola abbandonata della frazione di Pedina. Gli agenti della squadra mobile di Piacenza lo hanno trovato proprio nei pressi della sua abitazione ieri notte.
Domenico Iania , disoccupato, con un precedente specifico per tentato omicidio nel 1993, considerato dagli inquirenti un individuo estremamente pericoloso, non ha opposto resistenza ed è stato fermato con l’accusa di omicidio volontario aggravato a cui potrebbe aggiungersi la premeditazione.

Domenico Iania e Chiara Brandonisio si erano conosciuti solo attraverso il web e le chat di Messenger e Facebook, così si erano innamorati, si scambiano sms e telefonate, lei aveva raccontato tutta la sua vita, lui voleva addirittura sposarla. Una vera e propria relazione, ma mediata dallo schermo del computer. Qualche settimana fa però lei aveva voluto troncare il rapporto, da poco infatti aveva cominciato a frequentare un altro uomo a Bari. Una scelta che Iania non avrebbe accettato, tanto da arrivare a minacciare il suicidio in diretta video attraverso la webcam. Lunedì 5 si era puntato una pistola, forse giocattolo, alla testa, un episodio che Chiara, spaventata, aveva confessato alle amiche. Sarebbe stato questo il motivo alla base dell’omicidio. L’uomo è attualmente detenuto nel carcere di Piacenza in attesa di essere trasferito a Bari dove verrà processato.

(Francesca Russi, "la Repubblica - Bari", http://bari.repubblica.it/cronaca/2010/07/13/news/omicidio_di_chiara_iaia_catturato_a_piacenza-5547425/)

giovedì 8 luglio 2010

il tg1 delle 20.30 di oggi

Che posso dire? Una vergogna incredibile.


PS: Non dimenticate ScaricaBile. L'ultimo numero (per ora? o per sempre?) da lunedì prossimo sul solito sito, scaricabile.blogspot.com

falsi terremotati

Roma, 7 lug - "Ho il piu' profondo rispetto per i terremotati de L'Aquila. Per i veri terremotati, non per coloro che si sono intrufolati nel corteo e hanno attaccato la polizia".

A parlare e' il ministro degli Esteri, Franco Frattini, che in una nota si dice convinto "che si possa fare uno sforzo, come molto già abbiamo fatto, per venire incontro alle loro aspirazioni e richieste. Non replico neppure a un esponente politico [Di Pietro, ndVolpe] che specula sul dolore di chi ha tanto sofferto in Abruzzo".

Fonte: http://www.asca.it/regioni-TERREMOTO__FRATTINI_A_DI_PIETRO__NEL_CORTEO_INFILTRATI_CONTRO_POLIZIA-514786--.html

sabato 3 luglio 2010

La moglie ha un carattere forte? Allora maltrattarla non è reato

ROMA - Avere un carattere forte e non lasciarsi intimorire dall'atteggiamento violento del marito potrebbe costare, alle mogli vittime di maltrattamenti, l'assoluzione del consorte. La Cassazione, infatti, ha annullato la condanna a 8 mesi di reclusione nei confronti di un marito accusato di aver maltrattato la moglie per tre anni. Dinanzi alla Suprema Corte l'uomo ha sostenuto con successo che non si trattava di maltrattamenti in quanto la moglie "non era per nulla intimorita" dal comportamento del coniuge, ma solo "scossa, esasperata, molto carica emotivamente". Una sentenza che, secondo il ministro per le Pari Opportunità, Mara Carfagna, "è un regalo ai violenti"

L'uomo, residente a Livigno, era stato condannato, con la concessione delle attenuanti, sia dal Tribunale di Sondrio che dalla Corte d'Appello di Milano, che avevano accolto le lamentele della moglie. Una condanna percepita come eccessiva dal marito che si è rivolto alla Cassazione, sostenendo che gli stessi giudici di Appello avevano rilevato come la moglie avesse un "carattere forte" e che dunque non era affatto intimorita dal suo atteggiamento. In sostanza, la tesi difensiva si è basata sul fatto che i giudici "hanno scambiato per sopraffazione un semplice clima di tensione" tra coniugi.

La Cassazione - con la sentenza 25138 - ha dato dunque ragione al marito, rilevando che non si può considerare come "condotta vessatoria" l'atteggiamento aggressivo non caratterizzato da "abitualità". I fatti "incriminati" in questa vicenda - prosegue la Cassazione - "appaiono risolversi in alcuni limitati episodi di ingiurie, minacce e percosse nell'arco di tre anni (per i quali la moglie ha rimesso la querela), che non rendono di per sé integrato il connotato di abitualità della condotta di sopraffazione". Così la condanna a 8 mesi è stata annullata "perché il fatto non sussiste".

"In un momento in cui la violenza sulle donne affolla le cronache nere dei giornali, non posso che dirmi amareggiata di fronte a questo caso di vera e propria miopia da parte dei giudici della Cassazione", ha detto il ministro Carfagna. "La violenza, la volontà sopraffattrice come è stata definita dai giudici, non pesa più o meno a seconda del carattere della vittima. Relativizzare la violenza", conclude il ministro, "vuol dire armare il violento".

(la Repubblica, 02 luglio 2010)

giovedì 1 luglio 2010

il mandante

(Pino Corrias, 30 giugno 2010)

Riassumendo le verità giudiziarie a nostra disposizione ora sappiamo che l’ascesa al vertice italiano del potere politico e del potere imprenditoriale di Silvio Berlusconi è avvenuta con la stretta collaborazione di Cesare Previti, corruttore, e Marcello Dell’Utri, mafioso. Entrambi arruolati a metà degli anni Settanta. Entrambi dediti ai supremi interessi del capo dai quali sgocciolava il loro reddito, il loro potere, e per intero la loro storia.

Cesare Previti, avvocato figlio di avvocato, gli ha protetto le spalle nelle molte cause e nei molti tribunali dove si è addensata l’avventura trentennale della Fininvest. Per il suo capo ha corrotto il giudice Metta che ha consentito al Cavaliere di acquisire la Mondadori. E’ stato condannato per corruzione in atti giudiziari, radiato dall’Ordine degli avvocati, interdetto dai pubblici uffici.
Marcello Dell’Utri, imprenditore con un fallimento alle spalle, ha condiviso la nascita e lo sviluppo delle tre reti Fininvest e della sua cassaforte Publitalia. E’ stato l’anello di collegamento con la mafia siciliana (almeno sino al 92 secondo i giudici del processo di Appello), amico di Stefano Bontate e poi dei Corleonesi della mafia vincente. Ha curato i rapporti con il boss Vittorio Mangano che ha vissuto a Arcore (con famiglia) non a fare il fattore, né tantomeno lo stalliere, ma per proteggere forse gli investimenti della mafia al Nord, di sicuro la vita di Berlusconi e dei suoi familiari.

Questi multipli nodi – tra Berlusconi, Previti, Dell’Utri, la corruzione, la mafia, la sequenza dei reati commessi, la loro solare gravità – non sono più in discussione, sono verità giudiziarie accertate. In un Paese normale avrebbero conseguenze politiche immediate. Nessun sofisma, nessun distinguo, nessuna dissimulazione, potrebbe reggere l’urto di tanta evidenza, di tanta consequenzialità tra i colpevoli e il loro capo.
Salvo in un caso. Uno solo: che l’intero sistema - nei fatti, non a parole, per viltà o per tornaconto, per insipienza politica o per furbizia, per quieto vivere o per malaccorto cinismo - si sia reso complice dei medesimi interessi, e in definitiva del medesimo mandante.
 
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